Rivista Anarchica Online
Il bue felice di Giscard
di S. Parane
Riformismo, equilibrismo e conservazione
Se la fraseologia utilizzata dalle diverse formazioni politiche non accenna
a cambiare, se il presidente Giscard
d'Estaing continua a proporsi come un liberale e se la sinistra in tutte le sue sfumature continua ad
autodefinirsi
la portavoce delle classi sfruttate, la natura dei problemi della società francese non potrà
essere spiegata attraverso
le formule tradizionali. Inflazione galoppante, deficit sempre più accentuato della bilancia dei
pagamenti, strutture
di distribuzione di tipo arcaico, agricoltura non remunerativa, fanno sì che l'intera compagine dei
partiti -
dall'estrema destra all'estrema sinistra, ha ammesso che questi estremi siano ancora riconoscibili - sia
condannata
a definire, a breve termine, dei programmi in cui le misure economiche prenderanno il sopravvento sulle
misure
generali ad uso elettorale. Sempre più chiaramente diventa evidente che il potere politico e le
varie componenti
che le esercitano o sperano di esercitarlo in futuro, non riescono a dominare i meccanismi economici che
regolano
la società. La Presidenza e il governo tentano invano di contenere l'inflazione sia perché
il suo carattere
galoppante minaccia di provocare la catastrofe sia perché i suoi vantaggi sono giudicati essenziali
nella misura
in cui essa sia controllata. L'inflazione permette allo Stato di ottenere denaro dai cittadini ad un
valore di 100 e di rimborsarlo al valore di
85. L'inflazione favorisce i proprietari di beni reali, è la speranza dei compratori a credito; per
contro essa
scontenta tutti coloro che vivono di redditi fissi, e che generalmente votano per i partiti della cosiddetta
destra... Gli agricoltori si trovano in una situazione che si direbbe propria del terzo mondo, vale a
dire che essi sono
costretti ad acquistare prodotti industriali sempre più costosi, mentre il valore della loro
produzione tende a ad
un generale ribasso. Solo il protezionismo degli stati altamente industrializzati, ma che hanno vasti strati
di
popolazione agricola fa sì che la comunità europea riesca, e con difficoltà, a far
sopravvivere queste categorie
attraverso il meccanismo delle sovvenzioni. Per la maggior parte dei problemi il sistema politico
parlamentare sembra uno strumento di gestione di
un'economia che funziona in modo autonomo e che è sottomessa a regole extranazionali. Con
l'aggravante che
il sistema politico, per continuare a funzionare, si autolimita nel prendere disposizioni rigide,
poiché dipende dalle
diverse clientele che costituiscono il suo elettorato. Così accade che i tecnocrati o gli esperti
governativi possono
consigliare o prendere delle decisioni vincolanti, ma queste si ridurranno a nulla o a ben poca cosa a
causa di
emendamenti o di decreti di applicazione, poiché i piccoli commercianti o i viti cultori o qualsiasi
altro gruppo
di pressione mugugnano e l'avvicinarsi di scadenze elettorali vieta qualsiasi severità da parte delle
organizzazioni
politiche che non dispongono di una base elettorale sicura. Lo stesso dicasi per l'opposizione sempre
al limite della vittoria, che cerca disperatamente di riunire le categorie
di insoddisfatti, anche se in contrasto tra loro: salariati-consumatori alleati agli
intermediari-sfruttatori. Questa evidente contraddizione porta in sé la condanna della
democrazia parlamentare nella misura in cui le
difficoltà economiche e i deficit finanziari impediranno le decisioni a favore di singole categorie.
I gollisti, i
centristi, gli indipendenti, i comunisti, i socialisti lo sanno. Quello che essi non vogliano ammettere
è che la natura
e il senso delle battaglie politiche sono condannate all'evoluzione di una società mezza
capitalistica e mezzo
tecnoburocratica, che è la società di oggi. Anche all'interno dei partiti, i gruppi di
economisti, di esperti finanziari,
di organizzatori di tutti i generi, di elementi usciti dalle grandi scuole di amministrazione, sono coscienti
di
utilizzare delle parole che suscitano ancora vecchi riflessi ma che non corrispondono più
né alla realtà di oggi,
né a un futuro prevedibile, né alle intenzioni degli stati maggiori. Se è
necessario spiegare ai militanti di base, o alle folle elettorali che la differenza tra un "reazionarie" come
il
Jacques Chirac e un "rivoluzionario" come François Mitterand si limita al due tre per cento in
più o in meno nella
distribuzione dei crediti o alla nazionalizzazione di tre o quattro imprese di dimensioni nazionali,
è evidente che
le sonorità propagandistiche perderebbero molto del loro fascino. Più grave è
il fatto che di fronte a tutto ciò, la classe operaia - e le sue cosidette organizzazioni
rappresentative
non propongano (o non si sognano) alcuna politica propria. Esse si limitano a portare avanti delle
rivendicazioni
che non possono essere ottenute se non nella misura in cui si persegue l'immobilismo della
società attuale,
illudendosi che l'espansione economica non incontri alcun ostacolo e che lo sviluppo industriale si
infinito. Il loro
peso porta all'ottenimento di una parte dei profitti dello sviluppo, ma esse non mettono in discussione
l'essenza
stessa dell'economia alla quale sono assoggettate. La battaglia alla quale partecipano le forze politiche,
i gruppi
padronali e le confederazioni sindacali ha per obiettivo, fino ad ora, la divisione dei frutti dello sviluppo,
da un
lato, e la divisione degli oneri dello sviluppo, dall'altro. Se i partiti di sinistra e la maggior parte dei
sindacati
conservano la fiamma socialista è solo per rischiarare un avvenire in cui lo stato sarà il
sempre più potente
padrone rispetto ai proprietari ed agli imprenditori privati. La volontà rivoluzionaria di
origine operaia è quasi completamente scomparsa, almeno a livello dei partiti e dei
sindacati, i quali dicono di esprimere la volontà dei lavoratori. Dare la colpa alle dirigenze e ai
burocrati non può
spiegare un fenomeno così profondo. Quando tutte le federazioni sindacali dei trasporti e
dell'industria
aeronautica esigono - allineati con i gruppi padronali interessati - che sia mantenuta la fabbricazione
dell'aereo
supersonico Concorde, il cui costo è di diversi miliardi di nuovi franchi, esse
corrispondono effettivamente alla
mentalità degli operai e impiegati delle fabbriche di aviazione. Quando il transatlantico di gran
lusso France -
anch'esso costato miliardi e miliardi di vecchi franchi - viene disarmato perché lo sperpero
è troppo evidente,
l'equipaggio e i sindacati dei marittimi protestano e proclamano uno sciopero. Nessuna organizzazione
sindacale
sembra stupirsi o disgustarsi nel constatare che una parte importante delle esportazioni francesi è
costituita dalla
vendita di materiale bellico. È compito degli "altri", dello stato, del governo, di risolvere la
situazione in modo
che l'impiego, i salari siano garantiti. Così la classe operaia perde ogni velleità di azione
e ammette di essere una
clientela tra le altre. Una delle trattative più importanti che si sta svolgendo nella C.N.P.F.
(la centrale padronale) e le diverse
confederazioni (C.G.T. comunista, Force Ouvriere riformista, C.F.D.T. recentemente impegnata nel
gioco politico
della sinistra) riguarda le garanzie di indennizzo e di sperequazione a favore dei salariati di imprese che
devono
chiudere per ragioni economiche. Le controparti sono d'accordo, salvo su un punto: i sindacati esigono
che il
reimpiego sia garantito prima che l'impresa chiuda, mentre i padroni stimano che essi non possono
assumersi
questa responsabilità, essendo questo il compito di un regime che garantisce delle
indennità di licenziamento,
delle indennità di disoccupazione delle modalità di riconversione, degli uffici di
riassunzione. Vale a dire che a
quel punto la condizione del lavoratore salariato si è avvicinata notevolmente a quella del
funzionario dei servizi
pubblici, e che l'orientamento della politica delle centrali sindacali si basa sul perpetuarsi dell'economia,
così
come essa funziona attualmente. È in questa atmosfera, in cui si percepisce a volte il panico,
mentre ufficialmente i "responsabili" fanno finta di
credere alle virtù dell'espansione eterna, che si tracciano o sono tentate, le manovre politiche. Gli
indipendenti,
che beneficiano dei vantaggi del potere presidenziale, hanno raccolto centristi e un gran numero di gollisti
intorno
a sé. Anche se questo non impedisce loro di prepararsi a portare via qualche seggio ai loro alleati
dell'U.D.R., alle
prossime elezioni, in modo da stabilire un certo equilibrio nella maggioranza. Da parte dei gollisti,
malgrado la
loro rapida decadenza - o proprio per questo - l'amarezza e i rancori hanno lasciato il passo a una certa
complicità con il nuovo regime, complicità favorita da sovvenzioni ufficiose che
permettono alla macchina del
loro partito di continuare a funzionare. Sono proprio loro l'oggetto di vistosi e chiassosi appelli da parte
del
Partito Comunista che scopre in essi dei preziosi partigiani della grande politica gollista, quella che
trattava con
freddezza gli Stati Uniti e propendeva verso l'intesa coi Paesi dell'Est. Intesa che non è da
escludere a termine,
e in determinate situazioni internazionali, ma che, oggi, non ha grandi possibilità di sbocchi reali
perché labilità
di manovra del P.C. non può nulla contro la dura realtà. Socialmente e politicamente,
il partito di George
Marchais è diventato una organizzazione di tipo socialdemocratico: basi municipali, basi
sindacali, gran parlare
di "lotta di classe" e riformismo pratico. Curiosamente a mantenere l'unità del partito è
la fedeltà verso la politica
estera sovietica, è la vecchia disciplina moscovita per tutto quello che di rilevante accade nel
gioco internazionale.
Senza questa dipendenza, lo scoppio di un organizzazione dove le adesioni ad essa dipendono da
un'infinità di
interessi particolari e da una vaga e poco costosa simpatia per il "progresso sociale", sarebbe inevitabile
e rapida.
Ma l'insieme dei quadri comunisti è perfettamente cosciente di questo apparente
paradosso. Non va certo meglio dal lato socialista, in cui coesistono numerose tendenze che
contribuiscono a fare del partito
un magma piuttosto che una organizzazione unita. È significativo che i suoi militanti siano in gran
maggioranza
dei "colletti bianchi" e che il loro reclutamento avvenga soprattutto nel settore dei "quadri". A grandi
linee, si può
definirlo come il partito della piccola e media nuova borghesia salariata. Sul piano della politica
internazionale, i punti di vista divergono, sebbene l'attuale intesa Washington-Mosca non
sia fatta per sottolineare le opposizioni o precipitare le rotture. Benché sia azzardato
pronosticare quello che succederà domani, dato l'interrogativo che pone il destino
dell'economia mondiale, tuttavia si può ipotizzare - mettendo da parte tutta la fraseologia
propagandistica - che
una crisi industriale e finanziaria aperta (non è ancora il caso di oggi) troverebbe in Francia gli
elementi necessari
alla creazione di una "unione nazionale", alla quale parteciperebbe la maggior parte dei partiti e che
fornirebbe
il rifugio protettore all'azione di una tecnoburocrazia cosciente delle sue funzioni postcapitalistiche, con
l'aiuto
eventuale del P.C., se questa unione nazionale mantenesse l'equivoco della neutralità o del gioco
dell'altalena,
e se, come molti indizi fanno credere, l'Unione Sovietica stimasse di aver bisogno dell'occidente per
assicurare
il suo sviluppo economico. Tutte grigie prospettive che non possono certo provocare l'entusiasmo.
Cosicché si assiste, e si assisterà senza
dubbio sempre più, alla proliferazione di gruppi e movimenti marginali, alcuni a carattere
religioso, che non
stanno al gioco e che cercano altre ragioni per vivere e sperare, delle ragioni che non siano quelle del bue
felice.
S. Parane
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