Rivista Anarchica Online
L'ideologia dei Consigli
di R. Brosio
I Consigli Operai sono oggetto, in questi ultimi tempi, di una notevole
rivalutazione, o quanto meno di
attento interesse, da parte di alcuni gruppi della sinistra è extra-parlamentare. Il che potrebbe
anche esser
un fatto positivo, un ulteriore apporto allo studio delle forme di lotta proletaria, se non fosse possibile
scorgere in costoro l'illusione di aver trovato lo strumento rivoluzionario perfetto, l'unico che valga la
pena
di adoperare. Alcuni di essi, infatti, giungono al punto di presentarsi solo in questa prospettiva, di
caratterizzarsi politicamente solo in quanto portatori della "Teoria dei Consigli". Altri, più
moderati, si
limitano a teorizzarne anonimamente la necessità. Tutti, comunque, sono convinti di aver trovato
la strada
giusta per la rivoluzione, e disprezzano chi non è di questo avviso. Non intendiamo qui, sia
chiaro, sminuire l'importanza di quanto i compagni come Garino hanno fatto,
ai loro tempi, ma, piuttosto, contestiamo l'uso che di tutto ciò, oggi, si pretenda di fare. Il rischio
che si
corre è quello di disperdere energie eversive, incanalandole verso una direzione a senso unico,
nella quale,
è probabile, i Consigli Operai non avevano nessuna intenzione di incamminarsi. Perché,
in effetti, una
vera e propria "teoria dei Consigli" non esiste. Data la brevità (forzata) dell'esperimento, i
Consigli Operai
non hanno avuto nemmeno il tempo di produrre una loro teoria omogenea, anche se, ovviamente, si
basavano su alcuni presupposti teorici fondamentali. Fintantoché sono esistiti, hanno badato
soprattutto
a difendersi e a funzionare, come del resto hanno fatto i primi Soviet e gli analoghi esperimenti spagnoli
del '36. Al contrario oggi, che i Consigli non esistono più, si sta formando l'ideologia dei
consigli. E più che ideologia, sarebbe il caso di dire "mito", perché ci sembra che
i nostri moderni "consigliari" non
dedichino molto tempo alle discussioni teoriche: il riconoscimento della validità dei Consigli
Operai
appare spesso più un atto di fede verso il loro potere taumaturgico, che non il frutto di un'analisi
ragionata. Il che significa non solo dimenticarsi che sono pur passati 50 anni, da allora, e che le situazioni
possono anche essere cambiate, ma anche abdicare a quella che è la prima ragion d'essere dei
gruppi
rivoluzionari, e cioè capire e interpretare. Non sono tenute in nessun conto tutte le obiezioni che,
da più
parti, sono state mosse circa la possibilità di generalizzare una tale esperienza e farne quindi uno
strumento completo di lotta rivoluzionaria. In questo modo, e quali che siano le intenzioni e la buona
fede dei singoli, il mito dei Consigli rischia oggi
di diventare una specie di mistificazione. Essi, infatti, sono stati solo un momento della lotta proletaria
per l'emancipazione, una delle forme storiche con cui essa si è manifestata. Più
precisamente, una delle
forme con cui si è presentata, accanto ad altre anche assai diverse, la naturale tendenza degli
sfruttati
all'autogestione. Un fatto, insomma, che può fornire utili indicazioni per il futuro o elementi di
interpretazione, ma che non può rappresentare, come tale, un modello cui uniformarsi. Sarebbe
come
pretendere di giocare una partita di calcio impostandola su di un'unica azione. Il successo
rivoluzionario, disgraziatamente, non dipende dalla semplice adesione ad una certa
organizzazione di lotta, ma dalla ricerca, spesso lunga e difficile, di quelle che sono le basi economiche
dell'uguaglianza. In questa prospettiva, tutti gli esperimenti, tutti i tentativi, sono positivi e possono, al di
là dei fallimenti, insegnare qualcosa. Ma nessuno, da solo, possiede il segreto della vittoria, e i
Consigli
Operai non fanno eccezione. Dimenticarlo, tutto sommato, significa rendere un cattivo servizio
all'onestà
e alla sincerità di quelli che li hanno fatti e, dopo, pagati di persona.
R. Brosio
Torino settembre 1920
Il clima di accesa lotta politica che vide la nascita dei Consigli Operai, rappresenta una componente
indispensabile per la comprensione del loro sviluppo in termini di organizzazione rivoluzionaria. Non
sembra in effetti possibile valutarne il reale peso politico senza tener conto del più generale e
vasto quadro
di lotte operaie che sfociarono, nel settembre 1920, nel movimento di occupazione delle fabbriche. Nei
primi giorni di settembre 400.000 operai di tutta Italia, in risposta alla reazione padronale che giunse fino
alla serrata, occuparono le fabbriche. Torino e Genova furono con Milano i centri in cui il fenomeno
dell'occupazione assunse aspetti particolarmente rilevanti ed interessanti dal punto di vista della
organizzazione della lotta. È infatti proprio in questo contesto e in questi centri (Torino e
Genova) che
si affermò il movimento dei Consigli di Fabbrica. Sostenuto dal gruppo dell'"Ordine Nuovo" di
Gramsci
e con le debite differenze di impostazione ideologica da un gruppo di libertari torinesi, il movimento dei
consigli si pose sin dall'inizio in posizione di netto antagonismo col sindacato (FIOM), il quale da parte
sua considerò con estrema diffidenza questo tentativo di democrazia operaia che avrebbe potuto
incrinare
il suo potere di controllo sulla massa e giunse ad una sua completa condanna nel Congresso di Genova
del maggio 1920. Già nell'aprile, infatti, Torino fu al centro di uno sciopero per il
riconoscimento dei Consigli di Fabbrica,
e nonostante la pesante sconfitta dovuta all'abbandono da parte dei sindacati del movimento operaio
torinese, il problema del controllo operaio si impose col sorgere delle nuove lotte. Nella sola Torino il
movimento di occupazione coinvolse ben presto 100.000 operai, che pur continuando nei primi giorni
l'ostruzionismo secondo le disposizioni federali, si apprestavano alla vigilanza armata e alla
organizzazione
interna per dimostrare che "... anche privi della direzione padronale, gli operai sanno disimpegnarsi nel
funzionamento accurato dell'officina". (*) Risulta quindi evidente che il Consiglio di Fabbrica
intendeva essere un nucleo di organizzazione del
lavoro, un organismo attivamente inserito nel processo produttivo, superando i limiti di una
attività
esclusivamente politica o rivendicativa. I compiti che quindi il Consiglio di Fabbrica si assumeva erano
molteplici. Da un lato, sul piano politico, l'impegno era di comunicare l'esperienza dei Consigli alle altre
fabbriche occupate e di coinvolgere nella lotta le altre categorie di lavoratori, organizzando inoltre la
resistenza armata. D'altro canto, su di un piano più propriamente economico, doveva organizzare
la
produzione su basi nuove che garantissero il funzionamento di un sistema di gestione operaia,
assicurando
il coordinamento della produzione, il rifornimento di materie prime e gli scambi del materiale. Dopo i
primi giorni di occupazione, infatti, incominciarono a svolgere le loro funzioni, presso la Camera del
Lavoro, i vari comitati organizzatori: quello Buoni, sussidi e cucine, quello di Scambi e Produzione e
quello di Compra e Vendita che affidava ad una unica cassa le riscossioni per le vendite dei prodotti e
i pagamenti per gli acquisti. Alla base della disciplina riguardante l'attività che derivava dalla
gestione
dell'industria, erano i Consigli di Fabbrica i quali delegavano determinate funzioni ai singoli componenti
del loro comitato esecutivo. È opportuno ricordare che riuscirono a mantenere discretamente alto
il livello
di produzione, se si pensa che ad esempio alla FIAT CENTRO si producevano 37 macchine al giorno
contro le 67-68 dei tempi normali. Ma l'organizzazione economica non era certo completa e totalmente
efficiente dato che quando il movimento di occupazione si avviò alla fine si pose il problema del
pagamento del lavoro compiuto dagli operai durante il periodo di occupazione. "A Torino in tutte le
fabbriche si è lavorato. Poco i primi giorni, molto nei successivi. In alcune officine si è
superata la
percentuale media della produzione. Per chi si è lavorato? Gli operai, piuttosto che aver lavorato
20 giorni
per i padroni sono disposti a distruggere tutto ciò che hanno prodotto". Questo stralcio di un
articolo
apparso sull'"Avanti" del 21 settembre ci può dare un'idea della sconfitta.
(*) Dal primo comunicato del consiglio della FIAT centro.
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