Rivista Anarchica Online
Disertare il servizio civile
di Maurizio Tonetto
Due militanti anarchici hanno deciso di "disertare" il servizio civile, denunciandone il carattere
mistificatorio e sostanzialmente funzionale alla "macchina militare" e allo Stato. Si tratta di Renato
Bressan, che svolgeva il servizio civile a Vicenza, e Maurizio Tonetto, che invece lo svolgeva a
Torino. Entrambi hanno redatto una dichiarazione pubblica, motivando il loro rifiuto con la presa
di coscienza del ruolo svolto dal servizio civile. Tonetto, come i nostri lettori ricorderanno, già nel
giugno dello scorso anno aveva pubblicato su "A" un articolo di denuncia del servizio civile:
redattore del bimestrale antimilitarista Senzapatria e collaboratore della nostra rivista, Tonetto ha
deciso di "disertare" il servizio civile quando ormai gli mancavano poche settimane alla fine del
servizio stesso. Bressan, per parte sua, era circa alla metà della ferma.
Pubblichiamo qui sotto il testo della dichiarazione del compagno Maurizio Tonetto.
Con il mio rifiuto di sottostare ancora all'obbligo militare di leva intendo negare, non più solo a
parole, la pretesa dell'autorità statale d'imporre l'osservanza delle sue leggi imperative. Leggi
che garantiscono interessi particolari e continuità di valori che rispetto alle mie più genuine
aspirazioni di sfruttato sono non solo estranei ma antagonisti. Non accettando nei fatti il diritto
allo stato di disporre della mia esistenza, fosse anche per un periodo di tempo limitato, affermo
come legittima la volontà di autodeterminazione, che solo in una società di uguali e veramente
liberi può trovare la sua completa traduzione pratica. All'appiattimento delle forme espressive
nel consenso di massa, all'ordine formale nella disuguaglianza sostanziale, alla falsa
partecipazione nel sistema della delega oppongo pertanto l'azione diretta, il riconoscimento non
limitato del dissenso, la distruzione del principio gerarchico che è alla base della divisione
sociale e dell'oppressione del singolo individuo e causa della sua infelicità.
Refrattario, per tali convinzioni, alla natura abbruttente dell'istituzione militare ritenni di aver
conciliato il mio antimilitarismo accettando la soluzione "forzata" del servizio civile, nonostante
non ne ignorassi l'aspetto - fondamentale - di funzionalità alle esigenze del potere. In un tempo
successivo, valutata anche criticamente l'esperienza dei 18 mesi di subordinazione, ho ritenuto
che davvero non esiste equilibrio, neppure real-politiko, tra quanto si "concede" allo stato nel
momento in cui ci si sottomette alla sua legge e quanto invece si può sperare di fargli contro
dall'interno dell'istituzione riconosciuta del servizio civile. Il recupero e il conseguente
disinnesco dei contenuti eversivi che l'atto di obiezione aveva pur assunto nel passato è un dato
di fatto incontestabile che non giustifica più neppure l'uso del termine: dentro o fuori dalle
nicchie degli enti locali, assistenziali, sindacali ecc. il servizio di leva conserva sempre, per chi
si riconosce in posizioni antiautoritarie, il suo valore prioritario di riconoscimento dell'autorità
statale e dunque della disuguaglianza e dell'oppressione che ne sono complemento. Al tentativo
di razionalizzare, incanalandola nelle paludi del riformismo più innocuo, la protesta
antimilitarista ho ritenuto di contrapporre l'azione di rottura di un rifiuto integrale del
militarismo e delle sue false alternative.
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