Rivista Anarchica Online
I garofani sono appassiti sui fucili
di Julio Figueiras
Al giorno d'oggi si può ben dire che il Portogallo è una democrazia a tutti gli effetti.
Proprio recentemente si è conclusa una crisi governativa che per tanti aspetti richiama alla
mente le vicende politiche italiane dell'immediato secondo dopoguerra: lo svolgimento è
stato quello classico, una crisi di governo, un voto di sfiducia che facadere l'esecutivo
(grazie ai voti dei comunisti e dei conservatori, insieme), lunghe trattative per ricercare
una nuova formula di governo, che alla fine viene trovata e presentata con le consuete
bellissime promesse per il popolo.
Nel frattempo sono passati due anni e mezzo quasi da quel 25 novembre '75 che ha
segnato l'interruzione di quel processo politico cosiddetto rivoluzionario che, seppur
caratterizzato da giacobinismo e da spirito avanguardista, rappresentava pur sempre un
pericolo mortale per gli uomini d'ordine del vecchio mondo capitalistico-autoritario. In
quel novembre le forze conservatrici avevano neutralizzato e sconfitto con evidente facilità
- più con manovre politiche che con la forza delle armi - i soldati delle "caserme rosse",
l'estrema sinistra ed il Movimento delle Forze Armate (M.F.A.) guidato da Otelo de
Carvalho, dimostrando che queste ultime forze di sinistra si basavano più su di un bluff che
su di una reale "presa" sociale. La forza del popolo, da loro continuamente evocata ("Il
popolo sta con l'M.F.A." era lo slogan classico di quei settori), si era rivelata per quel che
era, essendo il popolo diviso in partiti politici, strumentalizzati come al solito da politicanti
o dai militari fanatizzati dell'una e dell'altra setta.
Molti si sono chiesti se allora non era vero quello che si era detto, cioè che dietro a
Soares, quando nel '75 aveva denunciato il "putschismo" dei comunisti, c'erano ampi
settori popolari. Certo, era vero allora: ma i contadini del Centro-Nord, i lavoratori
immigrati, i piccoli coloni rientrati in Portogallo a quell'epoca erano come storditi e non
riuscivano ad afferrare il senso degli avvenimenti, che peraltro si accavallavano ad una
velocità prodigiosa. In effetti si era passati da un regime autocratico, paternalista e tutto
sommato "tranquillo" all'estremismo verbale più appassionato, senza che questo processo
vedesse le masse veramente protagoniste: la cosiddetta rivoluzione era stata fatta dai
militari, non dal popolo. Gli agricoltori poveri, per esempio, subivano "la rivoluzione" così
come in passato avevano subito la guerra coloniale ed altri avvenimenti politici. Si può
anche ipotizzare che se accanto ai "rivoluzionari", ai "rossi", non ci fossero state - ben
visibili - le forze militari (con le loro uniformi, simbolo tutto sommato di ordine), ben
presto ci sarebbe stata una rivolta di molti ambienti contro quei "rivoluzionari di Lisbona",
dei ministeri e delle fabbriche. Questo stato d'animo non certo rivoluzionario animava
ampi settori del mondo contadino.
In questo contesto, il 25 novembre ha rappresentato un duro richiamo alla realtà. È infatti
incontestabile che la cosiddetta "rivoluzione portoghese" avesse suscitato un diffuso
entusiasmo popolare, esteso ben al di là del ritorno degli oppositori emigrati nel passato e
dell'impegno degli studenti e della piccola borghesia urbana antifascista. Bisogna ricordare
il contributo portato dagli operai e dagli altri salariati delle grandi città (e di Lisbona in
particolare) e dei salariati agricoli delle grandi proprietà della regione dell'Alentejo. Queste
categorie sociali, in effetti, già sotto il fascismo avevano raggiunto un livello di vita che si
potrebbe definire "europeo", con conseguenti aspirazioni "europee", che li rendeva
particolarmente sensibili al discorso della sinistra riformista, tutto teso a promettere la
realizzazione del grande "sogno" di trasformare ogni proletario in un consumatore
"borghese". Il sostegno offerto al processo "rivoluzionario" dalla classe operaia di Lisbona
e di Setubal, nonché dei braccianti del Sud, aveva dei limiti ben precisi, essendo
condizionato dal soddisfacimento di queste aspirazioni borghesi (o piccolo-borghesi): "se
ci garantirete il frigo, la macchina, la televisione, le vacanze pagate, noi vi seguiremo,
altrimenti no". Oltre a ciò, si richiedeva anche il soddisfacimento di bisogni essenziali quali
la salute, l'istruzione, la casa: il tutto a detrimento non solo della borghesia, ma anche dei
contadini del Centro-Nord o della numerosa piccola-borghesia che sopravvive grazie alla
rendita di un vecchio immobile, di un miserabile negozietto e di una pensione statale da
morir di fame o quasi.
Le tattiche e le strategie di lotta dei politici di vario colore hanno tenuto conto
essenzialmente di queste "necessità", trascurandone altre: ed è a causa di questo equivoco,
tra l'altro, che la "rivoluzione" in Portogallo ha fatto la fine che ha fatto.
Tornano i padroni!
Quel 25 novembre di tre anni fa la borghesia sentì chiaramente che il vento stava
cambiando direzione. Uno dopo l'altro i padroni rientrarono in Portogallo e ripresero il
possesso delle loro aziende. Il governo Soares si dimostrò un vero campione del "ritorno
alla normalità", alla legalità ed al dominio della proprietà. In breve tempo tutto il
movimento d'occupazione delle terre, delle case e delle fabbriche rientrò: i comunisti ed i
gruppi marxisti alla loro sinistra si sono subito attestati sul fronte della "difesa delle
conquiste consacrate dalla Costituzione del '75" (redatta in gran parte durante il "periodo
caldo" di quell'anno). La loro linea era quella della "resistenza" fabbrica per fabbrica,
quartiere per quartiere, finché i padroni non sono tornati riprendendo in mano le redini e
dettando legge. Solo nella regione dell'Alentejo le autorità hanno incontrato
un'opposizione ferma e risoluta contro il ritorno dei vecchi proprietari terrieri.
All'università, invece, il governo socialista è riuscito a far passare con grande facilità una
legge che riduce considerevolmente le possibilità di controllo degli studenti e l'autonomia
dell'istituzione, assicurandosi un certo controllo sulla protesta studentesca. Che il vento
avesse cambiato direzione lo si comprese subito anche dal mutato atteggiamento del
governo verso le occupazioni: cessò subito ogni forma di sostegno alle fabbriche
occupate. In alcuni casi si costituirono delle cooperative operaie di produzione, quando la
situazione economica dell'azienda lo permetteva ed i lavoratori ne avevano la volontà e la
possibilità; le imprese deficitarie persero qualsiasi aiuto, furono lasciate andare alla deriva
o riconsegnate ai vecchi padroni, pronti a risollevarle dalla situazione deficitaria in cui a
volte l'autogestione le aveva portate.
Nelle città si giunse ad una rapida regolamentazione delle situazioni di fatto venutesi a
creare in seguito al vasto movimento delle occupazioni di case: a volte la polizia
intervenne per far sloggiare con la forza gli occupanti. Nel frattempo i prezzi degli affitti
sono saliti paurosamente.
La "normalizzazione" si è espressa anche con il ritorno alla ferrea disciplina tradizionale
nelle caserme, l'allontanamento degli ufficiali populisti dell'M.F.A. e dei piccoli quadri
militari (sottufficiali, bassa truppa) che si erano dimostrati troppo ligi nel seguire le
direttive "rivoluzionarie". In poco tempo ripresero il loro vecchio posto i militari
professionisti, quelli che vantavano la loro presenza nelle lotte antiguerriglia nelle colonie
(ora ex-colonie) portoghesi. Anche i politici del dopo-rivoluzione, moderatamente filo-socialisti, sono stati messi da parte, oggetto di violente bordate critiche da parte della
destra. A ciò si aggiungano la piena rimessa in opera dei tradizionali meccanismi di
mercato, l'esistenza di un alto tasso di disoccupazione (valutato al 15% della popolazione
attiva), l'inflazione galoppante, la debolezza di un'economia colpita dalla perdita delle
colonie e di quella pace sociale che prima era stata una ottima garanzia per le
multinazionali. È in questo contesto che si è inserito il prestito ottenuto lo scorso anno dal
Fondo Monetario Internazionale, che di fatto ha ulteriormente indebolito la cosiddetta
"indipendenza nazionale" del Portogallo.
L'uomo della provvidenza
Con le misure di austerità imposte al Paese il governo socialista ha perso quasi tutto il
sostegno operaio che lo caratterizzava prima: non è certo un caso, per esempio, che il
controllo sui sindacati del partito comunista, nonostante la sua metodologia
indiscutibilmente stalinista, si sia rafforzato considerevolmente. Il partito comunista porta
avanti abilmente il gioco delle alleanze tacite e, rompendo con il governo dell'austerità, ha
saputo praticare una politica di "unità della sinistra" tramite la quale ha raccolto i consensi
anche di molti "cani sciolti" ed indecisi. Per costoro non ha certo potuto presentarsi come
un punto di riferimento l'estrema sinistra marxista, frazionata e indubbiamente in fase
calante.
In questo contesto le forze reazionarie, conservatrici ed anche esplicitamente fasciste
hanno risollevato la testa: lo testimoniano le manifestazioni in favore di una statua di
Salazar, le numerose manifestazioni nazionaliste tenutesi a Lisbona e ad Oporto nel
novembre scorso, i ripetuti appelli all'"uomo della Provvidenza", impersonato all'occasione
dal generale Pires Veloso, ex-governatore della zona militare settentrionale, nonché la
confluenza di molti militari dal conservatore C.D.S. ad un raggruppamento marcatamente
filo-fascista come il M.I.R.N., guidato da un gerarca fascista in auge ai tempi di Salazar (il
generale Kaulza Arriaga).
Anche nelle scuole, soprattutto in quelle secondarie, il fascismo sta riprendendo piede, con
bombe, attentati, provocazioni di ogni tipo (saluti fascisti, aggressioni, ecc.).
I padroni, con le loro organizzazioni confindustriali, hanno da tempo rialzato la cresta,
chiedendo l'abrogazione di tutte le leggi migliorative della condizione operaia ottenute
negli ultimi anni (diritto di sciopero, commissioni operaie, ecc).
La lotta riprende?
Un regime di austerità e di sacrifici non è mai molto piacevole. Non è dunque un caso che
le lotte si siano intensificate negli ultimi tempi, anche se con una connotazione diversa da
quelle del '75: allora predominava l'aspetto politico, quello di lotta e pressione contro il
potere, oggi è la volta delle rivendicazioni economiche spicce. Potrebbe anche darsi che la
gente si sia rassegnata ad aspettare le elezioni del 1980 per esprimere il suo parere.
Un'altra ipotesi, non contraddittoria con la precedente, si rifà alla perdita di credibilità
subita in questi anni dalle ideologie, dai grandi "progetti" rivoluzionari, dalle parole in
genere: più concreti appaiono alla gente i miglioramenti economici immediati, palpabili.
La prima forma assunta dall'attuale ripresa della combattività operaia è quella degli
scioperi locali di fabbrica, o contro il ritorno dei vecchi padroni, o contro le misure
repressive da questi adottate (come i licenziamenti più o meno di massa), o contro altre
misure più generali di repressione contro i settori più combattivi della classe operaia.
Queste lotte contro la "rivincita padronale" sono lotte isolate, particolarmente legate alla
combattività espressa localmente dai lavoratori.
Un secondo tipo di lotte è caratterizzato da forme molto diverse, che sono poi quelle
classiche dei movimenti corporativi e di limitata durata per sostenere il sindacato durante i
negoziati per il rinnovo dei contratti collettivi. Lotte di questo tipo si sono avute
recentemente tra i metallurgici, i funzionari e gli impiegati municipali, gli insegnanti, ecc.
ecc.. Grazie a questa ripresa della combattività della base i sindacati hanno migliorato la
loro "immagine", celando quella reale di gigantesche macchine farraginose e burocratiche
al servizio del partito comunista. Quest'ultimo infatti, se non ha saputo ritagliarsi un suo
spazio politico importante in campo politico, si è però rifatto in campo sindacale: si è così
preso la rivincita anche sui militanti di estrema sinistra - quelli che avevano sostenuto
Otelo de Carvalho - costringendoli a subordinarsi a lui in campo sindacale. Ultimo
esempio di questa forza sindacale del partito comunista è stata la recente costituzione di
un sindacato contadino alternativo a quello esistente (il C.A.P., di tendenza ultra-conservatrice). L'operazione è riuscita, ma grazie soltanto alla capacità organizzativa e di
mobilitazione della macchina burocratica comunista.
Il ruolo degli anarchici, oggi
Gli anarchici - bisogna avere il coraggio di riconoscerlo - hanno quasi completamente
perso rilevanza in seno al movimento operaio organizzato e i sindacati attuali, data la loro
struttura ed il loro funzionamento, rendono quasi impossibile qualsiasi forma di militanza
al loro interno. Certo ci sono degli anarchici che sono dirigenti sindacali o membri delle
commissioni aziendali dei lavoratori (le C.I.'s.), ma non costituiscono assolutamente una
corrente specifica in seno al sindacalismo portoghese. Tuttalpiù si possono mettere in
risalto, come dappertutto, dei comportamenti spontanei dei lavoratori sul terreno
dell'azione diretta anarco-sindacalista e si può cercare il modo ed i mezzi per sviluppare
questi comportamenti e renderli sempre più coscienti: il che presuppone un lavoro di lunga
durata.
L'origine dei nuovi militanti, inoltre, è molto differente rispetto a quella della vecchia
generazione anarco-sindacalista. I giovani compagni, oggi, provengono dalle file della
gioventù studentesca, sono figli della piccola-borghesia o della classe operaia
imborghesita, provengono per oltre il 90% dalle città; nessuno o quasi è di origine
contadina. Date queste premesse, non sembrerà certo strana la tensione esistente tra i
vecchi ed i giovani compagni.
Caratteristica di questi giovani è la "marginalizzazione" rispetto alla società, la diffusissima
disoccupazione e la costante presenza di conflitti familiari. Sensibili all'alienazione rispetto
ad una vita quotidiana povera di passioni, imbevuti di una cultura e di influenze
"continentali", si dibattono tra la tentazione di una rottura radicale per mezzo della
violenza e la rottura totale attraverso l'esasperazione dell'emarginazione, le esperienze
comunitarie, il ritorno alla terra, la ricerca di un altro modo di vita quotidiana. Avviene
così che il super-attivismo o il suo opposto, cioè il nichilismo pessimista, prendono quasi
sempre il posto di uno sforzo prolungato per la propaganda e/o l'organizzazione. Gli sforzi
organizzativi, espressi nel Movimento Libertario Portoghese (M.L.P.), nella Federazione
Anarchica Rivoluzionaria Portoghese (F.A.R.P.) e nell'Alleanza Libertaria Anarco-Sindacalista (A.L.A.S.) sono stati quasi sempre mal compresi ed alla fin fine hanno
raccolto solo l'adesione dei vecchi compagni.
La repressione poliziesca non si è ancora scatenata contro il nostro movimento, eppure
persistono grandi difficoltà nell'affermare una presenza anarchica in Portogallo, oggi;
mancano militanti con una certa esperienza; mancano gruppi stabili; mancano
drasticamente i mezzi materiali e tutto ciò favorisce la mancanza di dinamismo.
In questo contesto la nostra propaganda prosegue per mezzo di alcuni giornali, come A
Batalha, Voz Anarquista,, e riviste come A Ideia e Accion Directa. Compagni sono pure
presenti nelle lotte ecologiche, studentesche, femministe, ecc..
Attualmente, per concludere, stiamo lavorando all'organizzazione di una grande
SETTIMANA DI PRESENZA LIBERTARIA da tenersi nel luglio prossimo.
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