Rivista Anarchica Online
Su Marte c'è un compagno
di Vittorio Curtoni
La fantascienza così come la intendiamo oggi nasce ufficialmente in America nel 1926, anno in cui
appare il primo numero di "Amazing Stories" ("Storie sorprendenti"), la celeberrima rivista
fondata dal papà della science-fiction, il lussemburghese Hugo Gernsback. Quest'anno, dunque, la
fantascienza celebra il suo cinquantaduesimo compleanno; e va a suo credito dire che di strada ne
ha fatta parecchia, che ha imparato a camminare da sola. Genere letterario "popolare" nel senso
migliore del termine, ha in se i germi di una ribellione profonda, di un modo diverso di considerare
le cose del mondo: è, insomma, rivoluzionaria nella sua sostanza.
Il che, purtroppo, non significa che abbia prodotto solo e sempre cose rivoluzionarie, anzi. Sul
suo sviluppo ha influito pesantemente il fatto di essere cresciuta in America, condizionata e viziata
da una coscienza politica ben diversa da quella europea; e poi molti degli autori che l'hanno usata
per raccontare le loro storie ci vedevano soprattutto il trionfo della scienza, lo sviluppo di un
futuro armonico che avrebbe portato l'uomo a essere signore del cosmo. Sino al termine della
seconda guerra mondiale, grosso modo, predomina in science-fiction lo spirito del capitalismo
battagliero che abbandona la Terra e si espande nell'universo. Nasce una specie d'imperialismo
cosmico (naturalmente benevolo, disinteressato e civilizzatore, almeno stando a quanto ci dicono)
che esporta i sommi valori umani sugli altri pianeti; e gli alieni, gli extraterrestri, o sono mostri
guerrafondai da distruggere subito, o sono creature inferiori che di buon grado accettano la nostra
superiorità, o ancora si trasformano in alleati per ulteriori lotte. Prevale la logica del contrabbando
di idee reazionarie: ma gli americani sono ancora lì con le loro frontiere vergini, si credono i
padroni del mondo, non vedono alternative.
Belle lezioni di utopia (o antiutopia, fa lo stesso) sociale ce n'erano state in precedenza. Basta
ricordare tutta l'opera di Herbert George Wells, che scriveva spronato dalla sua fede socialista in
un mondo migliore; oppure il 1984 e La fattoria degli animali di George Orwell, Il mondo nuovo
di Aldous Huxley: opere in cui il vigore ideologico si sposa all'arte del racconto, creando episodi
impossibili da eguagliare.
Ed è rifacendosi a questi precedenti che all'inizio degli anni Cinquanta, superato il trauma della
guerra, si forma quella scuola denominata "social science fiction", cioè "fantascienza sociologica"
nella traduzione italiana. È un robusto gruppo di autori giovani, decisi a reinventare l'avventura
con l'occhio sempre attento ai risvolti sociali, ad avanzare critiche al sistema proprio nel cuore del
maccartismo. C'è voluto del coraggio, immagino, per scrivere e per pubblicare quelle cose, anche
se oggi la loro carica polemica ci sembra ovvia: ma erano i tempi dell'inquisizione, della caccia alle
streghe, e bisognava stare attenti. Forse non si sono avute conseguenze solo perché la
fantascienza era considerata un giocattolino innocuo, buona per ragazzini e per adulti infantili.
Il movimento si accentra attorno alla rivista "Galaxy", che fra il '50 e il '60 vive attimi di
irripetibile fulgore. Emergono talenti freschissimi, brucianti, che prendono a demolire i miti del
progresso tecnologico, del consumismo, della massificazione.
Robert Sheckley, grande istrione pirotecnico, traccia i suoi ritratti di società inumane, falsamente
libertarie, in realtà terribilmente repressive; immagina futuri in cui per gioco si ha la libertà di
uccidersi a vicenda (La settima vittima), in cui l'amore è un prodotto artificiale, venduto sotto le
spoglie di perfezionatissimi automi (Pellegrinaggio alla Terra), in cui il quiz televisivo diventa
occasione per lo sfogo di quella crudeltà che è tanto funzionale al sistema (Il prezzo del pericolo).
Frederik Pohl scrive quel grande capolavoro che è Il tunnel sotto il mondo, quasi un incubo
kafkiano trasposto ai nostri giorni: il protagonista scopre, grado per grado, di essere solo una
memoria elettronica infilata nel corpo di un minuscolo robot, continuamente sottoposto ai
bombardamenti pubblicitari di un'industria che vuole saggiare le reazioni del cittadino medio ai sui
nuovi prodotti. Insieme a Cyril Kornbluth firma I mercanti dello spazio, godibilissimo romanzo
che smantella e capovolge quei meccanismi d'imperialismo cosmico di cui si parlava prima.
E poi si potrebbero citare molti altri nomi: Philip José Farmer con le sue storie di liberazione
sessuale (Una amore a Siddo, Relazioni aliene); Philip Dick che comincia a tessere la trama del
suo violento affresco di schizofrenia sociale (L'uomo dei giochi a premi, L'occhio nel cielo, Il
disco di fiamma); William Tenn che ironizza sulla meccanica della repressione; Theodore
Sturgeon che delinea la nascita di una nuova umanità dotata di poteri extrasensoriali (Nascita del
superuomo) oppure ermafrodita, pacifica, completa (Venere più X); e si potrebbe continuare
all'infinito.
Il limite di fondo della "social sf" fu la mancanza di una ideologia di base, il che portò da una parte
allo spezzettamento del discorso in tante prospettive diverse quanti erano gli autori in attività, e
dall'altra all'incapacità di proporre soluzioni, sicché al lavorio di distruzione non corrisponde
nessuna alternativa positiva. Ma fu comunque un momento molto importante, che segnò una
presa di coscienza generale e un punto d'avvio da cui non sarà più possibile, sino ad oggi,
prescindere. Con "Galaxy" la fantascienza cominciò a riappropriarsi della sua carica eversiva, per
quanto in forma ancora confusa.
Gli anni Sessanta sono dominati da quella che si definisce "new wave", cioè "nuova ondata",
corrente che ebbe il suo centro focale in Inghilterra e che si preoccupò principalmente di un
rinnovamento stilistico della fantascienza. Esperimenti verbali di ogni tipo videro la luce sulle
colonne di "New Worlds", mentre l'interesse per la dinamica sociale passò, in genere, in secondo
piano. Ma, per quanto sia vero che buona parte dei lavori di quel periodo si possono vedere come
pure e semplici esibizioni di narcisismo letterario, sarebbe sbagliato trarre un bilancio negativo a
livello ideologico. Anzi: a me pare che proprio la "new wave" abbia rappresentato l'instaurazione
di un modello anarchico in science-fiction, solo che in genere l'anarchia si fermava alla forma e
non raggiungeva i contenuti.
Per spiegarmi: mi sembra importante che dopo quasi quattro decenni di compostezza linguistica si
sia provato a scardinare il linguaggio, a manipolare grammatica e sintassi, a creare immagini
sintetiche che non hanno corrispondenza col reale, a distruggere i meccanismi stessi del narrare.
Queste sono esperienze che la letteratura "normale" faceva agli inizi del Novecento con le sue
avanguardie, e che alla fantascienza non erano state concesse. È anarchico, rivoluzionario, direi,
lo spirito con cui questi autori si accostavano al genere; e li si può certo perdonare se non sempre
i risultati sono stati degni delle intenzioni.
In quegli anni James Ballard, ispirato dal surrealismo pittorico, predicava la ricerca dello "spazio
interno", cioè di quei nessi a livello inconscio che svelano i meccanismi della psiche umana, e
traduceva le idee in una serie di splendidi romanzi (Il vento dal nulla, Deserto d'acqua, Mondo
bruciato, Foresta di cristallo) e racconti. Michael Moorcock, bizzarra figura di beatnik oggi
ormai integrato a pieno, ribolliva di crudeltà e di senso di disgusto per come vanno le cose del
mondo (Programma finale, Il corridoio nero). Brian Aldiss riproponeva le tecniche narrative di
Joyce, modellando parabole ispirate agli strumenti della psicanalisi (Descalation, Questo mio
mondo bruciato, Anonima Intangibili).
Dall'Inghilterra la "new wave" arrivò a contagiare l'America, dando vita a uno strano, affascinante
miscuglio di nuove e vecchie idee. Giovani autori cresciuti all'ombra della cultura umanistica,
molto meno interessati dei loro predecessori ai risvolti scientifici della narrativa, portano approcci
diversi: reinventano la mitologia in chiave contemporanea (Roger Zelazny), dibattono il problema
del linguaggio all'interno del romanzo (Samuel Delany, il primo negro approdato al
professionismo in fantascienza), costruiscono crudeli apologhi sulla violenza del potere (Thomas
Disch, in particolare nel bellissimo Campo Archimede).
E si giunge, gradualmente, a questi pazzi indiscriminati rutilanti anni Settanta. Da principio, come
reazione all'eccessiva libertà che il "new wave" s'era preso, c'è un netto ritorno alla fantascienza
avventurosa, di cui si riprendono a sfornare centinaia di esemplari; poi la diga cede, irrompono il
'68 e le elaborazioni politiche che ne sono derivate, si presenta un manipolo di donne che scrivono
science fiction, e la scrivono bene, con grave scandalo dei benpensanti. Le capeggia Ursula Le
Guin, che letteralmente esplode con quel bel romanzo che è La mano sinistra delle tenebre,
manifesto di una società diversa perché è diverso il meccanismo biologico che la contraddistingue;
e ancora Ursula ripete il colpo con I reietti dell'altro pianeta, profonda meditazione sui massimi
temi dell'anarchia, opera coraggiosissima e fortunatamente riconosciuta nel suo valore anche da
tutto il pubblico della fantascienza.
Spunta Joanna Russ che cura la prima antologia femminile (e femminista) della sf, Women in
Wonder, non ancora tradotta in Italia; spunta un certo James Tiptree Jr., che poi si scopre essere
una gentile signora, Alice Sheldon, che traccia forti metafore della condizione femminile nel
mondo d'oggi (Le donne invisibili, Houston, Houston ci sentite?); spuntano tutte le autrici di cui
ci parlano i compagni di "Open Road" nel loro articolo.
E questo della rivincita femminista è solo uno degli aspetti che caratterizzano la fantascienza degli
anni Settanta. Il fatto centrale, credo, è che oggi sono in attività molti giovani scrittori, gente che
ha vissuto l'esperienza delle rivolte studentesche (non sempre in prima persona, ma insomma di
certe cose ha preso coscienza), che non crede più nelle meraviglie riservate alla nostra razza dal
futuro, che vuole mettere in luce i lati negativi della società in cui siamo immersi. Il dato basilare è
che la science fiction si è trasformata in uno strumento di critica, di lotta, di impegno sul terreno
dei fatti concreti: certo, si continua a viaggiare nel futuro, si vola sempre su altri pianeti, ma in
questo futuro e in questi pianeti si legge ormai, nettissimo, il riflesso del presente, del qui-e-ora,
della libertà che non può essere soffocata all'infinito.
Io credo, ne sono certo, che proprio il '68 abbia rappresentato lo spartiacque per la fantascienza
contemporanea. Gli scrittori che oggi lavorano nel campo hanno assorbito, in buona parte, i temi
della cultura europea, compresa la necessità di radicalizzare le scelte politiche, di non viaggiare
più all'insegna di un umanitarismo generico. Un segno concreto, ad esempio, ne è una
pubblicazione come "Science Fiction Studies", edita da un'università canadese, che dello
strutturalismo e del marxismo usa gli strumenti d'analisi per rintracciare i temi della sf: e questo
era, sino a un decennio fa, impensabile.
Così, chiudendo questa veloce galoppata (e devo scusarmi in anticipo per la genericità di alcune
affermazioni, ma non c'era lo spazio per scendere più a fondo) sulla teoria della fantascienza e sul
suo modo di affrontare il tema "società", si può dire questo: che siamo appena agli inizi, che i fiori
devono ancora diventare frutti. Però le premesse esistono.
Ovviamente, il punto focale su cui dovranno d'ora in poi concentrarsi gli sforzi sarà la risoluzione
del rapporto letteratura immaginativa/realtà, che poi è il nodo che sta condizionando la
fantascienza dal 1926. Cioè: e assurdo pretendere che un autore di narrativa (e per di più di
narrativa futuristica, non realistica) rinunci al diritto di creare mondi e situazioni immaginarie; ma
è altrettanto assurdo che l'autore si chiuda nel castello d'avorio dell'immaginazione, rifiutando
(come fanno ancora molti tra i più anziani professionisti) di misurarsi con quello che succede nel
mondo vero. Sarei, peraltro, ottimista: se gli ultimi anni hanno modificato in modo tanto deciso il
volto della science fiction, è appunto perché si sta cercando di superare questa dicotomia, di
arrivare a una conciliazione realizzata sul sentiero della creazione poetica.
E, forse, su questo sentiero l'Europa è più avanti dell'America. Vorrei citare solo un caso, italiano,
bellissimo: il Quando le radici di Lino Aldani, scrittore che alla fantascienza sta dedicando da più
di quindici anni le sue migliori energie. L'ambiente è quello di un'Italia futura, stravolta
dall'invadenza edilizia, dal consumismo che divora anche i sentimenti. Il paesino di campagna in
cui s'arrocca il protagonista sarà destinato, fatalmente, a soccombere sotto l'avanzata di ruspe e
bulldozer; ma la soluzione estrema, la fuga liberatoria, gli verrà dagli zingari, unici depositari del
concetto di una vita a misura d'uomo.
Perché, probabilmente, è ora di scoprire il diverso che vive in ciascuno di noi.
Bibliografia essenziale
Autori vari: L'ombra del 2.000, "Omnibus" Mondadori (contiene diversi racconti e romanzi di
Fantascienza sociologica).
George Orwell: La fattoria degli animali, "Oscar" Mondadori.
George Orwell: 1984, "Oscar" Mondadori.
Aldous Huxley: Il mondo nuovo, "Oscar" Mondadori.
Robert Sheckley: La decima vittima, Bompiani, Milano.
Robert Sheckley:: Mai toccato da mani umane, "Classici fantascienza", Mondadori.
Pohl & Kornbluth: I mercanti dello spazio, "Oscar" Mondadori.
Philip Farmer: Un amore a Siddo, La Tribuna, Piacenza.
Philip Farmer: Relazioni aliene, Fanucci, Roma.
Philip Dick: La svastica sul sole, Nord, Milano.
Philip Dick: Ubik, La Tribuna, Piacenza.
Philip Dick: Episodio temporale, Nord, Milano.
Theodore Sturgeon: Nascita del superuomo, Nord, Milano.
Theodore Sturgeon: Venere più X, La Tribuna, Piacenza.
James Ballard: Deserto d'acqua, "Urania", Mondadori.
James Ballard: Foresta di cristallo, "Fantapocket" Longanesi.
Michael Moorcock: Programma finale, "Galassia", La Tribuna.
Michael Moorcock: Il corridoio nero, "Galassia", La Tribuna.
Brian Aldiss: Descalation, "Galassia", La Tribuna.
Brian Aldiss: Anonima Intangibili, "Galassia", La Tribuna.
Thomas Disch: Campo Archimede, "Galassia", La Tribuna.
Ursula Le Guin: La mano sinistra delle tenebre, Libra, Bologna.
Ursula Le Guin: I reietti dell'altro pianeta, Nord, Milano.
James Tiptree: Le donne invisibili, "Robot", Armenia, Milano.
James Tiptree: Houston, Houston, ci sentite?, "Robot", Armenia.
Lino Aldani: Quando le radici, La Tribuna, Piacenza.
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