Rivista Anarchica Online
Arsenio Lupin anarchico
di M. Dominici
La figura romanzesca dell'anarchico espropriatore Marius Jacob ispirò il personaggio letterario
Il nome di "anarchia" fa sui buoni borghesucci un effetto di ripulsa e di
istintivo terrore, unito però ad
un certo masochistico interesse, che affiora dai loro complessi di colpa latenti e si esplica in una sorta di
"autopunizione", comune a molte sindromi nevrotiche. E poi, diciamolo, per quei poveri borghesucci
"anarchia", oltre che bombe, sangue e caos generale vuol dire anche romanticismo, fedeltà fino
alla morte
all'ideale prediletto. Insomma, tutto ciò che generalmente - non per niente! - suol definirsi
idealismo
borghese mal digerito. E nel vedere alcuni individui che si comportano in modo sovversivo ma
romantico,
i buoni teneri borghesucci si sentono, nel loro profondo, tanto tanto anarchici, anche dalla loro poltrona
o dalla loro autovettura o dalla loro scrivania. Tanto, cosa costa una volta tanto - specie se nessuno lo
sa -
sentirsi anarchici? Ed ecco che gli speculatori, sorretti dai pareri di psicologi luminari, vomitano a getto
continuo libri, films, servizi speciali sugli anarchici e l'anarchia. E non da oggi: ricordate Arsenio Lupin?
Fu l'eroe di una lunga e fortunata serie di romanzi dello scrittore francese Maurice Leblanc (1864-1941),
il "ladro-gentiluomo" portato poi anche sugli schermi cinematografici. Anche se fra gli "studiosi" sono
tuttora in corso accanite discussioni in proposito, di fatto il personaggio Lupin è modellato sulle
imprese
e le avventure di quel Marius Jacob, anarchico espropriatore, di cui logicamente non ha le "motivazioni
ideologiche". Anzi, Arsenio Lupin vive numerose avventure "rosa" che mai Jacob passò, e che,
ovviamente, hanno lo scopo di "addolcire" il personaggio, di farlo piacere ai lettori e ai frequentatori delle
sale cinematografiche. Vediamo un po', però, chi era in realtà Marius Jacob, spoglio di
ogni veste
romanzesca e mistificatoria.
La gioventù avventurosa
Nato nel 1879 a Marsiglia, da padre alsaziano e madre provenzale, egli dimostrò sin da
giovanissimo uno
spiccato spirito d'avventura; leggeva Verne, di cui era appassionato ammiratore, e appena undicenne si
imbarcò come mozzo sulla nave "Thibet". Abbandonatala presto per insofferenza alla ferrea
disciplina
che vi regnava, si imbarcò poi sull'"Alifax", su cui venne tra l'altro coinvolto in un naufragio.
Passò quindi
sull'"Armand-Behine" e tredicenne, raggiunse con essa il porto di Sidney, dove tuttavia disertò,
dedicandosi poi, per sopravvivere, a varie attività, tra cui pare ci fosse il furto di fruste per cavalli
e il
lavoro di baby-sitter per foche. Ma Marius era inquieto, incapace di svolgere per lungo tempo
attività così
"normali", ed allora si reimbarcò su una nave che aveva la qualifica di "baleniera". In
realtà, era una nave
pirata, e, dopo aver assistito e forse partecipato ad alcune delle sue imprese, Marius al primo scalo la
abbandonò (e fece bene, perché poco dopo i pirati furono tutti arrestati ed impiccati).
Tornato in Francia,
Marius riprese a navigare fino a sedici anni, quando si ammalò. Durante la lunga convalescenza
divorò
quanti libri gli capitavano, ed in particolare quelli che un amico (anarchico) gli procurava. Leggendo
sia i grandi teorici dell'anarchismo sia le imprese dei fautori dell'"azione diretta" e della
"Propaganda coi fatti", divenne anarchico. Erano quelli i tempi degli attentatori famosi, quali Vaillant,
Henry, Leahautier, Ravachol. Il movimento anarchico, furiosamente perseguitato ed isolato dalle masse,
era caduto preda del miraggio dell'"azione diretta", dell'atto individuale vendicatore che spesso purtroppo
era utile in realtà solo al potere e a chi lo deteneva, e cioè proprio a quelli contro cui era
indirizzato. Lo
spirito avventuroso di Jacob, neofita del movimento anarchico, lo portò subito a sostenere tale
tipo di
azione e a procurarsi un manualetto per bombaioli dilettanti ("L'indicatore anarchico"), per mettersi
subito
al lavoro, cioè alla bomba. Tuttavia, fu denunciato da uno spione mentre procedeva al prudente
acquisto
del materiale occorrente, arrestato e condannato a sei mesi. Scontata la condanna, cercò di
trovare lavoro,
ma la polizia glielo impedì, diffidando chiunque ad assumerlo. Gli sbirri lo invitarono allora a
divenire
un confidente; naturalmente rifiutò l'ignobile proposta, rimanendo disoccupato. Giunse
così alla
conclusione che ben più efficace della dinamite sarebbe stato contro la borghesia il colpirla nel
suo punto
debole, cioè nei suoi interessi economici, "derubandola" di quanto più denaro era
possibile.
Illegalisti ed espropriatori
Era il cosiddetto "recupero" "l'espropriazione", la "ripresa individuale" (o "sociale", a seconda delle
definizioni e dei punti di vista) professata dai fautori dell'"illegalità" in seno al movimento
anarchico.
Secondo alcuni, il "furto giustiziere" - che non era altro che la ripresa di quanto la borghesia aveva
"legalmente" rapinato al popolo - minava il potere della borghesia sfidando le sue istituzioni, la indeboliva
economicamente e contribuiva al sostentamento sia del "recuperatore individuale" sia delle organizzazioni
anarchiche, sempre assillate da problemi finanziari. Inoltre, se preso, in tribunale l'"illegalista" aveva la
possibilità di poter fare propaganda (non rischiando la morte inutilmente, come spesso gli
attentatori alla
dinamite), trasformandosi da accusato in accusatore. La questione dell'"illegalità" si pose in quel
periodo
a molti anarchici, che avevano capito la generale sterilità degli attentati individuali. Dal 1881
(congresso anarchico di Londra) al 1894 (attentato di Caserio contro Sadi-Carnot) il movimento
anarchico era stato preso nella spirale della "propaganda coi fatti". Dopo tale data, il movimento si divise
in diverse posizioni, tutte però contrarie a tale tipo di azione. Una tendenza erano appunto gli
"illegalisti"
(che già nel 1879, a Parigi, con Faure e Reclus vedevano la validità ai fini rivoluzionari
dell'attentato alla
proprietà borghese, mentre Jean Grave vi si opponeva, rifiutandosi di "perpetuare il furto e la
truffa che
costituiscono l'essenza della società borghese"); altra corrente era quella anarco-sindacalista, la
quale
propugnava un movimento anarchico di massa con l'entrata dei libertari nei sindacati, che ritenevano
strumento in grado di far raggiungere gli scopi rivoluzionari (come avrebbero sostenuto Pouget e
Monatte
nel 1907 al congresso di Amsterdam); c'era infine la linea "pura", sostenuta da Errico Malatesta anche
ad Amsterdam, che voleva un movimento anarchico coerente alle sue origini e tradizioni politiche.
Jacob al lavoro
Ma torniamo a Jacob: la sua prima impresa di "recupero" egli la compì il 1° aprile del 1897,
e fu come
un colossale pesce d'Aprile: andarono in quattro, tutti anarchici travestiti da poliziotti, a "perquisire" (con
tanto di mandato falso) un magazzino di un trafficante piuttosto losco. Questi, forse per la coscienza
sporca, ci cascò, e così gli "sequestrarono" tutto il magazzino. Poi, oltre al danno, si ebbe
pure la beffa,
perché, mentre i compagni portavano al sicuro il pingue bottino, Jacob portò
personalmente il malcapitato
al Palazzo di Giustizia, "per essere interrogato", e lì lo abbandonò in una sala d'attesa,
dileguandosi
rapidamente. Il trafficante, trovato da un usciere, fu nel dubbio consegnato a un magistrato di passaggio
il quale, pur non sapendo niente di lui, trovandosi a sua volta nell'incertezza, lo fece imprigionare.
Quando la verità venne a galla, Jacob e compagni si stavano godendo, in luogo sicuro, i frutti
della loro
fatica. Il nostro decise quindi di passare in Spagna, dove aveva progettato un "colpo" fantastico: si
trattava
nientemeno che di trafugare il tesoro favoloso del santuario di San Giacomo di Compostella, complice
l'"alcade" (sindaco) del paese, che era simpatizzante anarchico. Ma le figlie di questi, nonostante si
professassero a loro volta anarchiche, si opposero al progetto e minacciarono di denunciare Jacob e i
compagni. Così, dovettero rinunciare al bottino (tra cui c'era anche una stato d'oro massiccio di
400 chili)
e rientrare in Francia. Dopo altre imprese, Jacob riuscì, da solo, ad asportare dal casinò
di Montecarlo,
con l'appoggio "indiretto" di un complice occasionale, un grande numero di "fiches" di valore. Ma
l'"appoggio" si dileguò coi quattrini, e Jacob vanamente lo inseguì fino in Sicilia, ove lo
trovò ucciso in
seguito ad una vendetta.
Jacob colpisce ancora
Ritornato in Francia, fu arrestato per una spiata riguardante la sua prima impresa; condannato a
cinque
anni, Jacob si finse pazzo dicendosi vittima di una persecuzione da parte dei Gesuiti e riuscì a
farsi
trasferire dalla prigione al manicomio di Aix-en-Provence, da cui poco dopo evase, con l'aiuto di un
infermiere anarchico e dei suoi amici da fuori. Riconquistata la libertà, Jacob pensò allora
a ricostituire
la sua banda, scegliendo accuratamente solo anarchici convinti, e si prese un po' di "riposo" a
Sète, prima
di riprendere. Ora era ben deciso a rimanere uccel di bosco, anche a costo di sparare, per evitare la
cattura. In effetti, in seguito Jacob sparò diverse volte sui poliziotti che lo braccavano da presso,
ma cercò
sempre di evitare di farlo: lo fece solo quando si trovò proprio alle strette, e - pare - mai per
primo.
Dunque, l'"Indomabile" (aveva ormai questo soprannome) si rimise all'opera. E "lavorò" davvero
sodo.
Dal 1900 al 1903 sembra che abbia compiuto coi suoi "lavoratori della notte" (altro soprannome che
presto sarebbe divenuto leggendario) ben 156 azioni (al processo, però, ne confessò solo
106), studiando
scientificamente i vari tipi di cassaforte, istituendo addirittura tattiche di furto nuove (per esempio,
sostituì
ai tradizionali "pali" dei rospi i quali all'approssimarsi di qualcuno smettevano di gracidare dando
così
l'allarme ai ladri), travestendosi di sovente per mettere a segno i colpi (e molte volte da prete, per il suo
innato senso dell'umorismo). Colpì con le sue azioni giudici, ecclesiastici, ricchi borghesi,
finanzieri e
nobilastri, e si vantava di derubare solo "persone improduttive e parassiti". Mai toccò gli averi
di artisti,
medici, scrittori e uomini di scienza, di cui aveva considerazione. Una volta entrò nella casa dello
scrittore
Pierre Loti per mettere a segno un "colpo", ma, accortosi di chi era il proprietario dell'edificio, se ne
andò
senza prendere nulla. Pare che nel corso della sua "attività" abbia raccolto qualcosa come 5
milioni di
franchi oro in Francia, Italia, Spagna e Svizzera, di cui però il 10% versò a
organizzazioni e giornali
anarchici, per la propaganda. Nell'aprile 1903 fu catturato, ma di nuovo riuscì a fuggire.
La cattura e il processo
Era però il primo segno di una fine che sarebbe giunta nei primi mesi del 1905, presso
Abbeville, dove
Jacob compì la sua ultima impresa. Sfuggito ancora una volta rocambolescamente alla cattura,
fu però
raggiunto per la strada di Parigi da un'auto della polizia, e fermato per un banale controllo di documenti.
Cercò di estrarre la pistola, ma il gesto lo tradì e così fu preso. Come altri, come
gli svaligiatori anarchici
Pini e Clement Duval, nel corso del processo non tralasciò occasione di fare propaganda
anarchica; nel
marzo 1905, alle Assise della Somme, disse: "Signori giurati, ora sapete chi sono: un ribelle che vive del
prodotto dei suoi furti. Inoltre ho incendiato diverse case e ho difeso la mia libertà contro
l'aggressione
degli agenti del potere. Vi ho raccontato tutta la mia vita di lotta: la sottopongo come un problema alle
vostre intelligenze. Non riconoscendo ad alcuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono,
né
indulgenza. Disponete di me come volete; mandatemi al bagno penale o al patibolo, poco importa. E
ancora: "Ho scassinato molti alloggi di preti. In tutti ho trovato una cassaforte, se non due o tre. Certo
non contenevano aringhe affumicate! C'era dentro, è vero, la ceralacca, c'erano i francobolli,
c'erano
anche mucchi di denaro che gli imbecilli mandavano a Dio e che i porta-sottane si tenevano. Le chiese
non sono altro che delle imprese commerciali. Sono richiami incessanti ai borsellini. Ed ecco i ciarlatani
che osano chiamarmi ladro e che mi accusano! Ma io sono un buon diavolo. Non gliene voglio. Do loro
la mia benedizione. Così sia". Poi, alle Assise di Loiret, il 30 luglio 1905: "I fornai fanno il pane,
i
muratori fanno le case... il Pubblico Ministero taglia le teste! Bel mestiere... Prima di sparire, ci tengo
però a dirvi che vi odio e vi disprezzo. Voi siete i padroni, ma io non mi riconosco il diritto di
giudicarmi!" Jacob fu magnifico: alternò battute di spirito (come quando rispose, al giudice che
gli
intimava di togliersi il cappello davanti alla Corte: "E perché? Forse che voi giudici non portate
in testa
la berretta?" a dichiarazioni di fede politica. "Cercherò di spiegarvi il perché delle mie
azioni, disse, anche
se sono sicuro che non arriverete mai a capirmi. Ogni giorno ci sono degli operai che crepano di fame.
Moltissimi poveri trascinano la loro esistenza e crepano senza che nessuno pensi a loro. Una parte
enorme
del mondo vive nel buio, nel freddo, nella fame, nelle malattie e nella disperazione: io ho voluto essere
il vendicatore di tutti costoro, ho fatto solo il mio dovere. Dovunque ho visto delle chiese, dei castelli,
delle ville, vi sono entrato a riprendere un po' di quanto i loro proprietari avevano rubato! La
società è
marcia. E ne è prova il fatto che esistete voialtri, giudici e magistrati...". In tutta la serie di
processi che subì, Jacob tenne un comportamento esemplare, da vero anarchico; mai
cercò di sminuire le proprie responsabilità di fronte a giudici che ricusava, non
riconoscendogli alcun
potere su di sé; anzi, riaffermò che aveva agito nel pieno dei diritti, perché non
può che essere così,
"quando coloro che producono tutto non hanno niente e quelli che non producono niente hanno tutto".
L'8 marzo 1905 fu condannato all'ergastolo, al bagno penale di Cajenna, dove fu ospite "scomodo" per
il suo coraggio e la sua saldezza interiore, che lo spingevano sempre a "piantar grane".
La fine
Grazie alla campagna di Albert Londres fu liberato nel 1928 e tornò in Francia, dove si mise
a fare il
venditore ambulante di maglierie. La guerra lo costrinse in ristrettezze, dato che si rifiutò sempre
di fare
lo speculatore sulla fame altrui. Ritiratosi a vivere in una casetta a Bois-Saint Denis, nel dipartimento
dell'Indre, col coker "Negro" cui era affezionatissimo, pubblicò, nel 1948, "Ricordi di mezzo
secolo",
libro in cui narra le sue avventure, e condusse per alcuni anni una vita semplice e tranquilla. Poi, un
sabato di fine agosto del 1954, decise di compiere l'ultima evasione: quella dalla vecchiaia (aveva ormai
75 anni) e dalla decadenza e dalle infermità che voleva evitare. Diede una festicciola ai ragazzini
del paese
e scrisse una lunga lettera ove il suo spirito ancora trovò occasione di esprimersi con battute
allegre e
quasi gioviali, accomiatandosi senza dolore dagli amici e da quanti lo amavano, e raccomandando loro
di bere alla sua salute due litri di un ottimo vino rosé che aveva preparato a quello scopo e
lasciato bene
in vista. Poi, fece una iniezione di morfina al suo vecchio cane, si stese al suo fianco e a sua volta si
iniettò, con suprema freddezza, la morte: l'"Indomabile" Marius Jacob non era più di
questo mondo.
M. Dominici
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