Rivista Anarchica Online
LETTURE
a cura di G.d.T. e P.F.
Sindacalismo rivoluzionario, Anarco-sindacalismo e Anarchismo, di A. Toninello, Edizioni La
Rivolta, Catania 1978, pagg. 88, lire 1.000. (g.d.t.)
Da tempo ormai i contributi sul sindacalismo rivoluzionario e l'anarcosindacalismo - dentro e
fuori il movimento anarchico - non si contano più. Convegni, tavole rotonde, dibattiti, saggi,
articoli, opuscoli divulgativi hanno ridato al sindacalismo rivoluzionario una centralità che
sembrava aver perso. Hanno naturalmente aiutato la Spagna, la CNT, i progetti per una nuova
USI, ecc. sembra quasi una moda. I risultati di questa ondata di interesse sono stati molto vari.
Accanto ad opere stimolanti e di buon livello, se ne sono viste altre particolarmente deludenti.
Tra queste ultime il recentissimo libretto di Alberto Toninello Sindacalismo rivoluzionario,
Anarco-sindacalismo, Anarchismo. Ad una prima lettura il lavoro ci è parso la rielaborazione (se
rielaborazione c'è stata) di una tesi di laurea, probabilmente precedente il 1974. Infatti,
malgrado la bibliografia finale - del resto piuttosto carente - consideri anche volumi usciti dal
1977 e nel 1978, le note al testo non vanno più in là del 1973. E come sa chi si è occupato,
anche solo marginalmente, di sindacalismo e/o di anarcosindacalismo è con il 1974 (Convegno
di Piombino) che gli studi su tale tematica hanno subito un'improvvisa accelerazione, sia in
senso quantitativo che qualitativo. Naturalmente la datazione pre 1974 potrebbe essere una
scusante. Ma allora (domandiamo all'editore) che senso aveva pubblicare materiale ormai
"bruciato"?
Ma veniamo al sodo. Il volumetto composto da quattro capitoli rispettivamente su Bakunin,
Sorel, il rapporto sindacalismo rivoluzionario/anarcosindacalismo e anarchismo/sindacalismo.
Al termine, un'appendice con il testo degli interventi di Monatte e di Malatesta al Congresso di
Amsterdam del 1907.
È impossibile, in questa sede, tentare una analisi approfondita dei diversi capitoli. Ci limiteremo
a qualche osservazione. Il capitolo su Bakunin (non è forse già stato pubblicato in "Volontà"?) è
quasi tutto condotto sul filo di una lettura astorica di alcuni - pochi - testi bakuniniani e ci
sfugge il senso della sua collocazione all'interno del lavoro. Che Bakunin sia fondamentale in
un discorso sul sindacalismo rivoluzionario è innegabile. Ma perché perdersi in divagazioni
poco pertinenti (e poco convincenti) e non affrontare, invece, quei testi in cui il problema
dell'organizzazione operaia viene posto in evidenza, testi disponibili tra l'altro in italiano?
Elencare in bibliografia le edizioni delle Opere complete di Bakunin va bene, ma bisogna poi
anche leggerle o quanto meno utilizzarle in modo corretto.
Ma veniamo agli ultimi due capitoli, meno fumosi e di più immediato interesse. Abbastanza
corretta la distinzione che Toninello fa di sindacalismo rivoluzionario e anarcosindacalismo
(avrebbe però dovuto insistere più sul nodo centrale di tale differenza: l'organizzazione
specifica, superflua per i sindacalisti e necessaria per gli anarcosindacalisti). Tuttavia, non è
possibile trattare un problema così complesso rifacendosi solo alla relazione di Monatte del
1907. Il discorso di Monatte rappresenta una buona parte della realtà del sindacalismo, ma non
lo esaurisce. Come si fa a dimenticare, parlando di sindacalismo nel suo complesso, quanto
stava succedendo in Italia, trascurare l'esistenza del sindacalismo padano, che nel 1907 era
ancora in una fase di crescita e appena reduce dalla vittoria di Parma (la sconfitta si registrerà
l'anno successivo)?
Si ha l'impressione, quindi, che tutto sia limitato al contrasto tra Monatte e Malatesta, contrasto
assunto come momento emblematico e considerato a sé, avulso dal contesto in cui si verificava.
Toninello, a questo proposito, non fa che riproporre vecchie tesi, vecchi modelli di lettura, che
dal Maitron in poi sono andati per la maggiore. Toninello ritiene la posizione di Malatesta più
"corretta" o più consona alla sua visione dell'anarchismo (ed in ciò concordiamo con lui), ma
non bisogna dimenticare che in quel momento Monatte era ancora anarchico (lo riconosceva lo
stesso Malatesta) e che ad Amsterdam lo scontro avveniva tra due diversi modi di intendere
l'anarchismo: l'anarchismo "tradizionale" e quello che Amédée Dunois (la vera punta di
diamante dell'offensiva sindacalista da Amsterdam - prima, dopo e durante) definiva
"anarchismo operaio".
Dimenticare questo significa falsare il processo in quel momento in atto. Dopo Amsterdam, è
vero, le cose cambiarono, ma questa non è una buona ragione per distorcere la realtà. Che
distorsione ci sia lo si vede da numerosi particolari. Uno ad esempio, rispetto alla posizione di
Borghi. Toninello assimila Borghi a Malatesta e lo fa riprendendo le memorie di Borghi stesso
(di questo secondo dopoguerra) o posizioni del Borghi del 1920. Sorvola però il fatto che Borghi
nel 1913 (nel suo opuscolo su Pelloutier, ora accessibile in edizione autentica all'originale) si
dichiarava "monattiano" (guarda caso) e nel 1914 più vicino a Guillaume che non a Malatesta.
Che poi anche Borghi modificasse la propria linea non intacca le sue precedenti convinzioni.
A questo punto, ci si può nuovamente domandare (e questa volta per motivi di correttezza e non
più di datazione) quale senso avesse pubblicare un lavoro in grado solo di aumentare la
confusione, già notevole, in tale campo.
Il movimento anarchico in Italia (1944-1950) - Dalla resistenza alla ricostruzione, di Paola
Feri, Quaderni F.I.A.P. n.29 - Roma, 1978 - pagg. 150 - lire 2.500 (p. f.)
Il periodo trattato in questo volumetto è certo tra i più significativi nella storia dell'anarchismo
italiano e, più in generale, del movimento rivoluzionario. Tensioni sociali, lotte armate, grandi
progetti e ancor più grandi illusioni, tutto lasciava sperare che con la caduta del fascismo e
della monarchia potessero schiudersi nuove prospettive, un quarto di secolo dopo il "biennio
rosso" (1919-20).
Nonostante la persecuzione fascista, che aveva disperso le file del movimento tra carceri,
confino ed esilio, gli anarchici erano una forza non trascurabile, anche se la mancata
partecipazione alla resistenza in questo movimento specifico autonomamente organizzato (con
eccezioni nelle zone di Genova, Carrara, Milano e forse altrove) ne aveva limitato la possibile
influenza. Se a ciò si aggiunge lo stalinismo più bieco esercitato dai comunisti di Longo e
Togliatti (che già in Spagna avevano dato prova del suo settarismo criminale), che dominava la
maggior parte della sinistra, ci si può fare un'idea per quanto vaga delle difficoltà incontrate
allora dai militanti in Italia.
Fame, disoccupazione, i fatti di Grecia, la questione istituzionale, il problema della terra, Yalta,
il patto del lavoro, i rapporti con la chiesa, le "epurazioni", la possibilità di ricostituire un
sindacalismo rivoluzionario: questi sono solo alcuni dei temi e dei problemi che agitarono
allora il nostro movimento e le altre forze rivoluzionarie (poche e ridotte, in verità). Di tutto
questo fermento, delle speranze e delle azioni, del "clima" e delle tensioni a volte enormi che
caratterizzarono quegli anni, non v'è nel volumetto della Feri (giovane assistente all'Università
di Firenze) che un vago richiamo.
Le vicende del movimento anarchico vengono collocate dalla Feri nell'ambito ristretto della sua
vita "interna", senza quasi rapporto con la vivacissima vita politica circostante. Così facendo, la
Feri rinuncia a cogliere i nessi tra realtà sociale e movimento anarchico e si preclude la
possibilità di una valutazione meditata e documentata delle scelte che il movimento di fatto
operò: si pensi - per esempio - all'atteggiamento assunto in campo sindacale.
È un peccato che questo volumetto, il primo che si proponga di affrontare un periodo tanto
significativo quanto sconosciuto dalla storia dell'anarchismo italiano, fallisca quasi
completamente questo suo obiettivo, lasciando ancora "vergine" il terreno per studiosi che
vogliano davvero affrontare in tutta la loro complessità quel periodo storico, particolarmente
ricco di indicazioni e di insegnamenti anche per noi che ci troviamo oggi ad operare in una
realtà tanto differente.
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