Rivista Anarchica Online
Camillo Berneri
di Camillo Levi
L'intellettuale anarchico come militante rivoluzionario
"Mi mandò a chiamare, lui che non mi aveva mai parlato, per
dirmi: "Dunque ci lascia". Ma soggiunse:
"Ma resta sempre nel socialismo". E questa parola mi fu di sollievo, ché mi pareva triste di veder
allontanarsi quello che allora ero: l'unico studente militante della città socialistissima."
(1). Così Camillo Berneri, ormai adulto, ricordava l'unico colloquio da lui avuto con
Camillo Prampolini,
figura di punta del socialismo riformista, quando nel 1915 si dimise dalla Federazione Giovanile
Socialista di Reggio Emilia, per passare definitivamente nelle file del movimento anarchico. Il
giovane studente Berneri, nato a Lodi (Milano) nel 1897, abbandonò così a soli
diciott'anni il
socialismo riformista e legalitario del Partito Socialista, ricco già di mesi intensi di
attività politica, di
meditazioni, di lunghi colloqui con l'operaio anarchico reggiano Torquato Gobbi, che favorì in
lui il
primo maturarsi della sua coscienza anarchica; ricco soprattutto di un grande desiderio di dare
attività
alla lotta per la rivoluzione socialista libertaria ed egualitaria.
Guerra, fascismo, bolscevismo
Durante i tre lunghi anni del servizio militare, Berneri svolse un'intensa attività
anti-militarista nelle
caserme, in stretto collegamento con i compagni di fuori; espulso dalla Scuola militare di Modena come
"sovversivo", fu condotto al fronte sotto scorta, ed ebbe successivamente modo di farsi denunciare due
volte al tribunale di guerra. Durante lo sciopero generale del luglio 1919 fu confinato a Pianosa, e
nell'anno successivo partecipò all'occupazione delle fabbriche, a moti locali antifascisti, ed in
particolare
alla preparazione armata della lotta contro le squadracce fasciste come membro di una speciale
Commissione costituita dall'Unione Anarchica Fiorentina. Gli sguardi del movimento operaio
italiano, e non solo di quello, erano intanto sempre puntati al lontano
sterminato impero zarista, ed alla profonda rivoluzione che ivi avveniva, e di cui giungevano in Italia
notizie parziali, contraddittorie, che spesso riferivano più di desideri che di effettive
realtà. Questo spiega
il completo capovolgimento di opinioni di Berneri nei confronti dei bolscevichi e del ruolo che giocarono
nella rivoluzione russa. Dapprima Berneri partecipò al crescente entusiasmo per Lenin ed i suoi
seguaci,
entusiasmo che contagiò quasi tutti i settori del movimento dei lavoratori, al giungere delle
prime notizie
dalla Russia. Furono appunto queste notizie confuse e pur concordemente positive che fecero scrivere
a Berneri, allora ventiduenne, che "in Russia il bolscevismo ha rinnovato, in modo radicale e sistematico,
i sistemi rappresentativi" (2). Ma appena si fecero più precise le informazioni riguardanti
il corso realmente imposto dai bolscevichi
alla rivoluzione sovietica, Berneri prese nettamente le distanze dai comunisti autoritari di Lenin,
criticandone innanzitutto lo spirito gregario e militarista (3), giungendo infine ad una valida critica
globale del leninismo come diretta conseguenza dell'ideologia autoritaria marxista. Sarà questa
una
costante fondamentale del pensiero del rivoluzionario lodigiano, che con questa chiara visione libertaria
si dedicherà alla riscoperta ed allo studio critico dei "classici" dell'anarchismo, sempre legando
studio
attento ed approfondito a quotidiana militanza politica.
I liberali del socialismo
Laureatosi in filosofia all'Università di Firenze, allievo particolarmente caro a Gaetano
Salvemini, Berneri
dal 1922 al '26 insegnò in varie città italiane, sempre continuando la sua attività
politica, e soprattutto
collaborando alla stampa anarchica italiana e straniera. Non solo a questa stampa indirizzò
comunque
i suoi scritti, come testimoniano, ad esempio, i suoi scritti comparsi su Rivoluzione
Liberale, il
settimanale torinese diretto da Piero Gobetti che fu pubblicato a Torino dal febbraio '22 all'ottobre
'25. In una lettera allo stesso Gobetti, Berneri difese l'autonomia dal marxismo e la validità
attuale del
pensiero economico anarchico (e soprattutto Proudhon) in contrasto con l'accentramento
economico-politico teorizzato ed attuato dai marxisti. Proponendo una serie di studi sul liberalismo
economico nel
socialismo, Berneri affermava che "ne risulterebbe, fra le tante cose interessanti, questa verità
storica:
esser stati gli anarchici, in seno all'Internazionale, i liberali del socialismo". E per spiegar meglio che cosa
intendesse con questa affermazione certo per molti audace, ma non per questo meno vera, aggiungeva
che "storicamente, cioè nella loro funzione di critica e di opposizione al comunismo autoritario
e
centralizzatore, lo sono tutt'ora" (4). Sempre impellente fu in Berneri la coscienza che molto c'era
ancora da scoprire, da studiare e da
ristudiare, ed egli stesso dedicò tanta parte di sé allo studio di vari aspetti libertari nel
movimento di
emancipazione umana, costantemente attento agli spunti autonomistici ed antiautoritari nelle lotte
passate e presenti. Ma il fascismo ormai imperante rese sempre più dura la vita di Berneri, nel
tentativo
di intimidirlo con aggressioni e di isolarlo cingendogli intorno quasi un "cordone di sicurezza". Sia la
sua
attività di professore, sia la sua attività politica furono progressivamente controllate e
limitate, fino al
punto che Berneri fu costretto, avendo rifiutato il giuramento di fedeltà al fascismo richiesto
agli
insegnanti, a prendere nell'aprile del 1926 la via dell'esilio, passando clandestinamente il confine con la
Francia, latore di importanti informazioni ai compagni già all'estero.
L'operaiolatria
Senza soluzione di continuità, Berneri prese immediatamente il suo posto di lotta nel
movimento
anarchico internazionale, e più in particolare negli ambienti dell'emigrazione antifasciste italiana
a Parigi.
Mai potè comunque aver tregua, poiché le autorità francesi mal tolleravano
l'attività rivoluzionaria di
un compagno come Berneri, che godeva ormai della stima di tanti e tanti compagni; le sue
peregrinazioni
dunque continuarono senza sosta, così come si susseguirono le espulsioni dai vari paesi in cui
cercava
di stabilirsi. La Francia, il Belgio, l'Olanda, il Lussemburgo, la Germania ed ancora altri paesi lo ebbero
a cercar stabilità sul proprio territorio, e lo espulsero, lo minacciarono, lo
condannarono. Pure in questa continua tensione, Berneri non solo continuò a militare, ma
anche a spedire articoli a
giornali anarchici di tutto il mondo, polemizzando con i traditori ed i denigratori dell'anarchismo, e
sostenendo utili polemiche anche con molti compagni sui temi fondamentali della lotta libertaria. Nel
polemizzare, Berneri rifiutò sempre i facili giochi di parole per aver ragione dell'avversario,
puntando
invece sul concreto, cercando di mostrare, con la massima chiarezza, le contraddizioni centrali del
pensiero dell'interlocutore. Ciò spiega perché la rilettura di tante pagine critiche di
Berneri sia utile non
solo come testimonianza storica, ma anche e soprattutto come documento politico attuale. Il suo
saggio sull'operaiolatria (5) resta uno degli esempi più lampanti in proposito. Al
di là delle singole
persone citate, Berneri attaccò in queste dieci pagine uno dei luoghi comuni più diffusi,
allora come ora,
nel movimento socialista in generale: si tratta di quell'assurda posizione di "privilegio" nella lotta
rivoluzionaria che tanta parte del movimento socialista, sotto la perniciosa influenza marxista, ha sempre
attribuito ad una mitica classe operaia, che dovrebbe esercitare addirittura la propria dittatura sui
contadini e sulle altre forze interessate alla rivoluzione socialista. Coerentemente con le sue posizioni
di sempre, Berneri negò in questo saggio l'esistenza stessa di una qualsiasi forma di
cultura operaia, se
non "come simbiosi parassitaria della cultura vera, che è ancora borghese e medio-borghese";
e, negando
la stessa possibilità di esistenza di una autonoma cultura operaia, Berneri negò
l'esistenza anche di
quell'operaio ideale del marxismo e del socialismo che lui definì un "personaggio mitico". Il
discorso di Berneri, in questo saggio come altrove, più che affermare una vera politica, tese
sempre
a respingere tanti luoghi comuni che impedivano lo sviluppo del pensiero e della lotta libertaria. Il
rifiuto di ogni prevenzione anti-contadina, anzi l'esaltazione del ruolo rivoluzionario spesso avuto dagli
organizzatori e da molti nuclei contadini, rientravano in questa sua concezione rigorosamente umana
ed
antiautoritaria dell'anarchismo. Il discorso polemico di Berneri fu sempre dettato da esigenze
costruttive nel movimento anarchico, e
di ciò testimoniano sia la sua instancabile attività sia la sua concezione generale
dell'anarchismo, per cui
sempre alla polemica contro l'operaiolatria si accompagnò la altrettanto dura
polemica con i detrattori
tout-court dell'anarco-sindacalismo. Con il suo consueto equilibrio di giudizi, Berneri
sostenne che, pur non essendo privo di difetti, l'anarco-sindacalismo, come organizzazione
specificamente libertaria dei lavoratori, era - ed è tuttora - una
necessità inderogabile per gli anarchici. Di pari passo va la sua valutazione positiva del
"sovietismo"
(cioè dei consigli operai), di cui Berneri sempre approvò lo spirito inizialmente
libertario, rifiutandone
completamente la degenerazione burocratica imputabile soprattutto alle manovre politiche dei
bolscevichi. A chi gli fece notare la contraddizione esistente fra l'ideale anarchico e la prassi
anarco-sindacalista, Berneri opportunamente rispose che "l'anarchismo, se vuole agire nella storia e
diventare
un grande fattore di storia, deve aver fede nell'anarchia, come una possibilità sociale che si
realizza nelle
sue approssimazioni progressive. (...) L'anarchismo è più vivo, più vasto,
più dinamico. Egli è un compromesso tra l'idea ed il fatto, tra il
domani e l'oggi. L'anarchismo procede in modo polimorfo, perché è nella vita. E le sue
deviazioni stesse
sono la ricerca di una rotta migliore." (6).
La polemica con Carlo Rosselli
In questa sua concezione originalmente pragmatica e critica dell'anarchismo, Berneri, scevro di ogni
e
qualsiasi preoccupazione "purista", si ritrovò a polemizzare con i più significativi
rappresentanti delle
correnti non-anarchiche dell'emigrazione italiana antifascista. La sua decisa totale ripulsa del socialismo
autoritario risulta non solo dai suoi continui attacchi ai bolscefascisti, ma anche nella sua
costante
attenzione a sottolineare gli equivoci non meno pericolosi di qualsiasi cedimento al mito statale, come
accadde appunto all'ideologia del movimento antifascista Giustizia e Libertà, il
cui principale esponente,
Carlo Rosselli, si troverà in seguito fianco a fianco di Berneri in alcune fasi della rivoluzione
spagnola
del '36. La polemica fra il rivoluzionario lodigiano e Carlo Rosselli, pubblicata sui numeri di
Giustizia e Libertà
del dicembre '35 sotto forma di quattro lettere, servì a Berneri, ormai quasi quarantenne, per
fare
chiaramente il punto sui compiti che avrebbero dovuto assumersi gli anarchici in seno alla rivoluzione
italiana. Il problema che secondo lui si sarebbe posto ai comunisti libertari era "quello di scegliere tra
l'integralismo tradizionalista e un possibilismo che, pur mantenendo fisso lo sguardo alla stella polare
dell'Idea, ci permetta di incunearci fecondamente nella linea di frattura delle forze rivoluzionarie." (7).
Questo eclettismo, questa coscienza della necessità di sapersi adattare alle situazioni specifiche
per
meglio modificare la realtà, furono e sono un dato importante, e per certi aspetti nuovo, nella
concezione
della lotta libertaria; ed è particolarmente significativo che Berneri abbia apertamente teorizzato
questa
sua concezione pragmatista nel momento stesso in cui attaccava alla radice l'equivoco di fondo di
Rosselli e del suo movimento: quello cioè di non rifiutare lo stato, e di soffocare così
nell'equivoco (ed
in un domani nell'inevitabile tradimento) anche le istanze libertarie presenti. Berneri sempre vide, nello
svolgersi della lotta rivoluzionaria, che comunque sarebbe sempre giunto il momento in cui si sarebbe
prodotta inevitabilmente una linea di frattura nell'arco delle forze rivoluzionarie; e questa frattura non
avrebbe potuto costituirsi se non sul problema della libertà, sul terreno della quale socialisti
autoritari
e libertari si sarebbero scontrati. Che queste previsioni di Berneri si siano realizzate l'ha dimostrato,
pochi mesi dopo questa cordiale ma decisa polemica, la rivoluzione spagnola.
Catalogna libertaria
"Lo scoppio della rivoluzione spagnola, nel luglio 1936, fu la vera liberazione di Berneri, l'attimo
tanto
atteso per poter dare finalmente tutto se stesso, anima e corpo, alla causa della rivoluzione anarchica":
così ebbe a dire Giovanna Caleffi Berneri, la compagna della sua vita che gli sopravvisse,
continuando
a militare nel movimento. E Berneri fu appunto fra i primi ad accorrere in terra di Catalogna, dove una
solida tradizione di propaganda e di lotta anarchica ed anarco-sindacalista erano la migliore garanzia per
uno sviluppo libertario della rivoluzione in corso. Fu dunque fra i fondatori della Colonna Italiana,
composta perlopiù da anarchici, e ne fu delegato
politico, partecipando ai primi duri combattimenti sul fronte antifascista, fra cui la famosa battaglia di
Monte Pelato. Successivamente si stabilì a Barcellona, capitale della Catalogna e massimo
centro
dell'anarchismo spagnolo. In stretto contatto con i compagni spagnoli della F.A.I. (Federazione
anarchica
Iberica) e della C.N.T. (Confederazione nazionale del lavoro, il sindacato libertario spagnolo), Berneri
partecipò a tanti momenti di lotta e di costruzione rivoluzionaria, organizzando, tenendo i
contatti,
scrivendo, essendo il più possibile presente di persona, e soprattutto redigendo il giornale
anarchico in
lingua italiana Guerra di classe, la cui lettura resta a tutt'oggi indispensabile per la
comprensione del
pensiero e dell'opera non solo di Berneri, ma di tanta parte dell'anarchismo militante. Nei pochi numeri
che poterono essere pubblicati il rivoluzionario lodigiano insistè continuamente sull'inscindibile
binomio
lotta antifascista-rivoluzione sociale, attaccando duramente chi invece sosteneva che la prima doveva
comunque essere anteposta alla seconda. Contro il pericolo fascista, contro il disinteresse ed i tradimenti
delle democrazie borghesi, contro tutte le manovre bassamente politiche (e sempre antilibertarie) dello
stalinismo, Berneri non si stancò mai di sottolineare che la vittoria contro tutte queste forze
indirettamente coalizzate non avrebbe potuto essere ottenuta che sullo slancio di una vasta e continua
mobilitazione popolare; intendendo per mobilitazione non solo l'aspetto militare del termine, ma anche
più generalmente la costruzione quotidiana dell'autogestione nei luoghi di lavoro ed in tutte le
collettività. Questo chiaro disegno politico libertario si scontrò subito con la politica
dei comunisti succubi di Stalin
e del Comintern. Non solo. Berneri dovete anche polemizzare duramente contro la tendenza
ministerialista nel movimento anarchico spagnolo, contro quei compagni cioè che
sostennero la
necessità di accettare posti di governo, prima regionale e poi addirittura nazionale, al fianco di
altre forze
antifasciste, fra cui i comunisti. In una famosa lettera aperta alla compagna spagnola Federica
Montseny (che aveva accettato un posto
di governo), Berneri sottolineò polemicamente: "È l'ora di rendersi conto se gli anarchici
stanno al
governo per far da vestali ad un fuoco che sta per spegnersi o vi stanno ormai soltanto per far da
berretto
frigio a politicanti trescanti con il nemico o con le forze della restaurazione della "repubblica di tutte le
classi".... Il dilemma: guerra-rivoluzione - non ha più senso. Il dilemma è uno solo: o
la vittoria su Franco
mediante la guerra rivoluzionaria o la sconfitta." (8). L'atteggiamento coerentemente rivoluzionario di
Berneri era inaccettabile per i comunisti stalinisti, che lo fecero avvertire, subito dopo la pubblicazione
della lettera sopracitata alla Montseny, da Antonov-Ovseenko, tramite la Generalità di
Catalogna, che
rischiava grosso se avesse continuato ad esporre pubblicamente il proprio pensiero: di ciò
Berneri avvertì
immediatamente i suoi amici a Parigi, ed è per questo che quest'informazione è
sopravvissuta alla sua
morte.
L'assassinio
Camillo Berneri si assunse poi la pubblica responsabilità di difendere a spada tratta il
P.O.U.M. (piccolo
ma combattivo partito comunista di generica ispirazione trotskista) dagli attacchi dei comunisti spagnoli,
che ne chiedevano l'eliminazione come forza sostanzialmente alleata del fascismo e del disfattismo,
calunnie destituite di ogni fondamento, messe in giro dai burocrati stalinisti con la ferma intenzione di
eliminare definitivamente un concorrente pericoloso perché sinceramente rivoluzionario, ed
alieno dai
compromessi e dalle false unità sostenute dai burocrati rossi alle dipendenze di Mosca. Non
aveva infatti
scritto la Pravda del 17 dicembre 1936: "In quanto alla Catalogna è cominciata
la pulizia degli elementi
trotzkisti e anarco-sindacalisti, opera che sarà condotta con la stessa energia con la quale la si
condusse
in Russia"? Di fronte a tanto livore controrivoluzionario Berneri insorse pubblicamente, e la sua
presa di posizione
fu pubblicata sull'Adunata dei Refrattari (9). "Contro le mire egemoniche e le manovre
oblique del
P.S.U.C. noi dobbiamo instancabilmente ed energicamente affermare l'utilità della libera
concorrenza
politica in seno agli organismi sindacali e l'assoluta necessità dell'unità d'azione
antifascista. Bisogna
evitare i toni zoccolanti, le prediche francescane. Bisogna dire ben alto che chiunque insulta e calunnia
il P.O.U.M. e ne chieda la soppressione è un sabotatore della lotta anti-fascista che non va
tollerato.
Questa nostra presa di posizione, oltre che aderire alle necessità della grave ora e rispondere
allo spirito
dell'anarchismo, costituisce la migliore profilassi contro la dittatura controrivoluzionaria che
vieppiù si
profila nel programma di restaurazione democratica del P.S.U.C. e nella disgiunzione tra rivoluzione
e
guerra di alcuni rivoluzionari miopi e disorientati." Così, con questa solita chiarezza, Berneri
difese il P.O.U.M. dalla campagna di calunnie imbastita dagli
stalinisti. Questi ultimi risposero nell'unico modo a loro concepibile, per battere un avversario
così
preparato, onesto, deciso a esprimere la propria opinione senza chiedere "imprimatur" a chicchessia: la
risposta dello stalinismo fu l'assassinio. Arrestato la sera del 5 maggio 1937 a casa sua da agenti in
borghese ed in divisa al soldo della G.P.U. (la polizia politica staliniana), scomparve, ed il suo corpo fu
raccolto dalla Croce Rossa sulla Piazza della Generalità, trafitto da colpi d'arma da fuoco. Sulla
Rambla,
a poca distanza, fu trovato anche il corpo di Francesco Barbieri, altro anarchico italiano volontario
antifascista in Spagna, grande amico e collaboratore di Berneri, che era stato arrestato con
lui. Erano in corso in quei primi giorni del maggio '37 violenti scontri armati fra i lavoratori della
C.N.T. e
le varie polizie para-comuniste, impegnate unicamente nella repressione dei moti e delle istanze popolari
libertarie. Nonostante il clima fosse ormai più che surriscaldato, l'assassinio di Berneri assunse
subito
un suo significato particolare, odiosa e delinquenziale risposta dei comunisti autoritari alle critiche
precise e motivate di un sincero rivoluzionario: la tragedia di Kronstadt e dell'Ucraina si ripeteva in
Catalogna ed in tutta la Spagna, come Berneri - facile profeta - aveva previsto.
Camillo Levi
1) Da Pensieri e Battaglie, edito a cura del Comitato Camillo Berneri, Parigi 1938,
pag.41. 2) Da "L'autodemocrazia" su Volontà (Ancona) del 1-6-1919; come
altri articoli di Berneri citati
successivamente, questo trovasi riprodotto negli scritti scelti di Camillo Berneri
Pietrogrado
1917/Barcellona 1937 pubblicati da Sugar editore nel 1964 a cura di P. C. Masini e di A.
Sorti. 3) Vedansi, p. es., gli articoli "L'attesa di Lenin" su Il grido della rivolta
(Firenze) del 26-6-1920 e
"Bolscevismo e militarismo" su Umanità Nova del 29-10-1921. 4) La lettera
di Berneri a Gobetti fu pubblicata su Rivoluzione Liberale (Torino) del 24-4-1923, sotto
il titolo "Il liberismo dell'Internazionale". 5) "L'operaiolatria", pubblicato in opuscolo dal gruppo
d'edizioni libertarie di Brest nel 1934. 6) Da "Sovietismo, anarchismo ed anarchia" pubblicato
su L'Adunata dei Refrattari (New York) del 15-10-1932. 7) Da Giustizia e
Libertà (Parigi) del 27-7-1936, sotto il titolo "Discussione sul federalismo e
l'autonomia". 8) La lettera aperta alla compagna Federica Montseny è stata integralmente
riprodotta in appendice al
già citato Pensieri e Battaglie. 9) Pubblicata sotto il titolo "Noi e il P.O.U.M."
su L'Adunata dei Refrattari (New York) del 1 e dell'8
maggio 1937.
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