Rivista Anarchica Online
Da un ghetto all'altro
a cura della Redazione
Di donne il movimento anarchico non è mai stato ricco. E non a caso. Non tanto perché i militanti
anarchici siano stati e siano particolarmente e trucemente maschilisti (anche se vi sono stati
"grandi" uomini - pensiamo solo a Proudhon o a Camillo Berneri - che hanno espresso sul
problema della donna opinioni estremamente reazionarie), quanto perché l'anarchismo è,
innanzitutto, una scelta individuale ed etica che presuppone una tensione continua, una continua
spinta alla distruzione e alla creazione, un continuo rapporto vitale e critico con gli esseri umani e
con le idee. L'anarchismo, cioè, richiede degli esseri umani coscienti, non perfetti, ma coscienti e
creativi. Richiede quindi una cosa bella ma difficile. Difficile per tutti ma soprattutto per le donne,
così poco abituate, da sempre, ad essere soggetti. E tanto più difficile oggi, nel 1979, in questa
società bastarda che tende a livellare, massificare, recuperare e fagocitare tutte le spinte di
ribellione.
Il potere. Questo mostro dalle mille teste contro cui da sempre hanno lottato minoranze di ribelli,
di "diversi", oggi ha quasi vinto. Perché quando il potere riesce ad entrare dentro gli individui,
quando riesce a togliere loro l'autonomia di pensiero e la capacità di autogestire la propria vita e
la propria rivolta, quando riesce ad indirizzare ed uniformare persino il gusto, l'abbigliamento, il
linguaggio, allora vuole dire che l'individuo sta morendo e, con lui, i nostri sogni e le nostre
speranze.
Il movimento delle donne ha indubbiamente dato un colpo "salutare" ad alcune delle mille teste.
Ha dato un "colpo di ramazza" (tanto per restare in tema) a una serie di valori-base del potere, è
riuscito a mettere in crisi l'istituzione nefanda della famiglia. E noi, noi donne anarchiche, abbiamo
sperato ardentemente che a una prima fase di sacrosanta distruzione seguisse una seconda fase di
chiarificazione dei fini e dei mezzi, della composizione del movimento. Ma la nostra speranza è
stata delusa. I campi di analisi del movimento delle donne sono rimasti gli stessi: la sessualità, il
corpo, l'aborto, i rapporti personali, i bambini, il lavoro domestico, ecc.; i mezzi utilizzati non
sono cambiati (salvo rarissime eccezioni) e sono rimasti all'interno di una logica istituzionale (basti
pensare al salario, al lavoro domestico), la composizione del movimento era interclassista, ed
interclassista è rimasta. Si è creata un nuovo ghetto, un ghetto più spazioso ed accogliente, e in
esso è stata rinchiusa una potenzialità enorme. Noi non possiamo né vogliamo entrarvi.
Perdonateci, ma soffocheremmo. Non ci basta occuparci della sessualità. Non ci basta occuparci
dei problemi riguardanti la donna. Vogliamo occuparci dei mille problemi di questa società e
tentare di tagliare le mille teste dello stato perché pensiamo che solo in questo modo, uscendo dal
suo ambito ristretto, la donna possa diventare un individuo completo. Vogliamo distruggere e
ricostruire, inventare e sperimentare fianco a fianco di tutti quelli/e cui è stata negata questa
possibilità e vogliono riappropriarsene.
Quando noi compagne della redazione ci siamo messi ad impostare questo servizio ci siamo
trovate davanti alcuni problemi: innanzitutto lo scarso numero di pagine che non ci permetteva di
trattare l'argomento a fondo come avremmo voluto (ma ci sono giunte moltissime opinioni contro
i servizi monografici e quindi, per rispetto verso i lettori, abbiamo contenuto il servizio in 24
pagine). Poi il problema di far emergere le diverse posizioni esistenti all'interno dello stesso
movimento anarchico, che abbiamo risolto pubblicando interviste a compagne diverse fra loro sia
come formazione, che come posizioni, che come età e personalità. Infine il problema di far parlare
donne non solo non anarchiche, ma anche non impegnate politicamente. Quelle donne che noi
incontriamo per la strada, al mercato, a scuola quando vi accompagnamo in nostri figli, sui posti
di lavoro, ma con cui, purtroppo, non riusciamo a stabilire un rapporto organico. Non ci hanno
detto cose "nuove", perché ormai crediamo che sull'analisi della condizione femminile sia stato
pubblicato tutto o quasi tutto, ma abbiamo ritenuto utile comunque portare anche queste
testimonianze, ricche come sono, e in special modo quella della donna contadina, di sofferenza e
di rabbia.
Il servizio è completato da alcune riflessioni di una compagna libertaria sul femminismo e da
alcuni stralci tratti dalla autobiografia di Emma Goldman che riteniamo possano indurre lettrici e/o
lettori a riflettere e a sorridere.
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