Rivista Anarchica Online
Il ruolo della pedagogia libertaria
di Lamberto Borghi
Come preannunciato sullo scorso numero, pubblichiamo sull'argomento "pedagogia" un
contributo di Lamberto Borghi. Livornese, laureatosi in filosofia a Pisa, insegnò per vari anni
nei licei classici. Sotto la spinta delle persecuzioni razziali si recò agli inizi della seconda guerra
mondiale negli Stati Uniti, approfondendo i suoi studi alla Yale University. Libero docente dal
'48 in scienze sociali ed in pedagogia, si è affermato in questo dopoguerra come il principale
pedagogista italiano, fra i più stimati in campo internazionale. Tra le sue numerose opere
ricordiamo: Educazione e autorità nell'Italia moderna, L'educazione e i suoi problemi, Educazione
e scuola nell'Italia d'oggi, Il fondamento dell'educazione attiva, Il metodo dei progetti, Saggi di
psicologia dell'educazione, Educazione e sviluppo sociale. Da molti anni impegnato in prima persona in battaglie laiche, socialiste (nel senso "puro", non
craxiano, del termine), pacifiste, Borghi è idealmente vicino all'anarchismo.
Il principio che fa del pensiero anarchico un fondamento di teoria pedagogica è quello
dell'autoregolazione dell'uomo sia come singolo che nella convivenza sociale. Apprendimento e
comportamento emergono strettamente collegati da tale principio. Le conoscenze vivacemente
possedute sono quelle che lo stesso soggetto conoscente crea. L'idea del sapere come processo
auto-iniziato e auto-motivato da parte dell'individuo, sia fanciullo che adulto, è profondamente
iscritta nella teoria contemporanea dell'educazione. La nozione che conosciamo effettivamente
soltanto ciò che sappiamo "mandare ad effetto" è il filo rosso che consente di ritrovare il carattere
unitario della filosofia e della pedagogia dal Vico ai nostri giorni. Col Dewey essa divenne il
caposaldo del movimento dell'educazione attiva. Le idee semplicemente trasmesse sono "cose";
manca loro la natura del pensiero. Per essere idee devono risultare dall'esperienza del soggetto.
Questo aspetto centrale dell'educazione al conoscere ha un importante risvolto pratico. Esso
comporta un particolare modo di concepire e di realizzare sia la scuola che i rapporti
interpersonali in tutte le forme in cui si esplica l'attività educativa, e cioè, in breve, nell'intera vita
sociale.
Vi è un largo consenso circa le procedure che facilitano l'acquisizione del pensiero produttivo.
Psicologi e sociologi dell'educazione hanno sottolineato all'unisono coi pedagogisti il peso che ha
sullo sviluppo del potere conoscitivo il rapporto di reciprocità che si stabilisce tra docente e
discente. Erik Erikson ha mostrato come tale rapporto colla madre sia fondamentale fin dalla fase
orale per lo sviluppo nel bambino di un io capace di ricevere e di offrire (1). Ma già Lev Vygotskij
aveva scorto la motivazione dell'inizio dei processi del pensiero in un "dialogo di espressioni e di
gesti tra il fanciullo e il genitore". Riprendendo questi concetti, Jerome Bruner riproponeva
l'origine di quello che chiamava "il modo ipotetico" sia dell'insegnamento che dell'apprendimento
nell'incoraggiamento dato dall'adulto e accolto dal fanciullo di "prendere parte alle decisioni" di
colui col quale è in rapporto (2). Di qui il rilievo che gli dava alla motivazione della reciprocità
nello sviluppo psicologico e sociale. "Probabilmente questo rispondere sulla base della reciprocità
ad altri membri della stessa specie rappresenta il fondamento della società umana. Il corpus
dell'apprendimento, adoperando questo termine come sinonimo di conoscenza, è reciproco.... Il
nostro sistema educativo è rimasto stranamente cieco di fronte a questa natura interdipendente
della conoscenza. Noi abbiamo "insegnanti" e "discepoli", "esperti" e "profani", ma la comunità
dell'apprendimento è in qualche modo ignorata" (3).
Il successo dell'educazione si misura dalla conquista, che esso assicura, della capacità di un
pensiero autonomo, internamente motivato, che si realizza come inventio, come ricerca e scoperta
dei modi atti a superare la situazione di arresto o di crisi in cui di volta in volta l'esperienza ci
pone, attraverso la formulazione di ipotesi e la loro verifica.
Lo sviluppo in tutti di capacità di pensiero creativo è un fine dell'educazione. Il premio dello
sviluppo resta così intrinseco allo sviluppo stesso. Esso è dato dalla capacità di ulteriore sviluppo.
Ma la condizione necessaria perché la maggiore possibile pienezza di realizzazione personale sia
assicurata a tutti è di carattere sociale. Alla socialità propria del pensiero, poiché si è incapaci di
pensare soltanto quando si è in grado di porsi "dal punto di vista degli altri", di relativizzare, cioè,
il proprio atto di conoscenza lungi dall'assolutizzarlo (Piaget) si aggiunge qui un'esigenza di
socialità che coinvolge la vita di relazione più vasta, l'esistenza di forme di convivenza che
cementano mediante l'eliminazione di ogni condizione di soggezione e di dominio le istanze
primarie di libertà. Giustamente lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo è stato considerato
da Proudhon come un aspetto del dominio dell'uomo sull'uomo. Di qui la centralità del problema
del potere nel pensiero anarchico. In una visione, come quella anarchica, che allarga la tematica
educativa a tutti gli aspetti della vita sociale, l'acquisto della capacità di autoregolazione in cui
scorgevano il fondamento dell'educazione libertaria, ha per contropartita l'estinzione di tutte le
forme di convivenza fondate su rapporti di potere. Se la condizione dell'acquisto della capacità di
autoregolazione è costituita dallo sviluppo di tutte le sue potenzialità, il sorgere di una società
autoregolata è reso possibile dall'estensione di tali possibilità di sviluppo a tutti gli individui.
Soltanto individui pienamente sviluppati sono in grado di assumere responsabilità decisionali in
ogni settore della vita sociale. Quella richiesta di gestione diretta da parte di tutti della cosa
pubblica attraverso la moltiplicazione delle iniziative dal basso che vanno ben oltre la richiesta, di
cui oggi si sente parlare, di una "socializzazione dello Stato", esige che le possibilità di una
educazione continua siano assicurate attraverso una radicale trasformazione dell'organizzazione
della società in tutte le sue dimensioni politiche, economiche e culturali. Scriveva il Dewey che
l'idea che "l'obiettivo e la ricompensa dello studio è una continua capacità di sviluppo... non può
essere applicata a tutti i membri della società se non dove le relazioni fra uomo e uomo sono
reciproche" (4).
Il concetto dell'identità tra fini e mezzi educativi emerge nitidamente da questa posizione. La
mancata estensione a tutti delle possibilità di pieno sviluppo personale costituisce fattore di
deprivazione per gli individui e nel tempo stesso una minaccia per la società. Coloro che vengono
esclusi da questa prospettiva di pieno sviluppo sono la garanzia della conservazione della società
dove non vigono i principi della libertà e della uguaglianza. È proprio questa ferma richiesta di
concepire e di realizzare come convertibili questi due momenti essenziali della vita sociale che
costituisce l'elemento distintivo della teoria libertaria nel campo sia sociale che educativo.
In entrambi questi settori gli scrittori anarchici fanno valere istanze fortemente innovative ai fini
della realizzazione di personalità onnidimensionali. Due di esse sono oggi di particolare rilievo. La
prima, che si può dire costituisce il Leitmotiv dell'anarchismo, è la stretta unione di lavoro
intellettuale e di lavoro manuale e la conseguente abolizione della divisione del lavoro. Tale
richiesta è costante negli scritti di Proudhon, di Bakunin e di Kropotkin. Essa comporta un
radicale cambiamento delle attuali strutture sia della società che dell'educazione. La seconda non è
da questa disgiungibile, ma costituisce un suo importante complemento. L'abolizione della
divisione del lavoro, la proposta di Kropotkin che la giornata di ogni uomo sia per metà lavorativa
e per metà "da dedicare all'arte, alla scienza o a qualsiasi altra occupazione preferita", estendendo,
peraltro, la durata della seconda fino a comprendere l'intera giornata "una volta raggiunta una
certa età", caratterizzano insieme, ancora una volta la nuova società e la nuova educazione.
Questa profonda trasformazione nella organizzazione del lavoro e nella distribuzione del tempo
lavorativo e del tempo libero viene considerata da Kropotkin come un momento di fondamentale
portata per il rinnovamento della cultura. "In questo modo", egli scriveva a conclusione della sua
opera Campi, fabbriche, officine, "sarebbero pienamente garantiti la libera ricerca in nuovi campi
dell'arte e del sapere, la libera creazione e il libero sviluppo individuale" (5).
Ma se, per un verso, la creazione di un nuovo ordine sociale "garantisce" lo sviluppo di un'arte e
di una scienza libere, non è meno vero, per l'altro verso, che la libertà artistica e scientifica, in
breve la libertà di coscienza e di pensiero, garantiscono una genuina trasformazione sociale.
Il passo avanti verso questa posizione, che resta soltanto implicito nel pensiero di Kropotkin,
venne compiuto da uno scrittore libertario, versato negli studi di estetica e autore di una celebre
opera sull'educazione estetica, Herbert Read. Nel libro che dedicava al rapporto tra l'arte la
società, Read sviluppa il concetto della "natura dialettica dell'arte". Essa era concepita non come
un sottoprodotto dello sviluppo sociale", ma come "uno degli elementi originari che vengono a
formare una società"; elemento che si sottrae alla "insufficienza" dell'atteggiamento scientifico e
che costituisce una forma di pensiero diverso da quello filosofico, ma non ad esso inferiore. Il suo
scritto voleva essere "una energica protesta" contro "i pregiudizi moralistici" e contro "l'arroganza
scientifica" che impedivano un adeguato apprezzamento del posto dell'arte nella formazione
dell'individuo e nello sviluppo della società. Scorgeva una manifestazione caratteristica di tale
mentalità nella tesi sostenuta da H. G. Wells che "le deduzioni artistiche, a differenza del pensiero
filosofico e delle scoperte scientifiche, sono ornamenti ed espressioni, piuttosto che sostanza
creativa della storia" (6).
Kropotkin, come già Marx, collocava "il regno della libertà" nel tempo umano impegnato
nell'attività artistica e scientifica. Entrambi i pensatori nel loro riferimento a queste attività
culturali collocavano al primo posto l'arte (7). Il pensiero contemporaneo ha fornito una
giustificazione teorica a queste loro intuizioni, mettendo in rilievo la capacità di liberazione
propria della dimensione estetica. Sviluppando in termini pedagogici tali posizioni, Read
rivendicava all'educazione estetica la funzione della creazione di una "personalità 'integrata'". E
aggiungeva in Educare con l'arte che "senza tale integrazione" il danno recato allo sviluppo
dell'individuo avrebbe avuto l'effetto "più disastroso per il benessere comune", riversando nella
società "arbitrari sistemi di pensiero originariamente dogmatici", favorendo, cioè, l'incremento di
forme di vita sociale autoritarie. (8).
Come la forma più alta della cultura, l'arte è non soltanto fattore primario dello sviluppo
personale, ma altresì e nel contempo l'"apparenza" e l'anticipazione di una società e di una realtà
nuove. Più in generale, la cultura non è geniture della politica; indipendentemente da essa nei suoi
modi d'essere e di operare, esercita sulla politica un potere catartico, senza mai tuttavia in essa
risolversi. La dimensione del potere che è intrinseca alla politica segna la sua nota distintiva dalla
cultura, che appunto in virtù di essa riafferma il suo carattere "metapolitico".
L'acquisto di questa consapevolezza da parte del pensiero libertario lo colloca lungo la linea di
sviluppo del movimento più avanzato della pedagogia contemporanea. Essa ne sottolinea il
carattere dinamico, di teoria mai definitivamente conclusa, aperta al nuovo e all'inedito, nemica
della dottrina e della violenza di cui questa è perennemente matrice.
Note
1) Erik Erikson Infanzia e società, Roma, 1966, p.68.
2) J. Bruner, Il conoscere, Roma, 1968, pp.123-24.
3) J. Bruner, Verso una teoria dell'istruzione, Roma, 1967, pp.192-94
4) J. Dewey, Democrazia e educazione, Firenze, 1949, p.134.
5) traduzione italiana dall'inglese nelle Edizioni Antistato, Milano, 1975, p.214.
6) Herbert Read, L'arte e la società, Firenze, 1969, p.6, dove è citato dall'opera di H. G. Wells ,
The outline of History il passo sopra riportato.
7) L'espressione ben nota di Marx è nei Lineamenti fondamentali della critica dell'economia
politica, Firenze, 1970, vol. II, p.402. Qui Marx, parlando di una futura condizione di sviluppo
industriale, in cui si ha da parte dell'uomo "l'appropriazione della sua produttività generale",
afferma che alla "riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo... corrisponde poi la
formazione e lo sviluppo artistico, scientifico, ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero
e ai mezzi creati per tutti loro".
8) H. Read, Educare con l'arte, Milano, 1962, p.26.
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