Rivista Anarchica Online
Yuri Orlov e il neurocomunismo
di Yuri Orlov (trad. Chersi)
Yuri Fedorovich Orlov, membro della sezione sovietica di "Amnesty International" promotore di
un gruppo di controllo per l'applicazione degli accordi di Helsinky sui diritti civili, si è visto
confermare in appello (nel mese di luglio) la condanna a 7 anni di lavori forzati e 5 di confino
inflittagli in prima istanza dal tribunale di Mosca in maggio. Uscirà, sempre che gli sia data la
possibilità di sopravvivere, nel 1993. Orlov non è un anarchico: dalla lettura del suo saggio "È possibile un socialismo non-autoritario?" (apparso in Francese sul n.8 della rivista internazionale di ricerche anarchiche
"Interrogations") emerge una concezione genericamente socialista ed anti-autoritaria in merito
alla quale potremmo esprimere perplessità e critiche. Ma non è questo l'aspetto principale che
vogliamo mettere in risalto: sotto la cappa di piombo di un regime dittatoriale com'è quello che
opprime la Russia da secoli (la dittatura del partito comunista si salda anche storicamente con
quella degli zar, a parte la breve parentesi rivoluzionaria dal '17 al '18), il solo fatto di riuscire
ad esprimere una qualche forma di dissenso che si caratterizzi in senso espressamente
antiautoritario è di per se stesso positivo. Tra gli esponenti del dissenso interno sovietico di cui
si abbia conoscenza, Orlov è a nostro avviso uno dei più significativi: anche per questo
pubblichiamo in queste pagine la traduzione di ampi stralci del suo articolo succitato.
Definizione di socialismo totalitario
È possibile un socialismo di tipo non-totalitario? Per un gran numero di intellettuali occidentali (e
per un piccolo numero di sovietici) la domanda è inconsistente: questa possibilità è un assioma.
Ma quest'assioma non è che una delle ipotesi. Per quanto riguarda i fatti, senza respingere le
ipotesi del "socialismo dal volto umano", questi hanno per il momento semplicemente fornito la
prova convincente della possibilità e della stabilità incontestabile del socialismo totalitario.
Come è noto, la formulazione e lo studio serio di simili problemi nell'Unione Sovietica socialista
sono considerati del tutto sconvenienti: ci si può prendere per questo fino a 7 anni di regime duro
in un campo di concentramento - o un trattamento speciale in un ospedale psichiatrico. E questo
può essere considerato un caso nel quadro del socialismo?
L'impiego di siringhe o di altri strumenti del genere per la modifica dei cervelli disposti all'uso
della critica, le lunghe condanne ai campi di lavoro correttivi, la sottrazione dei fanciulli dai
membri di comunità religiose indipendenti sono forse le appendici naturali del socialismo nella
stessa misura che, ad esempio, la famosa "mancanza del gusto del domani", data dall'assenza della
concorrenza commerciale? In realtà, io ho davanti agli occhi la mancanza di gusto di questa
maggioranza silenziosa che ha perfettamente compreso che ogni critica non prevista su qualsiasi
cosa è una pericolosa sopravvivenza borghese!
Ma sarebbe assurdo credere che i rapporti tra la maggioranza dei cittadini e lo Stato possano
essere ridotti ad una semplice formula di coercizione. Il socialismo totalitario si caratterizza nei
seguenti tratti distintivi:
1) Monopolio totale dell'iniziativa economica.
2) Il "possesso" di quest'iniziativa non è accordato per tutta la vita e non è trasmettibile in via
ereditaria.
3) Monopolio totale dell'iniziativa politica, con l'identica osservazione del punto precedente.
4) Creazione di un apparato di repressione ideologica totale.
5) Esistenza di una concezione o di un mito dello stato unico.
6) Compensazione della mancanza di libertà economica, politica e spirituale con dei diritti e dei
privilegi specifici.
Gli ultimi quattro punti di quest'elenco sono caratteristici dei regimi totalitari nel loro insieme. I
primi due appartengono a quel socialismo di tipo totalitario che viene considerato, qui in
U.R.S.S., come il vero socialismo.
Mi propongo di dimostrare in questo articolo che i primi due fattori hanno un legame molto
stretto anche se non univoco con gli altri. Non credo che possano esistere rapporti univoci nella
società umana. Tuttavia, è evidente che il totalitarismo, diventato socialista, diviene più stabile e
più irreversibile. Da questo punto di vista (solamente da questo punto di vista!) i regimi totalitari
che abbiano mantenuto l'iniziativa privata capitalista sono meno pericolosi dei regimi totalitari
socialisti a cui, come si dice, "appartiene l'avvenire".
Io sono convinto - ed è questo il tema del mio articolo - che l'accentramento nelle mani dello
Stato di tutta l'economia, compreso il diritto esclusivo di pianificazione centralizzata, è
incompatibile a lungo termine con l'esercizio delle libertà democratiche ed intellettuali, anche se in
un breve periodo è possibile farla convivere. Se questo è vero, allora per conservare alla società
un "volto umano" occorre tenersi a rispettosa distanza da una riforma come la nazionalizzazione
completa di tutti i mezzi di produzione: essa sposa troppo perfettamente la struttura totalitaria, si
intreccia troppo facilmente in quella perché si possa impedire a lungo la loro unione: ogni
congiuntura favorevole tende alla formazione di una simbiosi stabile.
Cerchiamo di valutare le possibili alternative al socialismo totalitario.
La società potrebbe prestarsi ad un'analisi delle sue strutture costitutive. Cerchiamo qui di tener
conto solamente dei seguenti parametri: grado di concentrazione della proprietà; grado di
centralizzazione dell'iniziativa economica; diritto di successione della proprietà e dell'iniziativa;
parte di profitto che va al proprietario per suo uso personale.
Tenendoci su un'approssimazione molto generale, si può dire che il capitalismo occidentale
contemporaneo si caratterizza per un'iniziativa economica relativamente decentrata, una
ripartizione ancor più decentrata della proprietà, l'attribuzione di una parte relativamente scarsa
del profitto ai proprietari per loro uso personale. L'esistenza di un buon numero di proprietari, fra
cui figurano sia lo Stato che i comuni, è un fattore importante. Gran parte della proprietà si
trasmette per eredità, il che porta al mantenimento dell'iniziativa all'interno delle medesime
famiglie.
Il socialismo totalitario al potere in U.R.S.S. non dev'essere confuso col "socialismo schiavista"
dell'epoca staliniana, quando i prigionieri-schiavi fornivano circa un quarto della manodopera
industriale. In caso di isolamento totale dal mondo esterno, il "socialismo schiavista" è un regime
di grande stabilità.
Il socialismo contemporaneo in U.R.S.S. è legato ad una completa monopolizzazione
dell'iniziativa economica. Il proprietario collettivo di quest'iniziativa - il vertice dell'apparato
statale - è un proprietario temporaneo cui viene, per così dire, "affidato" il diritto di gestire la
proprietà. Il proprietario formale della proprietà, dei mezzi di produzione, del sottosuolo, ecc., è
"la società nel suo insieme", che ne è anche l'erede unico. Quest'ultimo fattore potrebbe essere in
grado di attenuare l'arbitrio dei veri padroni dei mezzi di produzione, ma soltanto nel caso in cui le
libertà politiche possano essere pienamente esercitate: sindacati indipendenti, parlamento sulla
base di elezioni vere, ecc.. Saremmo in questo caso in presenza di un socialismo democratico a
economia centralizzata, la cui vitalità a lungo termine io contesto.
Nella variante sovietica, la parte di profitto che va al proprietario collettivo - il vertice
dell'apparato statale - è destinato agli usi personali dei suoi membri, potrebbe essere considerata
relativamente scarsa; anche se le entrate dell'élite si collocano senza alcun dubbio ad un livello
trenta volte superiore al minimo. Somme veramente enormi s'incanalano altrove: per il
mantenimento di tutta la piramide gerarchica, sostegno del regime vigente ed in particolare per il
mantenimento dell'immenso apparato di repressione e di educazione ideologica.
Quale potrebbe essere la struttura di un socialismo intermedio di tipo moderato? Se le mie
considerazioni sul carattere illusorio del socialismo democratico ad economia monopolizzata sono
convincenti, bisogna ammettere che questa struttura dovrà innanzitutto caratterizzarsi per un
certo decentramento, una cessazione del monopolio della proprietà non ereditaria (cioè
temporanea) e dell'iniziativa, l'attribuzione di una parte di profitto più o meno univocamente
regolamentato (e di scarsa consistenza) a vantaggio personale dei proprietari temporanei
dell'iniziativa. Ritorneremo ancora su questa variante, ma esamineremo innanzitutto da più vicino
le caratteristiche del socialismo totalitario.
Burocratizzazione dell'economia
La monopolizzazione dell'economia portata all'estremo tende ad una colossale burocratizzazione
della gestione, con tutte le conseguenze che ne derivano per l'individuo. Benché questo non sia
ancora il totalitarismo e che il totalitarismo non sia semplicemente l'esercizio del potere
burocratico, non si può negare che una tale burocratizzazione universale non serva da base ideale
al totalitarismo. Ma qual è il reale rapporto tra questi due fenomeni e quale ne è il meccanismo?
Il significato abitualmente attribuito alla parola "burocrazia" è quello di macchina amministrativa e
cartacea, giunta all'indifferenza verso la gente. Ciò è vero: tutta questa enorme macchina
amministrativa, regolamentativa, contabile, di elaborazione statistica, di pianificazione, che spreca
immense economie, possiede una propria tensione interiore estremamente elevata e finisce spesso
per funzionare per conto suo, con cose immaginarie create da essa stessa come oggetto. Ma
purtroppo è questo il coefficiente naturale di rendimento di simili macchine. Ciò dipende dalle
dimensioni del sistema e si può affermare con sicurezza che l'economia nazionalizzata di un paese
enorme è oggi troppo grande per costituire una dimensione di pianificazione ottimale.
Cionondimeno, la burocrazia svolge, nelle condizioni che le sono assegnate, il suo lavoro
indispensabile. Essa non è solamente inevitabile, ma è indispensabile. Se avessimo a che fare
solamente con questa marea di impiegati di gradi diversi, potremmo aspettarci che i graduali
progressi della cultura e il progressivo addolcimento dei costumi riducano al minimo la non libertà
spirituale. In effetti un processo siffatto ha luogo in campo burocratico, non senza aver subito
l'influenza sociale ed etica dei dissidenti sovietici. Ma si scontra con la resistenza eccezionalmente
forte della direzione del Partito e, di conseguenza, dell'apparato di repressione ideologico. I
detentori plenipotenziari dell'iniziativa non vogliono perdere i loro privilegi - ma si tratta solo di
questo!
La pianificazione centralizzata e l'assenza di mercato libero creano tutto un complesso di problemi
che l'apparato burocratico non solo non è in grado di risolvere, ma, anzi, ne crea di nuovi esso
stesso. In particolare questo sistema, da sé e al di fuori dei trattamenti d'urto che gli applica di
tanto in tanto l'apparato superiore del Partito, non è in grado di assimilare efficacemente le nuove
scoperte scientifiche e tecniche. Questo problema è fin troppo noto e potrei citare un numero
infinito di esempi. I responsabili effettivi della produzione, legati dal piano, da severe limitazioni di
spesa, privi del diritto di iniziativa economica, senza poter disporre delle possibilità materiali
necessarie a questo fine, sanno che ogni nuova iniziativa in materia di produzione passa per la via
delle pratiche complicate "fino al vertice". Un nuovo progetto di qualche peso non può in genere
essere inserito altro che nei piani dei quinquenni successivi. Le più piccole modifiche ad un
progetto, se comportano nuove spese, fanno uscire il piano dal quadro che gli è già stato
assegnato e portano a degli aggiornamenti d'esecuzione. Tutte queste pratiche ed il rischio di
"perdita di fiducia" che proviene in caso di insuccesso non incoraggiano certo i responsabili a
livello esecutivo a tentarli. Essi si sforzano di "far mostra di iniziativa" lungo i sentieri battuti,
optando per dei cambiamenti quantitativi piuttosto che qualitativi della produzione. Non sono,
naturalmente, i proprietari dell'iniziativa, ma dei burocrati. Con qualche riserva, gli stessi passi
percorrono i responsabili della ricerca scientifica. Bisogna ammettere che la centralizzazione
dell'economia produce le sue leggi.
Ma che dire della ricerca spaziale, dei razzi, delle testate atomiche, ecc.? Malgrado la
burocratizzazione, malgrado l'irresponsabilità che regna sui luoghi di lavoro, si deve ammettere
che l'economia si sviluppa in modo relativamente dinamico, con un tasso di sviluppo che non è
forse inferiore a quello dell'epoca pre-rivoluzionaria, che era del 5,72% all'anno dal 1885. Come
mai?
È proprio qui che si evidenziano le correlazioni essenziali. Il super-accentramento dell'economia è
automaticamente legato ad una super-burocratizzazione, accompagnata ad una certa indolenza dei
dirigenti a livello esecutivo. Ciò è parzialmente compensato tuttavia dalla possibilità di intervento
del detentore centrale dell'iniziativa. Questo proprietario collettivo è in questo modo non solo
interessato alla preservazione dei suoi privilegi di effettivo proprietario, ma vede anche
l'importanza del suo ruolo nel sistema, e vede giusto. Il cerchio, di conseguenza, si rinchiude.
Ecco perché io sono convinto che l'unione di una economia monopolizzata nelle mani dello Stato
con la democrazia sia estremamente difficile. La democrazia, diciamo i Soviet, potrebbero
sostituire l'apparato esistente nel suo ruolo di gestore, di dirigente dinamico e di sorvegliante?
Come avverrebbe tutto questo in maniera concreta? Forse che, ad esempio, la decisione
sull'incremento di una produzione verrebbe presa a maggioranza di voti in un Soviet, o attraverso
un referendum? Chi prenderebbe le decisioni fondamentali che esigono un'immediata presa di
posizione? A cosa mirerebbe la liquidazione dell'apparato di repressione ideologica, in una
situazione in cui non se ne avrebbe più bisogno? Se venisse mantenuta la struttura di una
pianificazione centrale rigida, quale sarebbe il meccanismo della presa di decisione in materia di
modificazione qualitativa e non solo quantitativa della produzione? Che competenza potrebbero
reclamare dei Soviet popolari in materia di progresso scientifico e tecnologico?
Scontrandosi con questi problemi pratici, la democrazia si troverebbe davanti ad una scelta:
prendere una decisione saggia riguardo al decentramento dell'iniziativa economica, rinunciando ad
occuparsi di problemi scientifici complessi in materia di produzione e riservandosi alla loro
competenza solo i problemi che fanno riferimento agli interessi dei lavoratori; o ritornare alla
dittatura centralizzata dei tecnocrati con tutte le conseguenze che ne seguono, cioè a procedere in
pratica all'auto-liquidazione della democrazia. Ma l'idea della pianificazione centralizzata vale un
simile sacrificio?
Perché mantenere un simile colosso che la democrazia non è proprio in grado di digerire e che
non è tollerabile altro che allo stomaco di ferro di un regime totalitario?
Il sistema socialista totalitario
Così, la socializzazione dell'economia contemporanea non significa altro che il trasferimento di
tutta l'iniziativa nelle mani dei soli proprietari, certo non ereditari, ma supermonopolizzatori. Ne
risulta un gran numero di conseguenze, non tutte negative. Ma sotto certi aspetti, in particolare
sul piano psicologico, ciò significa un ritorno all'assolutismo feudale. Insieme a tutto il resto del
sistema totalitario ciò suggerisce in modo sgradevole il possibile avvio di una evoluzione in senso
inverso, di una regressione. Non è forse un caso che i paesi scarsissimamente sviluppati, saltando
la fase del capitalismo (è questo il culmine dell'evoluzione?), arrivano direttamente al socialismo.
È vero che l'uomo porta ancora in sé moltissime possibilità a noi sconosciute e c'è da aspettarsi
che il capitalismo occidentale - incontestabilmente "un capitalismo dal volto umano" - non
costituisca il vertice assoluto del nostro sviluppo.
La nazionalizzazione elimina parzialmente questo senso di ingiustizia legato all'esistenza della
proprietà altrui e del potere del denaro. In cambio, è vero, il potere si mostra come tale, potere
allo stato puro, ma le moderne cognizioni della giustizia han fatto presto ad eliminare
quest'obiezione. Sembra che numerose persone sopportino a fatica il fardello della libertà, la
concorrenza che ne deriva necessariamente e la responsabilità personale del proprio destino. Essi
vorrebbero scaricare questo fardello da qualche parte in alto, senza sempre comprendere il
tremendo costo di simile trasferimento. Le circostanze della vita spirituale sono tali che, in un
regime di libertà, l'attività politica viene stimolata dagli interessi economici. È un bene? È un
male? Non lo so. Ma come la nazionalizzazione indebolisce al massimo l'attività economica, così
si perde con essa l'interesse sia per il gioco politico sia per l'attività sociale. Di conseguenza, le
masse danno carta bianca al potere centrale, su cui si lanciano giocatori poco numerosi, ma
giocatori veri. Le considerazioni favorevoli - non solo materiali ma anche psicologiche - vengono
create dall'estensione dell'influenza totalitaria su tutti gli aspetti della vita. Così il potere assoluto
sull'economia, già solo per questo motivo, s'allarga naturalmente fino al potere politico e,
riunendo la totalità dell'una e dell'altro, fino al campo spirituale. Non resta un solo spazio vuoto.
Ormai esistono, portati al loro punto di massimo sviluppo, i mezzi per soffocare la ricezione e la
diffusione dell'informazione indipendente e per ridurre la dissidenza se non altro per fame,
impedendole l'accesso a certe schiere d'attività: non tutte le schiere di attività sono in realtà
controllate e pianificate dallo Stato.
È vero, e la cosa dev'essere sottolineata, che attualmente in U.R.S.S. grazie alla diffusione delle
radio a transistor, alla vitalità dell'ambiente "borghese" e all'aumento del numero delle missioni
all'estero, cominciamo ad avere accesso alle informazioni non ufficiali. Gli eroici sforzi dei
dissidenti hanno in questo campo un ruolo ancor più importante. Nei tempi staliniani la
maggioranza dei cittadini viveva in un mondo assolutamente illusorio.
L'apparato repressivo agisce nel nostro sistema in accordo tanto stretto con l'apparato ideologico
che è a volte difficile separare l'uno dall'altro; essi sono d'altronde così intrecciati a livello di
quadri. Se ne potrebbe citare un infinito numero di esempi. A Kiev, il segretario
dell'organizzazione del Partito dell'Unione degli scrittori trattenne in amichevole conversazione lo
scrittore Mikola Rudenko, espulso da tempo da questa Unione e dal Partito; venne accertato che
le quattro ore di conversazione senza importanza, avevano come scopo di permettere al K.G.B. di
collocare un congegno d'ascolto nella camera dello scrittore. Ma la cattiva qualità del lavoro
dovette tradirli (oh, santa irresponsabilità). Al suo ritorno Rudenko scopre il soffitto sfondato e
trova un oggetto metallico in un buco che proviene dalla stanza superiore. Durante il suo ritorno
la Milizia trattiene il suo taxi per un'altra ora con un pretesto futile; l'autista, terrorizzato,
dimentica di chiedere a Rudenko il pagamento della corsa!
So che gli intellettuali occidentali si tranquillizzano spesso con la speranza che i tratti più
ributtanti del totalitarismo sovietico non potranno radicarsi sul suolo europeo e l'idea che il
popolo russo possieda una supposta particolare predisposizione per le forme di vita totalitaria. È
una pericolosa illusione. Quando il totalitarismo è vittorioso, fa poi fiorire nella nazione quelle
caratteristiche che esso desidera per prolungare la sua esistenza. Si potrebbe credere al
particolarismo dei russi a questo riguardo se l'Europa occidentale non avesse conosciuto, e in un
recentissimo passato, il nazismo ed il fascismo.
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