Rivista Anarchica Online
Antimilitarismo
a cura della Redazione
Pubblichiamo in queste pagine tre documenti attinenti all'antimilitarismo: la dichiarazione di
rifiuto totale dell'esercito del compagno Del Carro (latitante); e due lettere, rispettivamente di
Angelo Motta e di Edoardo Ramella, inviateci dal carcere militare di Peschiera del Garda. In
queste ultime settimane Motta e Ramella sono stati liberati, il primo grazie all'amnistia il
secondo perché è stata accolta la sua domanda di prestare servizio civile. Ciononostante, e
nonostante le perplessità che suscitano in noi numerose affermazioni contenute nella lettera di
Motta, riteniamo utile dare spazio a queste vicende ed a queste opinioni, che confermano quanto
sia variegato il "fronte" della lotta antimilitarista rivoluzionaria.
Luciano Del Carro
Io sottoscritto Del Carro Luciano, nato a Ghisalba (BG) il 23-8-'57 e residente a Ghisalba in via
C. Casali 31, come antimilitarista e antiautoritario dichiaro di essere contrario alla logica
dell'esercito e a quella dello stato che ci impone il suo esercito, rifiuto quindi di prestare il servizio
militare. Come proletario già sfruttato e calpestato nella mia libertà nella vita di ogni giorno da
quelli che costruiscono la loro vita su di me e su tutti i proletari, non accetto questa nuova
imposizione dallo stato ovvero dai padroni. Essi chiamano "stato" il loro gioco di potere solo per
dargli una faccia di legalità, di democrazia. Lo stato esiste solo in astratto, reale e visibile invece è
la sete di potere dei padroni che vogliono asservire le masse ai loro sporchi interessi con ogni
mezzo loro possibile.
Avevo precedentemente fatto richiesta di poter prestare il servizio civile sostitutivo di quello
militare, ma avendo maturate le mie idee politiche non posso accettare ulteriormente questo
compromesso che a me non può giovare ugualmente in nessun modo. Il servizio civile è solo un
modo come un altro per chiudere gli occhi alla realtà, alla libertà che ci viene tolta ogni giorno: un
modo come un altro per sottostare passivamente alle leggi dei padroni, per non opporsi al loro
sfruttamento. Veniamo chiamati alla difesa della "patria". Quale patria? Io non ho nessuna "patria"
da difendere, ho solo la mia vita. Quella che voi chiamate "difesa della patria" è solo difesa del
vostro potere accumulato sulla vita del proletario, potere che un giorno sarà annullato da quelli
che voi oggi sfruttate e che vogliono vivere invece in un mondo libero.
Ribadisco quindi il mio no all'esercito dei padroni, alla logica dello stato.
So che per le mie idee sarò condannato ma è una condanna da cui non penso di dovermi
difendere: io non ho niente di cui mi senta in colpa e da cui mi debba difendere a meno che non si
voglia condannare il mio credo e la mia lotta per la libertà.
Angelo Motta (carcere militare di Peschiera)
Ho prestato il servizio militare dal luglio '76 al luglio '77. Il 27 luglio '77 sono stato portato a
Peschiera. Nel gennaio '78 sono stato condannato dal tribunale di Verona a 2 anni e 3 mesi per:
istigazione all'alto tradimento, procacciamento di notizie militari, possesso di una piantina di un
deposito di esplosivi, furto continuato. Attualmente sono in attesa del processo d'appello. Eccetto
una breve parentesi in "Potere Operaio" nel '72, non ho militato più in nessun gruppo, pur facendo
attività a scuola e nel quartiere.
Detto questo, devo dire di aver cominciato il servizio militare in un periodo (luglio '76)
immediatamente successivo alle elezioni del 20 giugno, quando cioè iniziava la crisi della
militanza, lo sfaldamento dei gruppi, ecc.. Tutto questo si è riflesso nel movimento dei soldati
all'interno delle caserme; ho potuto constatare lo svaccamento, o meglio l'opportunismo dilagante
nella maggioranza dei "compagni rivoluzionari" in servizio di leva. Ricordo che alla sera, durante
la libera uscita, ci riunivamo spesso con lo scopo di organizzarci per il lavoro politico nella
caserma, succedeva però che molti compagni venivano più per stare in compagnia, per lo spinello,
per parlare, che non per preparare qualcosa di grosso da fare in caserma. Il massimo che si è
potuto fare quindi è stato: volantinaggio, silenzio-rancio, qualche manifesto, qualche "furto" e
piccoli sabotaggi.
Se oggi il movimento dei soldati è seduto, se la ristrutturazione nelle caserme è passata, ciò è
stato il riflesso della crisi del movimento di classe in generale e della ristrutturazione che sta
investendo la società cercando di spezzare la ricomposizione tecnica e qualitativa della classe. Mi
sono trovato a vivere una situazione di continui allarmi per la nostra eventuale utilizzazione in
Ordine Pubblico, ciò soprattutto nel marzo/aprile '77 (vedi Bologna), pur facendo il militare in una
città piccola e lontana come Belluno. Ma se è vero, come penso che lo sia, che in questi anni il
comportamento antagonistico dell'operaio di fabbrica si è esteso su tutto il territorio sociale, se il
sabotaggio non è più solo sulla catena di montaggio ma si è steso sul territorio, se è vero che
l'esproprio si è sviluppato, se è vero, com'è vero, che è contro tutto questo che la ristrutturazione
del capitale deve far fronte, allora il contenuto della ristrutturazione, il comune denominatore
sempre presente, è il comando, la coazione alle leggi dello sfruttamento.
Allora è proprio contro il comando che anche in caserma bisogna lottare, colpendolo, svuotandolo
in ogni legittimazione: non più solo volantinaggi o proteste passive per avere più licenze, vitto
migliore ecc. (tutte cose che sono comunque da perseguire) ma occorre colpire fisicamente le
gerarchie, sabotando le strutture militari, usando al meglio la nostra creatività, fantasia,
ritrovando il gusto alla lotta, senza perderci in lunghe discussioni sulle forme di lotta, perché
queste dipendono solo dall'utilità politica che è la sola cosa che dobbiamo perseguire.
Non si può lottare solo per più licenze, vitto migliore ecc. se poi siamo disponibili per andare in
Ordine Pubblico! Sabotaggio significa anche dimostrare la nostra indisponibilità, il rischio nel
quale incorrono le gerarchie militari nel mandarci in Ordine Pubblico, nel mandarci contro altri
proletari in lotta.
Detto questo sono perfettamente d'accordo con l'analisi di M. Bartolelli riguardo al Servizio Civile
pubblicata sul n.66 nella vostra rivista. In effetti il Servizio Civile è lavoro nero, e sappiamo come
questo tipo di produzione sia funzionale alla ristrutturazione, come ne sia un punto base, come sia
congeniale al comando che deve essere sempre più decentrato per controllare meglio i movimenti
della classe, anticipandoli (ecco quindi lo sviluppo degli Enti Locali, delle Unità Sanitarie di Base,
ecc.), oltre tutto è lavoro praticamente non pagato e facilmente controllabile. Come giustamente
ricordava Bartolelli si è riusciti ad inglobare "l'alternativa" nel sistema.
Riguardo l'obiezione totale devo dire che anche questa per me è assolutamente non producente.
L'unica domanda cui voglio rispondere è questa: che contributo dà alla lotta di classe, al
Movimento Rivoluzionario per fare un passo avanti verso l'abbattimento dello Stato, del Sistema?
Per me nessuno, chè anzi ho sempre pensato e penso tuttora che fare obiezione totale, entrare
quindi in galera, è solo un piacere che si fa allo Stato: una volta dentro siamo perfettamente
controllabili, fuori, in caserma possiamo muoverci, lottare, allargare l'opposizione, esplicare tutte
le nostre capacità nella lotta.
E non conta neppure il discorso che gli obiettori totali sono pochi, possiamo essere anche
centinaia, lo Stato non ha difficoltà a costruire carceri più grandi (magari più nuove e più belle!).
Così come penso sia inutile farci la domanda: ma se tutti facessimo gli obiettori totali? Bene, se
tutti i compagni, di tutti i gruppi, facessero così, lo Stato sarebbe in festa: non più contestazione
nelle caserme, che tanto male hanno fatto all'"ultimo corpo sano della società" in passato e
sporadicamente fanno anche ora, l'unico problema per lo Stato sarebbe quello di controllare le
nostre rivolte in carcere: ben poca cosa!
Compagni, l'obiezione totale la vedo solo come un atto di coerenza personale (e quindi da
stimare), che un compagno sceglie per non dare il proprio servizio allo Stato, ma allora mi sembra
incoerente che una volta usciti di galera si accetti di ritornare a lavorare in fabbrica, in ufficio, a
pagare i servizi sociali, l'affitto ecc. perché tutto questo è sotto il controllo del capitale, sotto i
padroni, nella stessa misura in cui lo è la vita di caserma.
L'obiezione è totale solo rispetto alla totalità del sistema, o non lo è.
Ma a chi non interessa solo la propria coerenza, il proprio essere a posto con la coscienza, a chi
sta a cuore lo sviluppo dell'opposizione al sistema non può bastare l'obiezione al servizio militare,
e questo ho potuto constatarlo stando a contatto con parecchi obiettori che si ritrovano alienati,
impotenti. Oggi vi è bisogno di una serie di militanti (non militonti), avanguardie reali nelle varie
situazioni di lotta, che sappiano approfondire in tutte le maniere le contraddizioni cui la
ristrutturazione padronale va incontro nella fabbrica, nella scuola, nel quartiere, nella caserma.
Questo è indispensabile oggi, oggi molto più di ieri.
Saluti comunisti.
Edoardo Ramella
Sono Edoardo Ramella, obiettore di coscienza valdostano a Peschiera dal 23 dicembre 1977.
Ho fatto domanda di servizio civile quando mi sono presentato in caserma ad Aosta, verso la
metà di dicembre: ero destinato agli alpini e potevo considerarmi fortunato, visto che ero stato
destinato a prestar servizio a soli 25 chilometri da casa. Avrei potuto usufruire di
raccomandazioni e conoscenze, che però ho rifiutato: ho sempre detestato queste cose, ho
sempre detestato i compromessi anche se nella vita purtroppo dobbiamo farne.
So benissimo che cos'è la legge sull'obiezione di coscienza, è una legge repressiva e
discriminatoria, ne sono cosciente. Ho fatto domanda di servizio civile per ragioni familiari
(sono figlio unico, mio padre è morto l'anno scorso; l'ho fatto per andare a casa qualche volta,
mia madre è anziana). La mia idea era quella di fare obiezione totale (anche se su ciò
bisognerebbe dire tante cose, il problema dell'obiezione di coscienza è poco conosciuto,
bisognerebbe dibatterlo, discuterne di più con la gente, nelle scuole, nelle fabbriche, bisogna
che questa lotta si allarghi perché in definitiva riguarda tutto il popolo, il suo sfruttamento, la
repressione attuata in diversi modi attraverso e con l'esercito, i legami militarismo-capitalismo,
l'industria bellica, l'esportazione di armi, il bilancio della Difesa, ecc.). Sono sempre stato
contrario all'esercito (o meglio, agli eserciti), al militarismo; anche quando ero piccolo, sebbene
non avessi coscienza di tanti problemi, detestavo che masse di giovani venissero inquadrate e
dovessero obbedire ciecamente, detestavo che lo Stato rubasse una parte delle nostre vite, che ci
imponesse 18, 15, 12 mesi di marce, parate, esercitazioni ecc.. Non ho mai sopportato il fatto
che masse di uomini debbano sottostare ad altri uomini. Credo nella fratellanza,
nell'uguaglianza per un mondo veramente libero. Non sto a definirmi, o ad etichettarmi: mi
definisco anarchico, libertario, radicale, cristiano, ma forse non è questo il problema.
L'importante è lottare per la libertà, contro le istituzioni, contro l'esercito, contro le centrali
nucleari, non m'importa se anarchici, cristiani, radicali, cani sciolti, indiani metropolitani,...
Tornando alla mia vicenda: sono stato processato dal tribunale militare di Torino mercoledì 8
febbraio 1978 per rifiuto del servizio militare e condannato a un anno di reclusione. Un mio
parente mi diceva che la domanda di servizio civile sarebbe stata esaminata in febbraio, poi a
marzo, poi ad aprile, si è arrivati a metà maggio, quando sempre questo mio parente mi informò
che la commissione si era riunita ed aveva accettato la mia domanda, per cui avrei potuto uscire
verso la fine di maggio. Intanto è passato anche giugno ed io sono sempre qui nel carcere
militare di Peschiera. Mercoledì 5 luglio il capitano Milano mi ha informato che la mia
domanda era stata accettata e che sarei stato scarcerato a giorni. Spero proprio (non dico
credo) di essere scarcerato presto, perché ormai ho passato 7 mesi in carcere e questa mi
sembra una presa in giro, o meglio uno dei tanti casi di repressione di questo stato
democristiano, di questo stato più libero del mondo, come cantavano in coro Cossiga e
Zangheri.
In ogni modo, la vita continua, la lotta continua. Io sono qui in cella con Angelo Motta (in
questo numero pubblichiamo una sua lettera dal carcere, n.d.r.) (...). Dieci giorni fa abbiamo
ricevuto A Rivista Anarchica, io la leggevo sovente quand'ero in libertà (...). Pace, amore,
libertà. Saluti libertari e fraterni.
Amnistia
In seguito alla recente amnistia, sono stati liberati dal carcere militare i compagni Lorenzo Santi,
Roberto Francesconi e Giovanni Pierantoni, che stavano scontando la condanna per obiezione
totale.
Resta invece nel carcere militare di Forte Boccea (Roma) il compagno Matteo Danza, escluso dai
benefici dell'amnistia perché ha obiettato in aprile (di quest'anno, non del '76 come erroneamente è
stato stampato sullo scorso numero). L'amnistia, invece, interessa solo i reati compiuti entro il 15
marzo 1978.
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