Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 67
giugno 1978


Rivista Anarchica Online

Processo Danza
di Maurizio Tonetto

La scena si presenta piuttosto squallida, così uguale da decenni; gli attori cambiano volto di tanto in tanto, e c'è chi recita la sua solita parte da anni e chi invece, sullo stesso palco, si ferma pochi minuti soltanto. L'azione è ridotta a poca cosa, i dialoghi ricalcano solitamente copioni nient'affatto originali, eppure sconosciuti ai più. Siamo spettatori del vero teatro dell'assurdo, della contraddizione assoluta, che non attira folle di appassionati né tanto meno mobilita i critici. È invalsa l'abitudine di ridurre al minimo la pubblicità delle commedie che vi si rappresentano, logico quindi che il grande pubblico diserti la sala.

Oggi, 11 luglio, si fa eccezione: in cartellone, un nome più conosciuto degli altri ha costretto persino i giornali locali a farne menzione; vi si parla di un anarchico pugliese - ma non è qui come ballerino, almeno stavolta - che viene da Roma, con una scorta d'eccezione, per prendere parte allo spettacolo odierno, si dà per certo che non replicherà.

Si va ad incominciare! Cinque personaggi fanno il loro esordio rumoroso sulla scena, calati in uniformi militaresche e nerotogate, lasciando così intendere d'aver già trovato l'autore, e dopo questi primi, uno ad uno, altri undici giovani attori vivono il loro momento, breve, di gloria scenica, recitando con sentimento sincero - e chi osa dubitarne? - la propria parte di Testimoni di Geova che rifiutano l'obbligo della leva militare e della sua sostituzione con un altrettanto obbligato servizio civile, andando così incontro al martirio con religiosa rassegnazione, fedeli fino in fondo, letteralmente, al dettato dei testi biblici, che tuttavia non sembrano negare un generoso riconoscimento alla stessa autorità che giudica. Bravi davvero tutti quanti, son compensati insolitamente, al termine di ogni singola recita, con un anno di "vacanza" dove il sole si vede, sempre e comunque, diviso per quattro o per otto. Compenso di cui possono andare soddisfatti perché è risaputo che a Peschiera del Garda, a Gaeta, a Forte Boccea, a parte l'"aria fina" del posto, "si mangia bene, si gioca al biliardino e c'è persino il campo di calcio! Eppoi è come essere in caserma, tutto sommato!" e si sa anche che non esiste posto migliore di questo neppure a cercarlo. Così almeno affermano coloro che sulla scena rivestono la parte di Presidente-di-tribunale. Tra il pubblico presente in sala alcuni, più smaliziati, danno segni di insofferenza, non sono d'accordo, ma la più parte, brava gente molto religiosa non meno che gli attori più giovani, sorride e mostra di crederci.

All'ultimo atto è di scena l'anarchico di Foggia; colpisce in lui l'atteggiamento fiero, così diverso da quello usuale che la parte costringe, o suggerisce di assumere agli altri e questa sua scarsa aderenza al ruolo previsto per lui dalla convenzione che lega i personaggi della farsa fa nascere immediato il sospetto che i tre mesi di permanenza nell'"atelier" di Forte Boccea siano serviti a poco. Successivo alla breve presentazione del personaggio, l'Imputato accusato del rifiuto del servizio militare e di quello civile, l'esordio di questo discusso Matteo Danza, e di colpo, così all'improvviso, lo scenario pare cambiato. Dopo tante storie, tutte uguali e assolutamente metafisiche, prive com'erano di riferimento alla quotidianità esterna, nell'aula del Tribunale militare spezzino faceva il suo ingresso, finalmente, la Storia. Non quella dei Grandi che vincono le battaglie militari, come vogliono i libri di testo, ma quella dei proletari, degli sfruttati, una Storia di rifiuti, di ribellioni, di insubordinazioni alle leggi del potere. Una tragedia che deve ancora aver termine.

Apparentemente solo, di fronte agli attori in divisa, l'imputato-Attore prende su di sé la propria parte naturale di Individuo in lotta contro la prepotenza dell'autorità di uno stato che lo vuole docile e sottomesso strumento. E subito, conseguentemente, Matteo rigetta il ruolo di imputato, affermando con disperazione la sua volontà di rovesciarlo contro coloro che gli stanno davanti. Prima che gli fosse impedito di continuare l'esposizione del proprio pensiero, a dispetto delle sbandierate libertà costituzionali!, il compagno aveva il tempo di mettere a nudo il meccanismo violento di una giustizia che si presenta ai proletari con il biglietto da visita dell'imparzialità, dell'oggettività al-di-sopra-delle-parti, riassunta nel blasfemo "la legge è uguale per tutti". Questa legge contestava, e la sua morale: che vuole un colpevole convinto di essere tale, pentito e rassegnato anche a pagare la sua colpa (una, in definitiva: quella di stare dall'altra parte della barricata); e che non può accettare la sfida lanciata dall'anarchico nel momento delicato in cui si costruisce la giustificazione della misura detentiva. La risposta della corte marziale non poteva che essere dura, in linea con la natura della rappresentazione in atto: repressione. E così il presidente, restituito da un proletario al ruolo che gli è congeniale, dava ordine al PM di esaminare la possibilità di incriminare in aula il ribelle venuto a turbare la quiete e la normalità di un'aula sacra, al potere ben s'intende.

La rabbia e un inconfessato senso d'impotenza aumentano nei pochi compagni presenti man mano che il dibattito procede; nel silenzio più assoluto l'obiettore totale Matteo Danza conclude un breve ed efficace intervento col ricordo di un altro simile a lui, Severino Di Giovanni, individualista anarchico e meridionale, di quel meridione che oggi è "terra dell'abbandono" ma che in passato ha visto fermenti e rivolte diffusi e generalizzati in tutti gli strati della popolazione. Rifiuto di ogni prestazione allo stato, dunque, perché "al servizio solo della ribellione del braccio e della mente". Tutto quanto è poi seguito rientrava nella messinscena delle formule con cui si celebra il rito e che altra funzione non ha se non quella di incutere timore nell'imputato. Se con la condanna ad un anno di galera militare si è risolta l'intera vicenda processuale per i componenti della giuria, per chi lotta fuori e dentro le carceri di ogni tipo, al contrario, si è aperto un nuovo capitolo in quel libro di Storia che con le nostre battaglie, contro la violenza di un regime autoritario, andiamo costruendo di giorno in giorno.