Rivista Anarchica Online
Il samurai tecnocrate
di Kan Eguchi (traduzione di Aurora F. Da Interrogations n.6)
La nuova classe dirigente in Giappone
Pubblichiamo qui di seguito la traduzione del saggio di Kan Eguchi "Le Pouvoir centralisateur au
Japon" apparso sul n.6 della rivista internazionale di ricerche anarchiche Interrogations. Il testo è
un primo approccio al problema dell'ascesa della nuova classe dirigente in Giappone e, pertanto, non
pretende di essere qualcosa di definitivo e completo. Con questo articolo l'autore ha cercato di
sottolineare alcuni momenti caratterizzanti delle trasformazioni socio-economiche in atto nel Paese
del Sol Levante e di porre le premesse per uno studio più approfondito. Questo servirà a capire,
almeno in parte, la carenza di informazioni sulla tecnoburocrazia giapponese e in quest'ottica la
proponiamo ai nostri lettori.
Il caso giapponese presenta, per lo studio della natura delle nuove classi dirigenti, un certo numero di
caratteristiche interessanti. La struttura economica che sta alla base del potere è caratterizzata da una
forte tendenza al monopolio, benché i due settori - grandi imprese da una parte, piccole e medie imprese
dall'altra - sono sempre distinguibili, e anzi le differenze sono sempre più marcate. Per esempio, la
classifica delle imprese industriali per numero di salariati deve i seguenti dati nel 1968: meno di 100 -
52,1%; da 100 a 499 - 22,2%; da 500 a 999 - 8,3%; più di 1.000 - 17,4%.
Ciò che è determinante ai fini dell'evoluzione è che le grandi - e grandissime - imprese ottengono con
relativa facilità capitali e crediti sul mercato finanziario, e che, d'altra parte, smerciano i propri prodotti
a livello di mercato nazionale. Al contrario, le medie e piccole imprese raccolgono fondi con difficoltà
e, a volte, lo smercio dei loro prodotti è limitato ad una regione o dipende dalle imprese a grandi
dimensioni di cui sono spesso sub-appaltatrici. Tra i due settori si nota una considerevole differenza di
qualità della manodopera a livello tecnico. Nelle medie e piccole imprese le condizioni di lavoro sono
nettamente più dure. Vi è una tendenza delle piccole e medie imprese alla dipendenza dai grandi
complessi monopolizzatori, come risultato del crescente scaglionamento.
In questo modo, malgrado questa doppia struttura persistente, l'economia giapponese subisce l'influenza
dirompente dei capitali monopolizzatori. Tra le 820.000 imprese private (la somma dei loro capitali è
di circa 2.100 miliardi di yen) abbiamo nel 1969, 1.099 super imprese il cui capitale sorpassa, per
ognuna, i 1.000 milioni di yen. Sebbene non rappresentino che lo 0,1% del numero delle imprese, esse
detengono quasi il 51% del totale dei capitali. Sono queste super-imprese che controllano le principali
industrie: nel 1969 controllano il 99,7% dell'elettricità; il 92% delle costruzioni navali; il 90%
dell'elettromeccanica e il 75% delle industrie chimiche.
Come vengono controllate queste masse di capitali? Seguendo una serie di studi sviluppati da Y.
Miyazaki, la società per azioni a proprietà maggioritaria o a controllo individuale non ha più nessuna
rilevanza. A partire dal 1960, la ripartizione delle azioni ha subito questa evoluzione: la proprietà
individuale è diminuita ed è scesa al di sotto del 50%, al contrario la proprietà delle imprese è aumentata
ed ha superato il 50% (66,9% nel 1972). Tra queste azioni, quelle corrispondenti a banche e compagnie
di assicurazioni che controllano la circolazione monetaria tendono ad aumentare (33,8% nel 1972).
Questa tendenza corrisponde alla nuova forma di impresa dominante; un'inchiesta basta su 466 società
anonime il cui attivo supera i 5.000 milioni di yen (nel 1966), ha dato i seguenti risultati: 17,40% sono
di proprietà familiare, 55,7% di propietà di altre imprese, 25,2% sono controllate dal consiglio di
amministrazione, 1,7% di proprietà governativa o comunale.
Un'altra tendenza si delinea con la costituzione di gruppi di imprese la cui proprietà è comunque a grandi
complessi e di cui i gruppi finanziari di credito ne assumono il "ruolo motore". In Giappone
l'autofinanziamento delle grandi e grandissime imprese è, in generale, poco elevato: tra il 20 e il 25%
in media. Esse devono dunque contare sul prestito, ciò che conferisce una considerevole potenza ai
gruppi finanziari. Spesso l'impresa si sviluppa grazie all'intervento decisivo di una banca: prestito
iniziale, crediti progressivi, per giungere infine all'estensione con il sistema di interpenetrazione e di
proprietà comune delle azioni. Alla testa dell'economia giapponese vi sono oggi simili gruppi di imprese.
I dirigenti delle super-imprese formano progressivamente una classe monopolizzatrice, generalmente non
sono proprietari dell'impresa, eccezion fatta per un certo numero di capitalisti possidenti. I dirigenti
hanno il potere, naturalemente, solo durante il periodo in cui ricoprono la carica, ciò però non significa
che siano neutri nei confronti del capitale; conservano il posto solo nella misura in cui sappiano gestire
e sviluppare l'impresa. Essi sostengono che l'impresa appartiene agli azionisti, ai consumatori, alla
società, mentre in effetti non tengono in nessun conto le assemblee generali degli azionisti, si sforzano
di mantenere prezzi di monopolio anche quando la produttività cresce e i benefici aumentano, non
ammettendo aumenti salariali in caso di aumenti dei prezzi e rifiutano ogni responsabilità circa
l'inquinamento. Riassumendo, si comportano come i servitori del profitto privato che contraddistingue
oggi le imprese o i complessi di imprese.
Questa classe con mentalità monopolizzatrice si alle con uomini di partito e alti funzionari che formano
quella che può essere definita la classe dominante del potere politico. Dalla fine della seconda guerra
mondiale, il potere politico in Giappone si trova, praticamente senza interruzioni, ad essere nelle mani
del partito conservatore. Esistono strette relazioni tra il partito al governo e il sistema capitalista di
monopolio. Esse sono evidenziate dalle sovvenzioni che i gruppi finanziari e industriali accordano al
partito, alle sue correnti ed ai suoi rappresentanti. Gli alti funzionari - che orientano di fatto il gioco
politico - sono, tranne alcune rare eccezioni, favorevoli al sistema di monopolio. Numerosi dirigenti
politici del partito al governo provengono da ambienti di alti funzionari e, naturalmente,
dall'amministrazione delle finanze. L'influenza degli ex-grandi funzionari, in seno al mondo politico,
tende ad aumentare. Gli alti funzionari (quelli che hanno maggior peso) sono in stretti rapporti anche
personali con gli uomini politici più importanti. D'altra parte vediamo numerosi alti funzionari statali
trasformarsi in gerenti dei complessi di imprese private.
Quali sono i servizi diretti che presta "la politica" alle super-imprese? Secondo uno studio fatto da R.
Ohtsuki, sono molti: a) diminuzione delle imposte sotto forma di premi esportazione, prestiti a interesse
ridotto; b) investimenti favorevoli ai complessi industriali a titolo di lavori pubblici; c) tariffe ridotte per
l'elettricità, l'acqua e i trasporti; d) acquisti massicci - a prezzi di mercato - dei prodotti; e) conquista
dei mercati esteri favorita dai capitali di Stato - assistenza ai paesi stranieri, indennità di guerra, ecc. -;
f) nazionalizzazione delle industrie in passivo.
La politica economica giapponese è basata sul principio secondo cui lo sviluppo della produzione e
l'aumento delle esportazioni arreca benefici a tutta la popolazione. In realtà questa politica rafforza il
capitalismo monopolizzatore. L'esempio della politica agricola è tipico per la verifica di questo risultato.
La logica di questa politica era la seguente: se il grano o i fagioli nordamericani sono meno cari di quelli
nazionali è preferibile acquistarli; se si utilizza un terreno come risaia e si fa il raccolto una volta all'anno,
è preferibile impiantare in questo terreno una fabbrica di automobili che permetterà di fabbrica vetture
al ritmo di una ogni due o tre minuti. Dunque un investimento efficace impone la trasformazione della
fattoria in fabbrica. È per questo motivo che nel 1972 la capacità di produzione nazionale di cereali è
diminuita fino a raggiungere il solo 43% dei bisogni nazionali. Parallelamente il numero di contadini è
diminuito. Essi hanno abbandonato la terra per alimentare la manodopera necessaria alla rapida
espansione dell'industria.
Si può calcolare il numero dei membri della classe dominante (capitalisti e gerenti di monopoli, politici
di professione, alti funzionari)? Approssimativamente sono 40.000 (1) su di una popolazione di 110
milioni di abitanti, di cui 17.000 capitalisti, 3.000 uomini politici di carriera e 20.000 alti funzionari.
La maggior parte di loro non sono propietari dei mezzi di produzione, esercitano una funzione di
direzione o di consigliere di direzione. Se sono ricchi non lo sono straordinariamente, se sono corrotti
lo sono solo fino ad un certo punto, i loro privilegi non sono ereditari, li tengono a coronamento di 20
o 30 anni di sforzi e dopo aver avuto una preparazione universitaria. La loro posizione è dovuta ad una
promozione o ad una qualifica superiore. Godono di vantaggi nella misura in cui questi corrispondono
alle loro mansioni. Essi comandano ma non gli è dato modo di comportarsi da tiranni. Normalmente
ammettono la libertà di stampa, di associazione e di opinione. Non prenderanno mai misure di
repressione diretta tranne nel caso in cui il sistema che essi appoggiano e di cui fanno parte sia
minacciato. Riepilogando, essi non ci offrono il volto del padrone classico.
Nonostante questo, a nostro avviso, essi non sono più sopportabili né più accettabili della classe
dominante di ieri in quanto è loro possibile intervenire nell'esistenza di ogni individuo con una forza
superiore a quella del dittatore di altri tempi. Sono i mezzi di produzione, i sistemi di distribuzione, gli
apparati burocratici, i metodi di insegnamento, l'esercito e la polizia che stanno alla base della loro
potenza, una potenza che non ha esempi nel passato. La società super-organizzata sbocca in un governo
unidimensionale. I dirigenti sono alla vetta di questa organizzazione e di questo potere.
Essi sono in grado di controllare le masse produttrici e consumatrici, di imporgli una vita conformista,
di vietare loro ogni prospettiva, ogni possibilità, ogni spinta alla vita individuale, facendo credere loro
(e questa è la loro abilità) che questi sono i desideri di ognuno e di tutti. A partire dal 1960 la crescita
economica e le innovazioni della tecnica hanno favorito una certa elevazione del livello di vita in
generale, il pieno impiego e l'alleggerimento della fatica sul lavoro. In effetti il benessere si è esteso alla
popolazione ed i salari sono aumentati in media del 10% l'anno. Da ciò e scaturita l'illusione che
nonostante il sistema monopolizzatore e i suoi dirigenti siano di un'estrema insolenza, la popolazione
abbia avuto il suo tornaconto. La classe dominante è riuscita ad organizzare la società seguendo il
principio dell'egoismo. I sindacati operai hanno svolto, dal canto loro, un ruolo importante in questo
fenomeno di integrazione.
Il sistema creato dalla classe dominante si trova, malgrado la sua straordinaria potenza, in una fase
critica. Depressione mondiale, scaturita da quella che è convenuto definire la crisi del petrolio, arresto
della rapida crescita economica, blocco della tecnologia avanzata, problemi di approvvigionamento di
materie prime, estensione dell'inquinamento. Si cerca una nuova strada, ma fino ad oggi non vi sono
ancora elementi per una alternativa.
Socialisti e comunisti mirano solo alla conquista del potere ed ad una modifica del sistema di
distribuzione, senza mettere in questione il mito della produttività e dell'organizzazione centralizzata,
cioè senza mettere in questione le basi stesse del sistema vigente. Se arriveranno al potere, il sistema
soffocante della società non sarà modificato, anzi, è probabile che sarà perfezionato.
Dobbiamo constatare nostro malgrado che i libertari stessi non presentano una soluzione alternativa.
Propugnano senz'altro l'idea di autogestione e la forma dei consigli, concezione senza dubbio giusta ed
efficace, ma insufficiente se limitata a questioni di decisione e di gestione.
L'attuale società funziona seguendo una centralizzazione estrema, l'autogestione può essere esaminata
e realizzata solo se tutta la base di questa società è chiamata in causa e se la prospettiva di cambiamento
comporta una radicale trasformazione della concezione dell'intera esistenza.
I problemi che si pongono ai libertari soprattutto sono numerosi. Quali sono le condizioni economiche
e sociali favorevoli all'espansione delle possibilità creatrici dell'uomo? Quale ruolo si svolgono la
coscienza e la maturità degli individui? In che misura bisogna scartare alcune possibilità tecniche? Quali
sono i criteri di valori che devono sostituire l'alta produttività e la ricerca del minor costo? In quale
misura la produzione attuale è inutile? Come stabilire una sana relazione tra agricoltura e industria?
L'economia deve essere essenzialmente basata sull'autarchia locale? Quali forme devono assumere gli
scambi internazionali?
È nella misura in cui saranno date o avviate delle risposte che un pratico approccio all'autogestione potrà
essere preso in esame. Senza questo, la nuova classe dominante ha tutte le carte in regola per
perpetuarsi, seppure con qualche variante.
(1) I dati riportati dall'autore sull'entità numerica della classe dirigente ci sembrano ricavati con un
criterio troppo restrittivo. Secondo P. Sylos Labini in "Saggio sulle classi sociali" pag.163, la classe
dirigente giapponese (proprietari, imprenditori, dirigenti e professionisti) ammontava nel 1965 a
1.640.000 individui. (N.d.R.)
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