Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 72
febbraio 1979 - marzo 1979


Rivista Anarchica Online

Undicesimo: non ribellarsi
di Piero Flecchia

"Ecco che il papa entra nello stadio di Guadalajara!, dove la nazionale di calcio, durante i campionati mondiali messicani..."

Abitare nel 1979 concede di questi privilegi: assistere in presa diretta, al telegiornale, all'ingresso di Giovanpaolo in quello stesso stadio dove, come informa lo scrupoloso cronista, il campionato mondiale di calcio....

La coppa del mondo di calcio e il papa non è la più imprevedibile tra le accoppiate: le leggi dell'informazione hanno una loro logica coerente, dove l'ironia è al più un incidente, una nota che solo poche distoniche orecchie percepiscono: una chiave semantica che non apre nulla. Vale quanto le ponderate riflessioni circa i significati delle dichiarazioni papali, che tengono quanto quelle dei calciatori. Trascuriamo quindi le parole, circa le quali ci riteniamo infinitamente meno competenti delle autorevoli fonti che le pronunciano. Noi insomma riteniamo che il papa nelle faccende di religione ne sappia infinitamente più di tutti, parli da una competenza professionale seria e approfondita, per cui è giusto aprirgli un credito di fiducia illimitato e inestinguibile, al quale però non intendiamo assolutamente attingere, dovendo occuparci di un mero fatto tecnico: il viaggio del vescovo di Roma in Messico. Non avendo mai lavorato in una agenzia turistica non abbiamo anche qui alcuna autorità circa lo specifico del viaggiare, né possedendo esperienze contabili, solleveremo la (im)pertinente domanda: ma i costi chi li paga?, dell'aereo, dei cuochi, dei giornalisti... (im)pertinente nel senso che, trattando il viaggio in termini di tecnica dello spettacolo, dovremo forzatamente ridurlo a una delle tante manifestazioni di tale mondo: con la musica, lo sport, il cinema che, com'è ben noto, uniscono i popoli, ergo non è il caso di star a guardare il centesimo.

Ogni spettacolo è ordinabile, entro una ferrea sequenza temporale, in due distinti momenti: a) La messa a punto; b) La rappresentazione.

Ma prima, quando l'idea che si farà spettacolo è ancora solo volontà di produrre lo spettacolo? Che cosa alimenta questa volontà di spettacolo? Il buon marxista dice: il profitto. Lui non è micco: lui la favola del buon giullare non gliela fa trangugiare nessuno. Se così fosse, il mondo dello spettacolo avrebbe già smesso di esistere: almeno in Italia. Qui non c'è testata di giornale che non affoghi in un mare di debiti, la TV ingoia miliardi e non pareggia mai, lo stesso calcio è un oceano di cambiali a vuoto e nulla è disertato e irriso dalla gente quanto lo spettacolo degli spettacoli, sul quale sono modulati tutti gli altri: la politica. Il mondo dello spettacolo non conosce la legge del profitto perché attraverso esso si persegue una pura operazione di potere: l'imposizione di uno stile di vita. Lo spettacolo è sempre propaganda di un ordine che si vuol imporre, e che proprio attraverso le scelte delle tecniche e canali si rivela: rende trasparente il suo progetto. Infatti John Cage promette musica e tace, così gridando con il suo silenzio: "Produciti la tua musica! Inventati il tuo spettacolo!". All'altro estremo c'è Giovanpaolo: il più grande spettacolo del mondo! che, in quanto spettacolo superstar ha pianificato tutto, e vissuto sulla sua pelle tutte le regole della pianificazione totale, ma l'intuizione che il mondo fosse spettacolo ha in lui preceduto il duro tirocinio, per cui in prima approssimazione potremmo azzardare che John Cage è un Giovanpaolo che ha mancato una "estetica", o viceversa. Che sia così, ce lo provano i dati biografici, emersi con la sua elezione a pontefice. Bambino, Giovanpaolo era incerto tra l'operaio e l'attore. Come tutti oscillò tra le due sole concrete realtà del nostro tempo: pagare lo spettacolo o campare sullo spettacolo. Ha prevalso la vocazione della scena. Vocazione autentica e, diciamolo pure, capace di scelte generose. Non si imbarcò nell'opera nazionale del momento. È vero che i teatri eminenti di Polonia erano diventati assolutamente impraticabili al buon gusto. La Claque aveva preso la mano tanto al pubblico che agli attori per produrre consenso invece di applaudire strangolava gli spettatori tiepidi, ma per gli attori lo stalinismo era una vera bazza. Bastava salire sul palcoscenico e si era sicuri degli applausi. Guai però a frequentare teatrini fuori dal giro: qui la claque non era tenera neanche con gli attori. Eppure Giovanpaolo scelse di dire messa, e non solo per rassicurare il popolo polacco che, se è venuto Gesù, verrà anche il socialismo dal volto umano.

Prete vescovo cardinale, Giovanpaolo raggiunge il vertice dei vertici, e ti fa il suo viaggio in Messico. Troppo poco? Se Gasman mise su il suo teatro-tenda per il suburbio di Roma, perché criticare il Giovanpaolo che va a fare i suoi numeri ai campesinos? Oltre tutto, questi campesinos in tempi non troppo remoti avevano messo su un loro spettacolo dove, tra le cucarace i panciovilla e gli emilianizapata, c'era anche la caccia al cura (prete). Avevano cercato di raccogliere l'esortazione di Cage: fatevi il vostro spettacolo, poi finito nello spettacolo della repubblica presidenziale: che documenta l'utopismo velleitario di Cage per quella totale assenza di sadomasochismo-rimozione-castrazione-sublimazione per cui nulla è più esiziale alla psiche di una idea tranquillizzante del mondo: uno spettacolo autogestito. Direbbe un volterriano: quando il sesso è frusto il padrenostro vien giusto. Ma veniamo al viaggio. I telecronisti e giornalisti ce l'hanno raccontato da tutte le pieghe e angolature. Magari gente non toccata dal genio di Nicolò Carosio o Gianni Brera, ma professionalmente validissima, come il cameraman che ha brandeggiato sull'attimo dell'arrivo. Scienicamente ineccepibile il bacio, al momento dell'approdo sul nuovo mondo. Nei paramenti bianchi, quant'era lungo è andato giù con una tecnica da strappare l'applauso, ma la situazione era già vecchia ai tempi di Omero, che infatti per concedere la scena a Odisseo lo tiene vent'anni lontano, e poi è una scena che hanno ripetuto troppi. Giovanpaolo non si è purtroppo mai salvato dal "già visto". Quel suo procedere tra ali di popolo plaudente e fiori e bambini ricorda i viaggi di Gina Lollobrigida. Anche a lei offrivano le chiavi della città, e c'era un bambino che diceva la poesia. E poi lei se lo appoggiava alle poppe e se lo faceva vedere in braccio. Ma lei non poteva dire: "Il papa vuol bene ai bambini!". Forse per questo le ginelollobrigide passano e i papi restano, anche le ginelollobrigide invecchiano, diventano il segno del "memento mori". Le ginelollobrigide sono la premessa indispensabile per introdurre lo spettacolo dei giovanpaolo. Ma perché gli uomini sognano secondo la sequenza ginelollobrigide giovanpaoli? Che cosa li vota a questa maledizione? Per cui un popolo si ribella, abbatte il tiranno, e poi si ferma ad aspettare che da Parigi arrivi il suo Comejni?

Torniamo agli uomini che in Messico hanno applaudito il papa. È gente la cui vita media statistica si aggira sui trent'anni. Guadalajara è una città dove i bassi di Napoli sono un traguardo. I bassi napoletani stanno ai suburbi di Guadalajara come i quartieri popolari di Stoccolma stanno ai bassi di Napoli. Differenze qualitativamente irrilevanti perché, in termini di qualità, la miseria della vita è identica in tutte e tre le città: in tutte le città. Stoccolma esprime una riaggregazione a un livello quantitativo superiore di una stessa realtà di miseria, poiché il disegno che incatena gli uomini alla città-metropoli è ovunque lo stesso. Sono città il cui progetto è costantemente sottratto agli uomini che le abitano. Sono macchine pensate non solo per impedire all'uomo di controllarle, ma per controllare sistematicamente e soffocare l'umano. Città come Stoccolma sono il risultato della rivolta e della sconfitta dei miseri di Guadalajara. Città dilacerate dallo scontro tra chi detiene il potere e chi è espropriato da ogni possibilità di decidere e di intervenire nel progetto comunitario, per cui viene gettato nella solitudine amorfa, dove funghisce e si svolge lo spettacolo degli stadi, la dicotomia attori-spettatori: fittizia ricomposizione intorno alle mozioni di una impossibile unità. Scissione della quale i dominatori hanno una lucida e netta coscienza che li ossessiona, e li costringe a dare spettacolo, allestire spettacolo. Scissione contro la quale i dominati insorgono nell'universo dello spettacolo che, per essere accettato dalle masse deve sempre raccontare un sogno di redenzione. Spettacolo che, mentre racconta una vicenda di redenzione ne denuncia però l'inattaccabilità, per cui, là dove il popolo sorge a recitare in proprio lo spettacolo della rivolta, ecco sorgere il grido "Comejni vieni!". Nulla quanto questo grido ci documenta il trionfo del potere, e ci spiega le ragioni del fallimento dei grandi moti rivoluzionari. Là dove il popolo si cerca nei capi è automaticamente riprodotto lo spettacolo dello stadio: da una parte l'idolo e dall'altra gli adoratori. Se ne dovrebbe quindi concludere che bisogna abolire in blocco lo spettacolo, ma cosa rimarrebbe della vita? L'uomo si pensa uomo attraverso gli occhi degli altri. Tanto Giovanpaolo quanto Jhon Cage sono tali solo in rapporto agli altri. La differenza è solo e soltanto una differenza tecnica: Jhon tace concedendo agli altri tutto il tempo di pensarsi e di pensare. È la differenza tecnica che distingue. Gli uomini per parlarsi devono abitare un vasto spazio di silenzio, dove possa sorprenderli la voce: di tutti. Operazione minima, che però comporta il diradamento, l'allontanamento, lo spostamento dell'autorità dei megafoni. Operazione che è un traguardo arduo e che chiede che ogni vita si faccia carico di se stessa, e a un tempo del ben più pesante fardello del rispetto per le altre vite, per cui noi dobbiamo innanzitutto rispettare e comprendere anche la vicenda di Giovanpaolo in Guadalajara. Giovanpaolo fu un uomo di splendido coraggio morale, quando scelse di fare il prete nella Polonia di Stalin, ma si è ritrovato Fidel Castro e non Che Guevara, per cui il nostro sberleffo è una necessità a salvare noi dal ritrovarci travestiti da Castro o Lenin o Giovanpaolo, in una qualche Guadalajara, a lanciare ai campesinos degli olè di falsa speranza.