Rivista Anarchica Online
Undicesimo: non ribellarsi
di Piero Flecchia
"Ecco che il papa entra nello stadio di Guadalajara!, dove la nazionale di calcio, durante i
campionati mondiali messicani..."
Abitare nel 1979 concede di questi privilegi: assistere in presa diretta, al telegiornale, all'ingresso
di Giovanpaolo in quello stesso stadio dove, come informa lo scrupoloso cronista, il campionato
mondiale di calcio....
La coppa del mondo di calcio e il papa non è la più imprevedibile tra le accoppiate: le leggi
dell'informazione hanno una loro logica coerente, dove l'ironia è al più un incidente, una nota che
solo poche distoniche orecchie percepiscono: una chiave semantica che non apre nulla. Vale
quanto le ponderate riflessioni circa i significati delle dichiarazioni papali, che tengono quanto
quelle dei calciatori. Trascuriamo quindi le parole, circa le quali ci riteniamo infinitamente meno
competenti delle autorevoli fonti che le pronunciano. Noi insomma riteniamo che il papa nelle
faccende di religione ne sappia infinitamente più di tutti, parli da una competenza professionale
seria e approfondita, per cui è giusto aprirgli un credito di fiducia illimitato e inestinguibile, al
quale però non intendiamo assolutamente attingere, dovendo occuparci di un mero fatto tecnico:
il viaggio del vescovo di Roma in Messico. Non avendo mai lavorato in una agenzia turistica non
abbiamo anche qui alcuna autorità circa lo specifico del viaggiare, né possedendo esperienze
contabili, solleveremo la (im)pertinente domanda: ma i costi chi li paga?, dell'aereo, dei cuochi,
dei giornalisti... (im)pertinente nel senso che, trattando il viaggio in termini di tecnica dello
spettacolo, dovremo forzatamente ridurlo a una delle tante manifestazioni di tale mondo: con la
musica, lo sport, il cinema che, com'è ben noto, uniscono i popoli, ergo non è il caso di star a
guardare il centesimo.
Ogni spettacolo è ordinabile, entro una ferrea sequenza temporale, in due distinti momenti: a) La
messa a punto; b) La rappresentazione.
Ma prima, quando l'idea che si farà spettacolo è ancora solo volontà di produrre lo spettacolo?
Che cosa alimenta questa volontà di spettacolo? Il buon marxista dice: il profitto. Lui non è
micco: lui la favola del buon giullare non gliela fa trangugiare nessuno. Se così fosse, il mondo
dello spettacolo avrebbe già smesso di esistere: almeno in Italia. Qui non c'è testata di giornale che
non affoghi in un mare di debiti, la TV ingoia miliardi e non pareggia mai, lo stesso calcio è un
oceano di cambiali a vuoto e nulla è disertato e irriso dalla gente quanto lo spettacolo degli
spettacoli, sul quale sono modulati tutti gli altri: la politica. Il mondo dello spettacolo non conosce
la legge del profitto perché attraverso esso si persegue una pura operazione di potere:
l'imposizione di uno stile di vita. Lo spettacolo è sempre propaganda di un ordine che si vuol
imporre, e che proprio attraverso le scelte delle tecniche e canali si rivela: rende trasparente il suo
progetto. Infatti John Cage promette musica e tace, così gridando con il suo silenzio: "Produciti la
tua musica! Inventati il tuo spettacolo!". All'altro estremo c'è Giovanpaolo: il più grande
spettacolo del mondo! che, in quanto spettacolo superstar ha pianificato tutto, e vissuto sulla sua
pelle tutte le regole della pianificazione totale, ma l'intuizione che il mondo fosse spettacolo ha in
lui preceduto il duro tirocinio, per cui in prima approssimazione potremmo azzardare che John
Cage è un Giovanpaolo che ha mancato una "estetica", o viceversa. Che sia così, ce lo provano i
dati biografici, emersi con la sua elezione a pontefice. Bambino, Giovanpaolo era incerto tra
l'operaio e l'attore. Come tutti oscillò tra le due sole concrete realtà del nostro tempo: pagare lo
spettacolo o campare sullo spettacolo. Ha prevalso la vocazione della scena. Vocazione autentica
e, diciamolo pure, capace di scelte generose. Non si imbarcò nell'opera nazionale del momento. È
vero che i teatri eminenti di Polonia erano diventati assolutamente impraticabili al buon gusto. La
Claque aveva preso la mano tanto al pubblico che agli attori per produrre consenso invece di
applaudire strangolava gli spettatori tiepidi, ma per gli attori lo stalinismo era una vera bazza.
Bastava salire sul palcoscenico e si era sicuri degli applausi. Guai però a frequentare teatrini fuori
dal giro: qui la claque non era tenera neanche con gli attori. Eppure Giovanpaolo scelse di dire
messa, e non solo per rassicurare il popolo polacco che, se è venuto Gesù, verrà anche il
socialismo dal volto umano.
Prete vescovo cardinale, Giovanpaolo raggiunge il vertice dei vertici, e ti fa il suo viaggio in
Messico. Troppo poco? Se Gasman mise su il suo teatro-tenda per il suburbio di Roma, perché
criticare il Giovanpaolo che va a fare i suoi numeri ai campesinos? Oltre tutto, questi campesinos
in tempi non troppo remoti avevano messo su un loro spettacolo dove, tra le cucarace i
panciovilla e gli emilianizapata, c'era anche la caccia al cura (prete). Avevano cercato di
raccogliere l'esortazione di Cage: fatevi il vostro spettacolo, poi finito nello spettacolo della
repubblica presidenziale: che documenta l'utopismo velleitario di Cage per quella totale assenza di
sadomasochismo-rimozione-castrazione-sublimazione per cui nulla è più esiziale alla psiche di una
idea tranquillizzante del mondo: uno spettacolo autogestito. Direbbe un volterriano: quando il
sesso è frusto il padrenostro vien giusto. Ma veniamo al viaggio. I telecronisti e giornalisti ce
l'hanno raccontato da tutte le pieghe e angolature. Magari gente non toccata dal genio di Nicolò
Carosio o Gianni Brera, ma professionalmente validissima, come il cameraman che ha
brandeggiato sull'attimo dell'arrivo. Scienicamente ineccepibile il bacio, al momento dell'approdo
sul nuovo mondo. Nei paramenti bianchi, quant'era lungo è andato giù con una tecnica da
strappare l'applauso, ma la situazione era già vecchia ai tempi di Omero, che infatti per concedere
la scena a Odisseo lo tiene vent'anni lontano, e poi è una scena che hanno ripetuto troppi.
Giovanpaolo non si è purtroppo mai salvato dal "già visto". Quel suo procedere tra ali di popolo
plaudente e fiori e bambini ricorda i viaggi di Gina Lollobrigida. Anche a lei offrivano le chiavi
della città, e c'era un bambino che diceva la poesia. E poi lei se lo appoggiava alle poppe e se lo
faceva vedere in braccio. Ma lei non poteva dire: "Il papa vuol bene ai bambini!". Forse per
questo le ginelollobrigide passano e i papi restano, anche le ginelollobrigide invecchiano,
diventano il segno del "memento mori". Le ginelollobrigide sono la premessa indispensabile per
introdurre lo spettacolo dei giovanpaolo. Ma perché gli uomini sognano secondo la sequenza
ginelollobrigide giovanpaoli? Che cosa li vota a questa maledizione? Per cui un popolo si ribella,
abbatte il tiranno, e poi si ferma ad aspettare che da Parigi arrivi il suo Comejni?
Torniamo agli uomini che in Messico hanno applaudito il papa. È gente la cui vita media statistica
si aggira sui trent'anni. Guadalajara è una città dove i bassi di Napoli sono un traguardo. I bassi
napoletani stanno ai suburbi di Guadalajara come i quartieri popolari di Stoccolma stanno ai bassi
di Napoli. Differenze qualitativamente irrilevanti perché, in termini di qualità, la miseria della vita
è identica in tutte e tre le città: in tutte le città. Stoccolma esprime una riaggregazione a un livello
quantitativo superiore di una stessa realtà di miseria, poiché il disegno che incatena gli uomini alla
città-metropoli è ovunque lo stesso. Sono città il cui progetto è costantemente sottratto agli
uomini che le abitano. Sono macchine pensate non solo per impedire all'uomo di controllarle, ma
per controllare sistematicamente e soffocare l'umano. Città come Stoccolma sono il risultato della
rivolta e della sconfitta dei miseri di Guadalajara. Città dilacerate dallo scontro tra chi detiene il
potere e chi è espropriato da ogni possibilità di decidere e di intervenire nel progetto comunitario,
per cui viene gettato nella solitudine amorfa, dove funghisce e si svolge lo spettacolo degli stadi,
la dicotomia attori-spettatori: fittizia ricomposizione intorno alle mozioni di una impossibile unità.
Scissione della quale i dominatori hanno una lucida e netta coscienza che li ossessiona, e li
costringe a dare spettacolo, allestire spettacolo. Scissione contro la quale i dominati insorgono
nell'universo dello spettacolo che, per essere accettato dalle masse deve sempre raccontare un
sogno di redenzione. Spettacolo che, mentre racconta una vicenda di redenzione ne denuncia però
l'inattaccabilità, per cui, là dove il popolo sorge a recitare in proprio lo spettacolo della rivolta,
ecco sorgere il grido "Comejni vieni!". Nulla quanto questo grido ci documenta il trionfo del
potere, e ci spiega le ragioni del fallimento dei grandi moti rivoluzionari. Là dove il popolo si
cerca nei capi è automaticamente riprodotto lo spettacolo dello stadio: da una parte l'idolo e
dall'altra gli adoratori. Se ne dovrebbe quindi concludere che bisogna abolire in blocco lo
spettacolo, ma cosa rimarrebbe della vita? L'uomo si pensa uomo attraverso gli occhi degli altri.
Tanto Giovanpaolo quanto Jhon Cage sono tali solo in rapporto agli altri. La differenza è solo e
soltanto una differenza tecnica: Jhon tace concedendo agli altri tutto il tempo di pensarsi e di
pensare. È la differenza tecnica che distingue. Gli uomini per parlarsi devono abitare un vasto
spazio di silenzio, dove possa sorprenderli la voce: di tutti. Operazione minima, che però
comporta il diradamento, l'allontanamento, lo spostamento dell'autorità dei megafoni. Operazione
che è un traguardo arduo e che chiede che ogni vita si faccia carico di se stessa, e a un tempo del
ben più pesante fardello del rispetto per le altre vite, per cui noi dobbiamo innanzitutto rispettare e
comprendere anche la vicenda di Giovanpaolo in Guadalajara. Giovanpaolo fu un uomo di
splendido coraggio morale, quando scelse di fare il prete nella Polonia di Stalin, ma si è ritrovato
Fidel Castro e non Che Guevara, per cui il nostro sberleffo è una necessità a salvare noi dal
ritrovarci travestiti da Castro o Lenin o Giovanpaolo, in una qualche Guadalajara, a lanciare ai
campesinos degli olè di falsa speranza.
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