Rivista Anarchica Online
LETTURE
a cura di M. R.
Bakunin cent'anni dopo (Atti del convegno internazionale di studi bakuniniani), Edizioni Antistato,
Milano 1977, pp.470, Lire 5.000.
Gli Atti del convegno internazionale di studi bakuniniani tenutosi a Venezia il 24-26 settembre dello
scorso anno pubblicati ora dall'Antistato costituiscono senza dubbio il più completo ed aggiornato
panorama di studi sull'anarchico russo. Il volume riveste una particolare importanza in quanto esprime
una pluralità ideologico-scientifica perché vengono studiati l'azione e il pensiero di Bakunin sia sotto
diverse prospettive disciplinari (politiche, storiografiche, filosofiche, pedagogiche, ecc.), sia con
diversi tagli ideologici. In questo modo esso risponde a più domande ed esigenze attuali sottraendosi
ad un esito meramente accademico-celebrativo, per acquistare così un maggior valore scientifico. Ne
scaturisce, in tal modo, una dimensione problematica che introduce tutta una serie di questioni teorico-pratiche di vasto respiro critico. Innanzitutto viene messa a fuoco in alcuni interventi (Enckell, Masini,
Antonioli, Feri, Maitron) la complessa e per certi versi discontinua fortuna dell'ereditarietà
bakuniniana nel movimento operaio e socialista secondo un confronto fra lo sviluppo proprio di questo
e quello dell'anarchismo bakuninista e non. È un intreccio storico inerente alla più che mai aperta
questione teorica del rapporto fra lotta politica e lotta economica, fra lotta rivoluzionaria e lotta di
classe. L'insegnamento bakuniniano risulta a questo proposito complessivamente valido, anche se
caduco rimane senz'altro l'aspetto babeuffista della sua concezione organizzativa (e qui si può vedere
il saggio del Vuilleumier).
Altrettanto complessa risulta la riflessione sul confronto Bakunin-Rousseau, Bakunin-Marx, Bakunin
e sinistra hegeliana. Complessa perché l'immagine teorica che viene ricostruita del suo pensiero risulta
quanto mai varia ed articolata. Vero che, ad esempio, Guerin e Settembrini concordano grosso modo
nell'identificare il rivoluzionarismo bakuniniano nel "negativismo" della matrice hegeliana di sinistra,
a loro giudizio mai spenta; ma vera e convincente risulta però anche la penetrante interpretazione
della Ghibaudi circa il comune nesso illuministico che accomuna, pur nella differente prospettiva
costituiva della nuova società, Bakunin e Rousseau. In un certo senso si può leggere su questa scia
anche il bel saggio della Tomasi circa la dimensione pedagogica del pensiero di Bakunin. La Tomasi,
al pari della Ghibaudi, mette in luce il fermo convincimento dell'anarchico russo sulla "perfettibilità"
della natura umana e quindi sulla possibilità di un'educazione globale tesa a fare di ogni uomo un
essere completo attraverso lo sviluppo delle sue facoltà fisiche ed intellettuali.
Per quanto riguarda il rapporto Bakunin-Marx si possono vedere i saggi del Pellicani e del
Settembrini. Il primo, attraverso una disamina delle anticipazioni bakuniniane sugli esiti storici del
marxismo, dimostra come l'anarchico russo avesse profondamente intuito il ruolo dell'ideologia
marxista funzionale alla nuova classe in ascesa verso il potere: la tecno-burocrazia che sostituirà il
dominio borghese, da Bakunin definita profeticamente la "burocrazia rossa". A Settembrini invece
interessa far rilevare la sostanziale convergenza che, a suo giudizio, ci sarebbe fra Marx e Bakunin
rispetto all'uguale intento rivoluzionario teso alla distruzione dello stato delle cose presenti, pur
nell'abissale differenza ideologica. Anzi, sarebbe proprio questa differenza a renderli complementari
in quanto entrambi ricoprirebbero reciprocamente uno spazio: il marxismo l'area riformista,
l'anarchismo quella rivoluzionaria.
In conclusione si può dire che i tre aspetti inerenti, rispettivamente, all'influenza storica dell'azione
di Bakunin, ai problemi teorici posti dal suo pensiero ed agli spunti di attualità che quest'ultimo
ancora oggi offre, danno sufficientemente l'idea della sua importanza. Soprattutto con questi studi
comincia a delinearsi il valore del suo pensiero ai fini di quella scienza della libertà che ha costituito
senza dubbio l'oggetto principale della ricerca teorica del grande anarchico russo.
Azione diretta e coscienza operaia, di M. Bakunin, Edizioni La Salamandra, Milano 1977, pp.179, lire
2.800.
Una utile, stimolante e necessaria rilettura di Bakunin quale anticipatore e teorizzatore delle tematiche
anarcosindacaliste (e per certi versi anche sindacaliste rivoluzionarie) ci viene offerta dal bel saggio
introduttivo di Maurizio Antonioli al volume M. BAKUNIN, Azione diretta e coscienza operaia.
Soprattutto necessaria se si pensa alla scarsa, per non dire nulla, attenzione data dalla storiografia
borghese marxista a questa importante riflessione bakuniniana.
Nelle pagine di Bakunin proposteci dall'Antonioli ritroviamo infatti alcune risposte fondamentali date
dall'anarchico russo ai problemi postisi al movimento operaio non solo negli anni che coprono la vita
della Prima Internazionale ma, più in generale, ai problemi inerenti alla struttura stessa del rapporto
fra classe operaia e capitale alla luce dell'imprescindibile nodo anarchico dell'universale
emancipazione umana. Ritroviamo cioè un Bakunin attento analizzatore dello sviluppo del movimento
operaio e popolare che si pone il quesito di vedere quali nessi teorico-pratici uniscono il punto di vista
operaio con il generale punto di vista della libertà e dell'uguaglianza. Specificamente tale attenzione
è rivolta al complesso rapporto fra lotta di classe e lotta rivoluzionaria (qui descritte anche come lotta
economica e lotta politica) fra azione rivendicativa ed azione insurrezionale (con la unita riflessione
tattico-strategica sull'uso imposto dalla teoria e dalla pratica dello "sciopero generale"), fra ruolo
delle avanguardie e ruolo delle masse dentro il passaggio determinato (proprio di un punto di vista
esclusivamente anarchico) dell'autoeducazione popolare quale unica e imprescindibile condizione della
coscienza operaia e della conseguente pratica dell'azione diretta.
La documentata ed intelligente interpretazione dell'Antonioli diretta a mettere in giusto rilievo la
dimensione sindacalista di questo particolare aspetto del pensiero bakuniniano, è volta a decifrare il
significato (alla luce di una problematica attuale) di una indubbia continuità di tale pensiero dentro
il posteriore sviluppo storico che, a cavallo fra Otto e Novecento, vede il fiorire prima in Francia e poi
in Italia (per la Spagna il discorso è un po' diverso) di una pratica di lotta anarcosindacalista di cui
Bakunin aveva anche qui genialmente anticipato i tempi, i modi e gli esiti.
Ora, è noto che l'assunto teorico fondamentale della concezione anarco-sindacalista è dato dal valore
rivoluzionario assegnato alla autonomia (che per il sindacalismo rivoluzionario diventa "assoluta
autonomia") del movimento operaio rispetto ad ogni movimento politico-ideologico. Il movimento
operaio è infatti il soggetto rivoluzionario per eccellenza, il solo in grado ed in diritto di sviluppare
l'azione liberatrice in virtù del fatto di essere il vero ed unico produttore dell'intera ricchezza sociale.
Perciò soltanto l'uguale condizione di classe dovuta allo sfruttamento economico costituisce la base
naturale, il denominatore comune su cui è possibile fondare l'unità reale e concreta degli sfruttati. Il
rigoroso economicismo anarcosindacalista impedisce quindi ogni altra via all'emancipazione umana
che non sia quella obbligata della lotta fra classe operaia e capitale, dando appunto per scontata la
autosufficiente potenzialità della pura lotta di classe. Questa posizione, che per il sindacalismo
rivoluzionario assume la configurazione di un estremismo teorico senza appello (basti pensare alla
Carta d'Amiens), comporta come logica conseguenza il rifiuto della componente "politica", che altro
non è che il rifiuto dell'ingerenza dei "dottori del socialismo" nell'elaborazione di una autentica teoria
proletaria. È una posizione, questa, che si sviluppa sulla negazione stessa della funzione positiva
dell'ideologia, compresa quella rivoluzionaria. Così la realizzazione della società senza classi non
passa attraverso lo sviluppo di un programma positivo dato e immesso forzatamente nel corso della
storia; essa, in altri termini, scaturisce automaticamente dalla sconfitta del nemico storico: il
capitalismo. È un'azione sempre contro, mai per, che rende praticamente impossibile il passaggio dalla
coscienza di classe alla coscienza rivoluzionaria, il passaggio cioè da un punto di vista particolare ad
un punto di vista universale.
A questo punto è difficile però riconoscere un'identità con il nocciolo del pensiero bakuniniano. Se è
vero infatti, e lo abbiamo detto sopra, che la dimensione sindacalista costituisce un particolare aspetto
di tale pensiero, falso sarebbe pretendere di aver centrato il nodo della lunga e complessa speculazione
teorica che occupa gli anni della maturità intellettuale dell'anarchico russo. Non occorre dire infatti
che qui si assiste solo alla ricerca da parte di Bakunin dei nessi teorico-pratici che uniscono la
prospettiva operaia con quella generale della libertà e dell'uguaglianza. Per Bakunin non è
automatica, come per Marx, l'identità dei due punti di vista proprio perché, a suo avviso, non vi è una
classe specifica che incarni il soggetto rivoluzionario. Questo rimane sempre rappresentato
dall'ideologia e quindi dal nucleo cosciente ed attivo che storicamente la impersona: come dimenticare
infatti le sue ripetute "Alleanze"? L'oggetto specifico della attenzione analitica bakuniniana non è una
determinata società storica, ma la società autoritaria, che è evidentemente presente in ogni sistema
socio-economico di sfruttamento e che ha come antagonista la libertà.
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