Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 69
ottobre 1978


Rivista Anarchica Online

L'irrecuperabile Proudhon
a cura della Redazione

Come interpretare correttamente il pensiero di Proudhon? Quale la chiave di lettura di un pensatore così composito? Il dibattito in corso registra posizioni molto diverse, spesso più ideologiche che scientifiche. Dopo le interviste sullo scorso numero a Luciano Pellicani e Massimo Salvadori, entrambi socialisti, abbiamo ritenuto quanto mai necessario sentire l'opinione di Nico Berti, anarchico, sicuramente uno dei più preparati storici del movimento. I nostri lettori lo conoscono come regolare collaboratore di "A" sotto lo pseudonimo di Mirko Roberti.

Il dibattito in corso sul leninismo vede al suo centro il pensiero di Proudhon. Molti socialisti lo rileggono in chiave riformista altri, e soprattutto i comunisti, lo prendono di mira con critiche feroci. Come credi vada inquadrata la dimensione del pensiero proudhoniano?

Prima di rispondere a questa domanda credo sia necessario fare una premessa generale sul vero significato del dibattito che da due mesi travaglia la sinistra. A mio avviso le due questioni, quella di Proudhon e quella di Lenin sono due modi di esprimersi di una identica malattia mortale e cioè la crisi irreversibile del marxismo come strumento di conoscenza, come ideologia positiva di costruzione di un nuovo mondo, come visione onnicomprensiva che da un secolo a questa parte ha avuto la pretesa di rappresentare e di interpretare i destini stessi della storia umana. Ecco, se non si tiene presente questo fatto, che costituisce la vera causa, anche se recondita, del dibattito, credo che non si possa capire niente di esso. In questo senso la crisi del marxismo è la crisi teorica di tutta la sinistra, perché bene o male tutta la sinistra ha avuto e ha dei debiti con il marxismo. Non occorre dire, ovviamente, che il pensiero anarchico non è investito da questa crisi, dal momento che non ha mai avuto e non ha debiti teorici con l'ideologia marxista, il che non esclude però che abbia avuto e abbia delle "contaminazioni" con essa.

Intendiamoci, non è che la crisi irreversibile del marxismo segni la fine della validità di alcune sue singole scoperte. Segna però, come dicevo, la fine della pretesa di rappresentare e di interpretare in un'unica visione organica tutta la realtà. A questo punto si spiega la riscoperta di Proudhon da parte dei socialisti. Proudhon, infatti, può essere letto nello stesso tempo in chiave liberale e in chiave autogestionaria. Con la prima i socialisti tentano di salvare la loro secolare adesione al democraticismo parlamentare, con la seconda vorrebbero riscoprire, anzi scoprono, il valore fondamentale del socialismo non statalistico. È un'operazione, non occorre dirlo, squisitamente "politica" e di per sé contraddittoria, tale cioè da non poter essere considerata come adesione alle tesi libertarie - e in questo senso mi sembra che Pellicani nell'intervista rilasciatavi per il numero scorso sia stato onestamente esplicito. Tutto sommato quella dei socialisti vorrebbe essere un'operazione di salvataggio, una volta constatata la strutturale impotenza dell'ideologia marxista rispetto ai temi fondamentali della liberazione umana, un'impotenza, del resto, congenita.

Per quanto riguarda i comunisti, invece, è logico che attacchino ferocemente Proudhon. Qui però bisogna chiarire. I comunisti, e con essi tutti i loro reggicoda, attaccano i socialisti per la loro scoperta di Proudhon non perché, come è stato scritto da più parti, questo significhi una maggiore accentuazione della loro linea riformista (i socialisti non hanno certo bisogno di Proudhon per diventare ancora più riformisti), ma perché questo significa, o può significare almeno in potenza, una adesione ad una concezione radicalmente diversa rispetto alla visione marxista. I comunisti, e in genere tutti i chierici marxisti, cercano disperatamente di occultare la vera ed unica ragione della loro opposizione a Proudhon, cercando di far credere che il rifiuto di questo pensatore significhi rifiuto del riformismo e del patteggiamento con il sistema borghese. Da questo punto di vista è veramente ridicolo che i comunisti accusino i socialisti di riformismo, quando loro addirittura da anni perseguono il compromesso storico! In realtà essi tentano malamente di nascondere quello che da cinquant'anni a questa parte è sotto gli occhi di tutti, di tutti quelli, beninteso, che vogliono vedere, e cioè il gigantesco fallimento, senza possibilità di appello, del marxismo come teoria e pratica di emancipazione e liberazione umana là dove il marxismo è arrivato al potere. Se rileggete infatti tutte le risposte date dai comunisti alle varie critiche rivolte da Craxi potrete facilmente notare come i comunisti non osino minimamente entrare in merito all'accusa fondamentale fatta dal segretario del partito socialista nel suo famoso "saggio", e cioè, appunto, lo spaventoso dispotismo vigente nei paesi cosiddetti socialisti, un dispotismo che forse supera come grado di potere qualsiasi altro apparso nel corso della storia umana. In altri termini le straordinarie profezie di Proudhon, come del resto di tantissimi altri anarchici, da Bakunin a Fabbri, sull'esito necessariamente totalitario e burocratico del marxismo, non sono state assolutamente confutate. Di qui la solita tecnica comunista che invece di rispondere in merito alle accuse poste (ci sono o non ci sono i campi di concentramento e di lavoro forzato, ci sono o no i manicomi per i dissidenti?; sono o no stati sterminati milioni di contadini, migliaia di rivoluzionari, ecc., ecc.?; ci sono o non ci sono le classi sociali e le disuguaglianze di status, di lavoro, di vita, ecc.?) cerca di diffamare l'avversario con squallidi accorgimenti stalinisti tipo Proudhon piccolo borghese, Proudhon bottegaio, e altre simili amenità.

Una volta constatata la crisi irreversibile del marxismo, come vedi a questo punto il tentativo dei riformisti di recuperare tematiche politico-culturali libertarie, a cominciare da quella di Proudhon? Quale è, cioè, a tuo avviso, e ritorniamo in parte alla domanda di prima, la vera dimensione del pensiero proudhoniano?

Innanzi tutto va detto che come tutti grandi pensatori anche Proudhon può prestarsi a molteplici interpretazioni. Inoltre il pensiero di Proudhon è di per sé abbastanza contraddittorio. Infatti non vi è solo la possibilità che possa essere letto in chiave riformista e liberal-socialista, come fanno ora i socialisti, ma anche in chiave sindacalista, situazionista, perfino in chiave conservatrice. Se invece si vuole vedere il pensiero proudhoniano nella sua completezza non vi è dubbio che pur con tutta la complessità che esso comporta, la chiave di lettura sia una sola: una chiave di lettura libertaria, sostanzialmente anarchica. In che cosa consiste infatti il nocciolo del suo pensiero, quali sono cioè gli elementi ultimi e irriducibili del suo pensare, quelli che attraversano tutta la sua pluridecennale riflessione, al di là di tutte le tecniche propositive di ricostruzione di un nuovo mondo? Credo che si possano riassumere in una sola frase: il rifiuto della politica intesa nel suo significato secolare, vale a dire come teoria e pratica del potere. Mentre tantissime altre sue affermazioni possono entrare in contraddizione fra loro (di qui la molteplicità delle interpretazioni), questa, invece, rimane inalterata in ogni momento, perché costituisce al tempo stesso il metodo e il motivo principale di ogni suo pensiero. In altri termini si potrebbe dire che questa è la costante, diversamente dalle altre che sono più o meno variabili. Del resto, fra i tanti possibili esiti storici del pensiero proudhoniano quale proposizione ha avuto fortuna? Proprio questa del rifiuto della politica e del potere. È su questo rifiuto infatti che è nata la Prima Internazionale e la conseguente inevitabile divisione con il movimento marxista, è sempre da questo rifiuto che Bakunin ha ripreso in senso rivoluzionario la teoria e la pratica della negatività, è da qui, insomma, che l'anarchismo si è fatto consapevole come precisa teoria sociale. Rifiuto del potere e della politica significa in effetti rifiuto del partito, del parlamento, dello Stato, di ogni concezione accentratrice e autoritaria. Detto questo non significa che tutto l'anarchismo di Proudhon sia qui. Oltre a ciò vi è, come è noto, tutto il grosso discorso sull'autogestione che comporta a sua volta il discorso sul decentramento produttivo, sull'intreccio organico fra industria e agricoltura, sul federalismo dal semplice al composto. Sono temi che furono posti e affrontati prima di qualsiasi altro da Proudhon e che oggi sono patrimonio acquisito di tutta una cultura e di un movimento progressista e libertario che costituisce ormai la sola alternativa al destino inevitabilmente burocratico e totalitario di ogni società moderna.

Allora tutte le critiche che sono state rivolte a Proudhon, a cominciare da Marx, non hanno per te alcun senso? Alludiamo, ad esempio, al fatto che Proudhon non avrebbe minimamente affrontato i problemi di una vera società moderna e industriale, perché ancorato ad una visione arcaico-contadina e sostanzialmente piccolo-borghese.

Sciocchezze. Proudhon ha affrontato in modo non storicistico la complessità della moderna società industriale di massa. Di qui un approccio radicalmente diverso dall'analisi tendenzialmente semplificante del marxismo. Dobbiamo tener presente che la dialettica proudhoniana non risolvendo le antinomie in una sintesi superiore, affronta e tiene presenti tutti gli aspetti della società e quindi, evidentemente, anche gli aspetti arretrati della vita economico-sociale. In questo senso, e solo in questo senso, Proudhon non è stato rivoluzionario. Dobbiamo dire però che l'ammonimento proudhoniano circa le implicazioni storico-sociali della dialettica marxista non è stato ancora compreso in tutta la sua portata. Proudhon sosteneva che la risoluzione radicale delle antinomie avrebbe comportato inevitabilmente una società totalitaria, uniforme, burocraticamente pianificata; così quello che allora appariva una visione e un atto ultrarivoluzionario (spazziamo via tutto), si sarebbe dimostrato con il tempo una gigantesca operazione reazionaria senza precedenti. Nessuno oggi può dimostrare che il tempo non abbia dato ragione a Proudhon.

Spiegati meglio. Cosa vuol dire tener presenti tutti gli aspetti della vita sociale?

Vuol dire, ad esempio, abbandonare la visione paleo-marxista e per certi versi anche paleo-anarchica, entrambe di stampo irrimediabilmente ottocentesco, della società divisa in due sole classi, o in sole due culture, ecc.. Vuol dire abbandonare la concezione fideistica del progresso inevitabile della storia così come ci è stato trasmesso da tutta una cultura tardo-positivistica. Vuol dire insomma affrontare i problemi di ogni ordine e grado con la consapevolezza che la realtà è infinitamente più complessa di quello che possiamo immaginare. Quello di cui oggi tutti si riempiono la bocca - il pluralismo - è stato concepito per primo nella sua forma organica da Proudhon, con l'innesto del metodo liberale dentro la visione socialista della vita. In questo senso il federalismo pluralista non costituisce solo un metodo di ricostruzione sociale, ma anche, se considerato nel suo aspetto epistemologico, un metodo di analisi che ci preserva contro la sprovvedutezza culturale ed umana.

Spostiamo adesso l'attenzione su un altro aspetto del dibattito, e cioè la concomitanza della scoperta di Proudhon con la critica al leninismo. Quale è per te il significato di questa "contemporaneità"? E che cosa significa tutto questo per la cultura politica italiana?

Qui bisogna ancora una volta tener presente quanto ho detto prima: la crisi, a mio avviso irreversibile, del marxismo. Ora è evidente che la critica al leninismo può presentarsi sotto diverse forme e servire diversi progetti. Ad esempio può avere il significato di una potatura, nel senso che si tagliano i rami leninisti per tentare di salvare il tronco marxista. In tutti i casi una contrapposizione fra Proudhon e Lenin è sostanzialmente pretestuosa e storicamente inesistente, se non si parte dall'idea che non è con Lenin che bisogna fare i conti, ma con Marx. In effetti il leninismo non è stato e non è altro che la versione estremistica del filone giacobino insito nel marxismo. Senonché questa versione, per realizzarsi, deve far proprio e porre in essere tutto il corpus dottrinario del marxismo, per cui se è vero che Marx può stare senza Lenin, non è altrettanto vero che Lenin possa stare senza Marx. In altri termini, questo vuol dire che una critica al leninismo passa inevitabilmente attraverso una critica centrale dello stesso marxismo: non si può cioè criticare Lenin senza criticare contemporaneamente Marx. Ovviamente dare avvio ad una critica centrale a Marx, qui in Italia, almeno, diventa estremamente arduo data l'egemonia fortissima del marxismo sulla cultura italiana, una egemonia, mi sia permesso di dirlo in questa sede, che ha influenzato e influenza purtroppo anche una parte sprovveduta del movimento anarchico italiano, con grave pregiudizio per lo sviluppo autonomo dello stesso.

Un'ultima domanda. Questo dibattito, che significato può avere per il movimento anarchico e per l'anarchismo in genere? Secondo te come possiamo reagire al sistematico saccheggio dei nostri temi che vengono recuperati e stravolti per fini a volte opposti?

Potrei cominciare citando quanto avete scritto sul numero scorso di "A", vale a dire che il problema non sta nel rincorrere i "frammenti rubati", ma di creare a tutti i livelli una cultura libertaria attraverso uno sforzo di arricchimento e di aggiornamento dei grandi temi del pensiero anarchico, che sono poi i grandi temi della liberazione umana. Va detto infatti, e qui non posso non abbandonare ogni cautela, che solo approfondendo la conoscenza del nostro patrimonio storico-culturale possiamo essere all'altezza della situazione attuale. Voglio dire, cioè, che gli anarchici non hanno bisogno di imbastire la propria ideologia, data la grande ricchezza, per molti versi ancora inesplorata, della nostra cultura e del nostro apparato concettuale. Sono gli altri, infatti, gli orfani di ogni storicismo e di ogni integralismo - fascisti, cattolici, marxisti, ecc. - che ormai non sanno più cosa dire di fronte alle dure repliche della storia, e perciò vengono a prendere a piene mani - soprattutto i marxisti, molto meno i cattolici, niente i fascisti (questi ultimi non esistono sul piano culturale) le nostre idee fino all'altro giorno irrise e criticate con sufficienza. Se hanno impiegato cento anni per riconoscere che la diagnosi anarchica era giusta (vedi ad esempio il riconoscimento di Pellicani sull'intervista concessavi per il numero scorso), non dobbiamo e non possiamo aspettare altri cento anni perché si accorgano che avevamo e abbiamo ragione anche nella terapia. Dobbiamo costruire subito questa cultura, partendo dalla nostra stessa cultura, perché l'anarchismo è, bene o male, la sola, unica vera alternativa di emancipazione, di libertà e di uguaglianza per il mondo intero.