Rivista Anarchica Online
Gonne a fiori, zoccoli e mascara
a cura della Redazione
Gli anarchici sono tutti maschilisti fallocratici come la buon anima di P. J. Proudhon? Abbiamo
voluto intervistare alcune compagne anarchiche su questo e altri problemi (più seri). Stefania e
Rossella sono militanti da molti anni; Tiziana, Daniela e Loredana sono giovani compagne che
si sono avvicinate al movimento anarchico più recentemente. Le domande che abbiamo posto
loro sono le seguenti:
1. Tu sei donna, ma sei anche anarchica. Hai cioè fatto una scelta di fondo, etica e politica, agisci
per raggiungere il fine di cambiare la società. Credi che il tuo essere donna venga schiacciato dal
tuo essere anarchica? Credi cioè che esista solo un modello maschile del fare politica o pensi che
esista la possibilità di conciliare in modo armonioso questi due aspetti?
2. È cosa risaputa che nei partiti e nelle organizzazioni politiche autoritarie la donna ha sempre
avuto un ruolo subalterno. Nel movimento anarchico, in cui non esistono strutture gerarchiche
istituzionalizzate, come ti sei trovata? Hai avuto problemi di inserimento in quanto donna? Hai
avuto difficoltà a trovare una tua collocazione, una tua attività?
3. Cosa pensi dei movimenti femministi, in positivo e in negativo.
Rossella, 27 anni - impiegata
Nella mia immodestia, devo affermare che ben difficilmente potrei tollerare di vivere con una
scissione schizofrenica tra il mio essere biologicamente donna ed il mio essere eticamente
anarchica (ed intendo per etica quell'insieme di convinzioni morali ed intellettuali che determinano
l'individuo). Ed anche se la coerenza non è più una virtù (come la verginità d'altronde), un certo
nesso tra aspirazioni e realtà ritengo sia praticamente indispensabile.
Quando nell'ormai lontano e mitico '68 (... solita nostalgia da reduce), cercavo una soluzione alle
mie aspirazioni ancora confuse di rapporti egualitari e libertari, cercavo non tanto un'ideologia che
me le chiarisse quanto una pratica che le realizzasse. Cercavo un anarchismo etico militanti che,
ora e subito, concretizzasse il mio bisogno di rompere schemi sociali e culturali disegualitari e
autoritari che opprimevano il mio essere giovane, il mio essere figlia, il mio essere studente, il mio
essere "terrona" e, certo, il mio essere donna.
Tante risposte in un colpo solo è già un successo! Ma l'anarchismo etico non è come alcune
ideologie, oggi un po' stantie, che si vendono in confezioni pre-pronte, solo da riscaldare a bagno-maria ed assorbire. L'anarchismo etico è un'invenzione da gran "chef", se ne conoscono gli
ingredienti, ma la commistione è sperimentazione, è invenzione, è creazione individuale e
collettiva. Il che, in parole povere, vuol anche dire che questi rapporti egualitari e libertari vanno
costruiti, in uno sforzo di "praticare l'utopia", che non elimina né con un colpo di bacchetta
magica, né con sapute affermazioni "scientifiche" i possibili errori, le pastoie che a questo
processo mettono le strutture caratteriali di una cultura gerarchica e autoritaria che ci portiamo
dentro.
È quindi chiaro ed inevitabile che alcuni problemi "in quanto donna" li ho dovuti affrontare
all'interno del movimento anarchico (niente in paragone però a quelli che si devono normalmente
affrontare nei comuni rapporti sociali). Ma problemi analoghi hanno dovuto affrontare i compagni
(maschi? femmine? omosessuali? che importanza ha?) che si pongono, come me, il problema
dell'integrazione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, quando siamo figli di un sistema che
distribuisce in maniera disegualitaria il sapere socialmente significativo; o che si pongono, come
me, il problema della capacità autogestionaria individuale e collettiva, quando siamo figli di un
sistema parcellizzato e assistenziale (o tendenzialmente tale),.... Insomma il problema di tutti
coloro che stanno costruendo un'alternativa globale, egualitaria e libertaria, partendo da un
sistema disegualitario e autoritario.
Coerenza tra mezzi e fini, dunque; progetto egualitario globale (l'anarchismo) che comprende in
sé e supera le diseguaglianze particolari (sessuali, etniche, culturali...). Supera ma non cancella,
affronta ma talvolta non risolve in un breve batter di ciglia (il paradiso non esiste, lasciamolo a
cattolici e sovietici). Esiste però una possibilità di cambiare reale, pratica, concreta e soprattutto
nelle nostre mani, ma non ho mai confuso con il mettersi le gonne a fiori, gli zoccoli, il "patchouli"
e due etti abbondanti di mascara. Che non ho mai confuso con il fare riunioni "per sole donne"
(altrettanto oscene delle riviste "per soli uomini") che sferruzzano animatamente. Che non ho mai
confuso con la monomania di parlare di cazzo, figa, coppia, "sentimenti veri", crisi del maschio
(della femmina e del suo ruolo no?) e di millenni di dominazione. Che non ho mai confuso con il
fare il simbolo delle forbici, con ovvi intendimenti castratori (il problema non è lì, a mio avviso,
ma un può più su) e che non ho nemmeno mai confuso con l'obbrobriosa pensata del salario alle
casalinghe (ma lo stato deve proprio pensare a tutto o qualche spazio di autogestione e azione
diretta ce lo conserviamo?).
Mi si può obiettare (come hanno già fatto e come ammetto perfettamente) che anche all'interno
delle cosidette aree "emancipate" l'odiato maschio cazzocentrico esiste ancora ed impera. È vero,
come è altrettanto vero che: a) le donne impegnate nella lotta sociale, dopo oltre dieci anni di
femminismo e di conflittualità sociale vivace, sono una netta minoranza e b) che la loro
partecipazione attiva (anche delle femministe dichiarate) nelle assemblee ed in genere nelle
manifestazioni "pubbliche", "esterne", è limitatissima (mentre le riunioni di "sole donne" della
stessa area sono affollate e partecipate). Il problema è, dunque sì, di mettere in crisi il ruolo del
maschio, ma contemporaneamente e con la stessa convinzione mettere in crisi il ruolo della
donna, due facce della stessa medaglia; altrimenti vi sarà sempre e inevitabilmente "un modo
maschile di fare politica". Riappropriarsi di quegli aspetti "pubblici" dell'azione sociale,
abbandonare la dimensione del "privato", del "personale" oggi, e tradizionalmente, ambito della
donna. Non mi basta e non mi interessa conquistare un "privato emancipato": la donna-angelo-della-casa-autogestita, regina-del-rapporto-di-coppia-egualitario, madre-felice-di-bambini-cresciuti-collettivamente-e-libertariamente (né intendo lottare per l'affermazione della donna-dirigente-efficiente-di-uomini-operai: qui il fatto che l'emancipazione della donna non è intesa
come equiparazione della "gerarchia femminile" alla "gerarchia maschile" è data per scontata, e ci
mancherebbe anche questo). Quello che intendo è che la donna, tenuta lontana dalla gestione della
società nei suoi aspetti decisionali collettivi, deve riappropriarsene, insieme a tutti gli altri esclusi,
ed autogestirli insieme all'odiato maschio.
(È necessario sottolineare che queste osservazioni non possono se non essere riferite ad un ambito
tendenzialmente libertario. Diverso è parlare dei gruppi della sinistra più o meno estrema. Ad
esempio, non comprendo e mi sembra contro ogni logica l'atteggiamento di quelle militanti m-l
che lamentano di avere maschi "compagni nella lotta e fascisti a letto". È ben strano che accettino
nell'azione sociale una struttura gerarchica e autoritaria e i conseguenti rapporti e ruoli gerarchici
e autoritari, ed appena uscite dal partito pretendono dalle stesse persone rapporti egualitarie e
libertari. In questo caso la coerenza non è proprio delle più perfette.)
A questo punto, essendomi state concesse due cartelle ed avendole superate, taglio corto e non
tocco l'argomento dei movimenti femministi (che sono altra cosa, come è ovvio, dal movimento
specificatamente libertario). Chiuderò però, con un messaggio indiretto alle femmine in rivolta
(simpatiche almeno per questa loro scelta) prendendo spunto da una storiella spaziale da cui trarre
un'impostazione generale del problema. Dice la storiella che interrogato dalla conferenza
episcopale se avesse visto dio, l'astronauta risponde: "Sì certo, l'ho vista, è negra". Bè... sarei atea
lo stesso.
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