Rivista Anarchica Online
Autunno a sorpresa
di L. L.
Crisi economica
Le previsioni si sprecano. Ottimisti e pessimisti a confronto: ognuno dei bigs dell'economia, della
finanza, della politica, ha pronta la sua brava analisi da cui esce non il coniglio bianco ma la profezia di
quello che avverrà in questo piovoso autunno italiano. Un tema che viene puntualmente ripresentato
dopo il "grande rientro".
Certo non si esaminano più le viscere degli animali, né il volo degli uccelli; viviamo in un'epoca
scientifica, dopotutto, e i moderni aruspici disdegnano queste pratiche primitive. Ciò nonostante
l'evoluzione degli avvenimenti non rispecchia quasi mai le previsioni. La realtà è sempre più complessa
degli schemi interpretativi, le variabili indipendenti e imprevedibili molto spesso giocano un ruolo
rilevante.
Non significa però essere profeti se si prevede un autunno duro e carico di restrizioni a tutto danno dei
lavoratori. È una pratica costante. Da quando l'economia è entrata in crisi (intendiamo l'ultima, iniziatasi
nell'autunno '69) tutte le misure prese per riequilibrare le sorti dell'imprenditoria italiana sono consistite,
quasi prevalentemente, nel diminuire i salari reali dei lavoratori e nell'imporre una riduzione dei consumi.
L'occupazione è messa in discussione in molti settori, soprattutto in quello pubblico che dopo anni di
gestione pazzesca e dilapidatrice presenta oggi il conto delle sue perdite chiedendo nuove sovvenzioni.
I sindacati sono concordi nel prevedere un "settembre pesantissimo", e dipingono il futuro a tinte ancora
più fosche, forse nel tentativo di far apparire più importanti le magre e risicate "vittorie" che potranno
ottenere. Rimane il fatto che numerose grandi imprese stanno forse per chiudere, vedi il caso dell'Unidal
(ex Motta-Alemagna), o prevedono drastici ridimensionamenti (Montedison, aziende dell'ex Egan, ecc.)
mentre nel frattempo le altre imprese non in crisi sicuramente si limiteranno a mantenere l'attuale stato
nei livelli occupazionali.
Se a questo quadro aggiungiamo l'ancora più pesante recessione già in atto nel Sud e l'aumento della
disoccupazione giovanile in tutta Italia, vediamo che la situazione è tutt'altro che rosea per i lavoratori.
L'impresa pubblica per anni propagandata come elemento di sviluppo e di stabilità economica, mostra
il suo vero volto. Un numero elevato di scandali hanno portato in superficie il clientelarismo, la
corruzione, l'incapacità dei managers pubblici abili soltanto nel richiedere finanziamenti dallo stato e
nell'aumentare l'indebitamento verso le banche, tanto che Guido Carli da diverso tempo propone di
convertire i debiti bancari delle grandi imprese in quote di partecipazione. La questione è ricca di
conseguenze e merita di soffermarcisi. Carli parte dalla constatazione che da diversi anni le banche
forniscono gli otto decimi del capitale occorrente per gli investimenti e questo significa che le imprese,
per continuare a vivere, utilizzano in misura ridottissima capitali propri affidandosi quasi interamente ai
capitali raccolti dagli istituti di credito. A questo punto è necessario riconoscere - sempre secondo Carli -
l'importanza delle banche nelle decisioni aziendali e a tale scopo le banche, soprattutto I.M.I., I.C.P.U.
e Mediobanca, dovrebbero costituire dei consorzi per avviare un programma di conversione di quote
dei loro crediti in titoli azionari. Verrebbe così a crearsi un altro polo di direzione aziendale che,
riconosciuta l'inefficienza delle holdings statali (I.R.I., E.N.I., ecc.), dovrebbe guidare la ristrutturazione
dell'economia italiana.
A parte il fatto che la presenza delle banche nelle imprese non significa certo un automatico riassetto
della loro gestione fallimentare, rimane da chiedersi come mai negli anni trenta, quando questa
condizione era in larga parte attuata, fu proprio necessario creare l'I.R.I. per salvare sia le imprese sia
le banche che ne erano azioniste. Probabilmente l'esperienza storica difetta ai dirigenti italiani e così
assistiamo alla corsa ai pannolini caldi, ogni volta presentati come miracolosi toccasana.
Mentre gli "esperti" economici e finanziari preparano le loro ricette per guarire l'economia malata, i
commentatori politici cercano di esorcizzare la "ripresa dell'attività dei sovversivi": "è passata l'estate,
anche i terroristi sono andati in vacanza, sono tornati nelle città, nelle fabbriche e negli uffici a scoprire
che?" si domanda retoricamente Giorgio Bocca. Sarebbe troppo facile rispondergli con ironia oppure
unirsi al coro dei "profeti", ma sarà più opportuno che a domande di questo tipo rispondano le lotte
sempre più coscienti che potranno essere innescate da questa situazione oggettivamente favorevole.
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