Rivista Anarchica Online
Militanti perché
di P. F.
Tempi difficili, i nostri. Difficili ed anche un po' strani. Dopo la vampata del '68, che ha in varia
misura alimentato le lotte sociali e fatto crescere i movimenti di estrema sinistra, è subentrata da
tempo la disillusione. Non solo la Rivoluzione non s'è vista, nemmeno da lontano, ma anche la
sensazione (se non proprio la certezza) di esserci vicini è progressivamente venuta meno. La
Vittoria con la "v" maiuscola si dimostra ogni giorno più lontana, tanto lontana che molti di quelli
che ci credevano non riescono più nemmeno ad intravederla.
La disillusione è stata così forte, per molti anche così repentina, da trasformarsi amaramente in
derisione: quanti compagni, disposti qualche anno fa ad alzarsi alle cinque del mattino per andare
a volantinare agli operai del primo turno, ricordano oggi quelle levatacce con vergogna ed ironia,
accomunando oggi nel medesimo acre giudizio chi continua a fare ciò che loro facevano ieri.
In questo senso, noi non siamo cambiati: siamo compagni che ancora continuano a credere nella
militanza e, oggi come dieci anni fa, cercano di farla al meglio delle loro possibilità. Già sentiamo
le critiche, i sorrisini ironici, le stroncature, ecc. di quei compagni - non pochi, purtroppo - che
della critica ai militanti/militonti sembrano fare la loro attività preferita. Cerchiamo di spiegarci.
Noi non ci siamo mai fatti soverchie illusioni: la formuletta, ormai stracitata, "il pessimismo della
ragione, l'ottimismo della volontà" ci calza a pennello. Sappiamo, anche per quel po' di esperienza
che abbiamo accumulato in dieci/quindici anni di esperienza militante, quanto lavoro, quanta
dedizione, quanta umile metodicità siano necessari nella vita quotidiana, in campo sociale
soprattutto, per ottenere un qualche risultato. Le ventate rivoluzionarie vengono sempre quando
meno ce le si aspetta: gonfiano le nostre bandiere nei cortei, galvanizzano la combattività delle
masse, sembrano confermare per un momento la facile realizzabilità di tutti i nostri progetti. Poi,
però, la marea si ritira e molte delle cose (non tutte) che sembravano ormai assodate, irreversibili,
ritornano in discussione; ci si conta è ci si ritrova in meno, molti meno, a volte. Chi ha vissuto, per
esempio, le grandi speranze ed anche le grandi illusioni dell'immediato dopoguerra, nel '19/'20
come nel '45/'46, sa quanto tutto ciò sia drammaticamente vero. E poi oggi basta guardarsi
attorno, leggere i giornali, le lettere dei compagni e delle compagne, respirare un po' l'aria del
"movimento" per vedere quante cose siano cambiate rispetto a solo uno o due anni fa. Cambiate
in meglio, forse, ma certo anche in peggio.
E fra il "peggio", al primo posto, mettiamo la sfiducia ed anche il rifiuto generalizzato (non senza
eccezioni, per fortuna) dello studio sistematico e dell'azione diretta quali unici strumenti per
incidere nella realtà sociale. Noi crediamo invece che solo lo studio sistematico, critico e mai
definitivo, insieme con l'operare metodico, quotidiano, umile (ma non per questo rassegnato, anzi)
possano contribuire ad avvicinarsi alla realizzazione dei nostri ideali.
I grandi cambiamenti, le grandi rivoluzioni, infatti, sembrano ai più l'effetto unico ed immediato
degli avvenimenti precedenti: noi sappiamo che non è solo così. Senza l'operare costante, tenace,
spesso silenzioso e sconosciuto di molti compagni, i grandi fenomeni sociali non sarebbero
avvenuti, oppure non avrebbero avuto quelle caratteristiche che ce li rendono particolarmente
vicini ed interessanti: pensiamo alla Comune di Parigi come alla rivoluzione russa, alla rivoluzione
spagnola come al maggio '68.
Se per militanza si intende appunto questa disponibilità a lavorare con gioia, ma anche - se
necessario - con spirito di sacrificio, per la realizzazione dei nostri ideali, se per militanza si
intende (e per gli anarchici, come potrebbe essere diversamente?) volontà di unire costantemente
il "personale" ed il "politico", cercando di vivere già oggi il più coerentemente possibile con i
nostri ideali di libertà ed uguaglianza, allora non possiamo che riconfermare - in quest'epoca di
diffuso disorientamento, di incertezza ed anche di confusione - la nostra quotidiana scelta
militante che sola dà un senso pieno alla nostra vita in questa società.
Altre alternative positive non ne vediamo: le due che oggi sembrano andare per la maggiore - il
ripiegarsi sul "personale", nel tentativo di risolvere così i propri problemi da una parte, il lanciarsi
in un donchisciottesco attacco armato dall'altra - non possono convincere chi come noi non vuole
certo nascondersi le difficoltà del momento storico ma nemmeno è disposto a farsene scudo per
giustificare l'abbandono dello scontro sociale.
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