Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 6 nr. 44
gennaio 1976


Rivista Anarchica Online

A.R.C.I: i burocrati della cultura
di Claudia V.

La politica culturale del PCI

Dopo il 15 giugno, soprattutto nelle ex "zone bianche", anche l'ARCI, l'organizzazione attraverso la quale si realizzano le iniziative culturali del PCI, è partita alla riscossa e con pazienza e golosità tesse buona parte della rete di organizzazioni sociali del potere comunista.

L'azione dell'ARCI vuole essere capillare, in modo da coprire interamente tutto il territorio nazionale, articolato, nei diversi luoghi o settori sociali (casa, scuola, fabbrica, quartiere) in cui si svolge il lavoro e la vita del cittadino, pluralistica nel senso che in questa azione a tappeto l'ARCI (e attraverso questa il PCI) "non guarda in faccia a nessuno", dimentica i vecchi rancori, si presenta come paciere nelle beghe tra i cittadini più bellicosi, sorvola sulle differenze politiche, ideologiche, religiose e soprattutto di classe, e lavora per tutti.

Questo lavoro ha come centro l'amministrazione comunale: un'amministrazione severa e frugale è il banco di prova del PCI: tutti i problemi della città (politici economici e sociali) hanno come perno l'amministrazione; la gestione politica è sempre ricondotta alla 'struttura' fondamentale da rinnovare: l'amministrazione.

Per questo motivo, anche nel campo culturale, il PCI ha abbandonato le verbose polemiche che avevano caratterizzato nell'immediato dopo guerra le discussioni sulle libertà estetiche e ideologiche tra intellettuali e sulle riviste, e ha affidato all'ARCI il compito di organizzare la politica culturale mettendosi a fianco e in contrasto con gli organismi già esistenti (primo fra tutti l'ENAL) e i diversi enti pubblici che attualmente svolgono lavoro culturale e sociale, per dare la dimostrazione di saper svolgere un'azione amministrativa alternativa e migliore e, contemporaneamente, per allargare e coordinare l'azione politica anche a tutta la città: è questo un disegno dunque che, partendo da un discorso politico vuole arrivare alla gestione sociale passando attraverso una riforma d'amministrazione.

Se il partito ha il compito specifico di barattare in Parlamento la vita 'politica' dei cittadini e il sindacato nelle fabbriche il loro lavoro, tutto il resto appartiene all'ARCI: perciò è importante individuare i legami tra questi tre momenti di potere sia perché la loro unità è proprio nel programma comunista (fa parte della sua strategia), sia perché è il risultato delle analisi più recenti sul 'tardocapitalismo' e la tecnoburocrazia e le proposte sociali sono perciò state elaborate apposta, per essere adattate alla nuova situazione ed essere possibilmente durature 'strutturali'.

Il cammino che l'ARCI sta percorrendo è indicato dall'ARCI stesso in uno dei temi di dibattito svoltosi durante il convegno del 16/18 maggio del '75 a Firenze: "Dai circuiti alternativi alla programmazione del territorio": in esso si raccoglie l'esperienza di quasi nove anni che ha come inizio la creazione di un nuovo circuito teatrale con Dario Fo. L'unico circuito teatrale allora esistente era l'ETI (Ente Teatrale Italiano): il suo compito era, ed è, di programmare il 'giro' delle compagnie teatrali, di procurare cioè i teatri per gli spettacoli, le cosiddette 'piazze', contrattando con i gestori dei locali (cinema, teatri, sale) o con i proprietari stessi, accordandosi sulla distribuzione degli incassi ecc. Dal canto loro, gli stessi attori venivano (e vengono tuttora) ingaggiati nelle compagnie per certi lavori, assunti per certi lavori, assunti per un certo periodo di tempo.

Rispetto a questa gestione di tipo 'capitalistico' dell'organizzazione teatrale, l'ARCI ha tentato un rinnovamento che si fonda su tre punti: la formazione della compagnia, il ruolo degli enti pubblici, la formazione del pubblico.

Per quanto riguarda la compagnia l'ARCI si basa soprattutto e volutamente, sulle cooperative: alla gestione capitalista contrappone una rete di compagnie organizzate in cooperativa, le cui norme sono identiche a quelle di qualsiasi altra cooperativa di produzione: gran parte di questi gruppi produttivi sono ora parte integrante dell' ARCI e lo sforzo dell'ARCI è di tradurre in tale forma anche le altre associazioni (club, circoli o gruppi autogestiti) con i quali collabora. Questo sostegno che l'ARCI dà alle cooperative ha diversi scopi. Innanzitutto riconduce le attività culturali sullo stesso piano, da un punto di vista economico, delle altre attività produttive organizzate in cooperativa: questi organismi sono l'ossatura sociale ed economica del partito al quale sono strettamente collegate: far rientrare il discorso culturale nell'ambito di una produzione culturale significa perciò mirare a un maggior controllo politico e sindacale. Infatti, uno degli slogan dell'ARCI è 'Oltre lo spettacolo, oltre la cultura, oltre il gruppo' in cui si esprime chiaramente l'intenzione di dare una forma politica ed economica specifica all'attività culturale. Non solo: nello slogan suddetto si parla anche di andare 'oltre lo spettacolo' 'oltre la cultura': ossia di estendere l'azione culturale al campo sociale: come vedremo in seguito questo allargamento coinvolge gli enti locali e l'amministrazione comunale. Per il momento notiamo che uno degli sforzi dell'ARCI è di dare forma cooperativa a tutte le iniziative sociali: accanto ai coltivatori diretti troviamo in cooperativa i pittori, assieme agli allevatori, qualche ex centro sociale o i gruppi sportivi.

Questo programma dell'ARCI ha anche una ideologia specifica ben definita che emerge qua e là nell'uso sempre più diffuso del termine 'produttivo' riferito a queste cooperative culturali: accolto con entusiasmo soprattutto dai gruppi di sinistra, è proprio da questi gruppi che viene usato in senso non specificatamente economico, ma per i sottintesi sfondi "proletari" che danno dell'uomo di cultura una visione opposta a quella tradizionale che lo voleva assente e volubile, è questo termine, si diceva, a far pensare che dietro la sbandierata uguaglianza delle cooperative stia mettendo radici lo slogan del PCI del "tutti uguali rispetto alla produzione: chiunque produce è uno sfruttato, un proletario": infatti a questa mutata coscienza dell'intellettuale e dell'artista da cicala a formica non ha corrisposto, né a livello teorico, né di realizzazione, all'interno delle cooperative un superamento della divisione del lavoro manuale e intellettuale: l'organizzazione cooperativa non garantisce nessuna rotazione (che è affidata piuttosto alla coscienza di qualche raro gruppo) e se consideriamo la vita di una qualsiasi cooperativa di teatro le numerosissime mansioni (relative alle luci, manutenzione del teatro, pubblicità, preparazione costumi, segreteria, contabilità) che sono necessarie per la vita di una compagnia sono rimaste nelle stesse mani, o sulle stesse spalle, di chi li teneva prima.

Oltre alla compagnia che produce, il secondo anello della catena del potere è dato, nel programma dell'ARCI, dalla 'struttura pubblica': e qui si entra nel campo dei finanziamenti, dei rapporti con le amministrazioni locali.

La battaglia condotta dal PCI per "l'affermarsi di un nuovo concetto dello Stato e della società, non più ancorato a formule e a strutture centralistiche del potere, ma modellato su uno schema policentrico di cui il concetto di decentramento regionale e l'affermazione del ruolo delle autonomie locali costituiscono la struttura portante", questa battaglia ha come scopo "l'esercizio della libertà delle autonomie locali contro il controllo centralizzato delle fonti di finanziamento". Il braccio di ferro del PCI con lo Stato per il controllo amministrativo avrebbe, in caso di vittoria del decentramento, delle conseguenze immediate per le associazioni culturali e sociali le quali, non dimentichiamolo, siano esse organizzate in forma cooperativa o in altro modo, dipendono sostanzialmente dai finanziamenti dello Stato (una cooperativa teatrale di professionisti riceve dallo Stato un finanziamento proporzionale al numero di repliche effettuate: quasi sempre, poiché le repliche sono legate alla condizione che la compagnia lavori in un teatro stabile e abbia un proprio giro, succede che, non avendo altre fonti di entrate, per diventare professionista, e avere dunque le sovvenzioni, la compagnia deve essere già professionista): il controllo finanziario sulle cooperative culturali sarebbe quindi un grosso passo avanti per il PCI, che da anni punta sulle gestioni locali. Già però qualcosa il PCI (e a suo fianco l'ARCI) possono strappare alle grandi tasche dello Stato: sbandierando i dettami costituzionali che attribuiscono alle regioni la facoltà di emanare norme legislative in materia di ordinamenti relativi a uffici e enti amministrativi dipendenti dalla regione (l'assistenza sanitaria e ospedaliera, il turismo e l'industria alberghiera), il PCI ha la possibilità di entrare in diversi settori sociali. Ma per meglio capire come questo avvenga, arriviamo ora al terzo anello della catena: alle associazioni di base.

A prima vista, l'operazione comunista nei confronti dei gruppi di base assomiglia a un massiccio rastrellamento animato da un singolare spirito ecumenico: le citazioni di organi di base con i quali il partito e l'ARCI vogliono collaborare si trasformano spesso in lunghe liste: scuole, città, comprensori, comunità, circoli, Società sportive, Società di mutuo soccorso, CRAL, organismi studenteschi, cineforum, doposcuola, dopolavoro, case del popolo, case; le liste proseguono così in modo ansioso fino a comprendere tutte le formazioni in cui almeno due persone si trovino "in nome del popolo"; e lì c'è il PCI.

In realtà l'atteggiamento comunista nei confronti delle associazioni è di due tipi: di comprensivo abbordaggio nei confronti dei gruppi più lontani e meno assimilabili, di costruzione della futura società con gli altri. I consigli di quartiere, i sindacati, i delegati scolastici e tutti i gruppi di base legalizzati e le cooperative, sono le strutture portanti della vita economica e politica dello Stato: nell'azione coordinata di tutti questi numerosi gruppi di base si realizza la democrazia diretta; è una democrazia formata dunque da piccoli gruppi, che ha il vantaggio quindi di essere molto diffusa; in cui i ruoli politici vengono distribuiti secondo le rispettive funzioni nel campo del lavoro, delle scale gerarchiche e delle categorie, o secondo i ruoli sociali (quelli svolti per esempio nei comitati cittadini); il potere, pur fondandosi su una distribuzione a piramide della delega popolare, ha allargato la sua base (e ristretto la cima, assomigliando così ancor più a un dinosauro) e ha moltiplicato le sue radici, si è aperto in mille rivoli di incarichi di tutti i tipi. La base di questa democrazia funziona secondo un meccanismo di rovesciamenti, salite e discese di deleghe di tutti i formati, che resta però sempre ben legata alla base, al basso; i cittadini della base sono letteralmente bombardati dalla soluzione di problemi particolari dell'esistenza quotidiana, i quali coprono interamente la visione dei problemi generali. La base viene tenuta democraticamente impegnata nella lotta faticosa per avere una casa, una scuola, una fogna: le forme quotidiane dello sfruttamento, quelle che fanno sentire lo sfruttamento sulla pelle degli sfruttati si trasformano in altre catene perché si identificano con lo sfruttamento stesso e la loro soluzione come un passo avanti nell'emancipazione. E tutto questo si svolge mentre, nelle late sfere il vertice del PCI, che non fa politica di condominio, spinge per un programma europeo dei partiti comunisti, per lo sviluppo del Parlamento europeo, sostiene caldamente l'iniziativa della CGIL che per prima in Europa ha proposto un sindacato europeo, con lotte a livello internazionale per porsi a fianco (come spina o come sostegno) della CEE, proprio quando cioè il PCI ha cominciato ad elaborare una nuova strategia in rapporto al 'capitalismo monopolistico di Stato'. All'interno di questa situazione l'ARCI, che partendo dalla creazione di un circuito alternativo punta ora alla 'programmazione culturale del territorio' oltre la cultura, si pone come "sutura tra le strutture associative di base e finalità più generali", per quella riforma dello Stato che passa attraverso i nuovi rapporti tra il cittadino e le istituzioni.

Il meccanismo di questa democrazia è forse più chiaro se si considera in quale modo l'ARCI stesso, in quanto coordinatore, vede realizzati i rapporti tra queste istituzioni: l'ARCI riconosce "la priorità all'Ente finanziatore che ha la sua politica promozionale e deve assicurarsi che l'iniziativa muova in quella direzione; il nucleo produttivo agisce non solo per se stesso, ma cercando una sintonia con il destinatario; il momento associativo segue le varie fasi della produzione, partecipa all'organizzazione della produzione, fornisce appoggi e verifica i contributi critici".

Dunque: 'gli operatori culturali' (che avrebbero come obbligo di produrre manualmente e intellettualmente cultura) continuano a godersi i piaceri dello spirito, costruendo però "rapporti creativi e validi fra intellettuali e masse", approfittando di questa nuova situazione sociale che "permette di verificare la natura del raccordo fra intellettuali produttori di cultura e masse" e di " facilitare il dibattito e l'aggregazione"; nel frattempo i rappresentanti della base e gli agenti dell'ARCI vengono sguinzagliati a 'raccogliere le istanze': già li abbiamo visti, nei teatri posti a loro servizio, senza pubblico, a visionare gli spettacoli per giudicare se essi siano o no validi per i quartieri.

L'ARCI ci tiene alle differenze: non cerca una "gestione localista, ma un momento di costruzione unitaria (non federalistica) che sale dal basso e nella quale non v'è un vertice contrapposto alla periferia e una periferia contrapposta al vertice": e noi che credevamo che le 'convergenze parallele', gli equilibri più avanzati ed altri equilibrismi ancora appartenessero solo alla DC!

All'improvviso invece ci troviamo di fronte a una cosa che sale... ma non ha vertice (che cos'è? un infinito? un concetto geometrico? una figura poetica?), in cui si precisa che "il vertice non si contrappone alla periferia': infatti in genere è solo un centro che si contrappone alla periferia, mentre il vertice si oppone alla base, abbiamo qui un curioso decentramento che 'non deve essere federato' e tuttavia vuole essere unitario: ma come? se si esclude il federalismo non resta che la centralizzazione; ma qui si vuol parlare di una centralizzazione senza centro, del nulla.

Che anche il PCI sia stato contagiato dalla DC della sua stessa malattia?

Claudia V.