Rivista Anarchica Online
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a cura della Redazione
Gli anarchici sono tutti maschilisti fallocratici come la buon anima di P. J. Proudhon? Abbiamo
voluto intervistare alcune compagne anarchiche su questo e altri problemi (più seri). Stefania e
Rossella sono militanti da molti anni; Tiziana, Daniela e Loredana sono giovani compagne che
si sono avvicinate al movimento anarchico più recentemente. Le domande che abbiamo posto
loro sono le seguenti:
1. Tu sei donna, ma sei anche anarchica. Hai cioè fatto una scelta di fondo, etica e politica, agisci
per raggiungere il fine di cambiare la società. Credi che il tuo essere donna venga schiacciato dal
tuo essere anarchica? Credi cioè che esista solo un modello maschile del fare politica o pensi che
esista la possibilità di conciliare in modo armonioso questi due aspetti?
2. È cosa risaputa che nei partiti e nelle organizzazioni politiche autoritarie la donna ha sempre
avuto un ruolo subalterno. Nel movimento anarchico, in cui non esistono strutture gerarchiche
istituzionalizzate, come ti sei trovata? Hai avuto problemi di inserimento in quanto donna? Hai
avuto difficoltà a trovare una tua collocazione, una tua attività?
3. Cosa pensi dei movimenti femministi, in positivo e in negativo.
Stefania, 38 anni - insegnante
Non credo che l'anarchia abbia un sesso, ma se ce l'ha è femmina: ama la vita e non la distruzione,
la sintesi e non la divisione, la gioia e non la morte. Sono anarchica forse anche perché sono una
donna e mi piace creare cose e vita.
Per me però essere anarchica non è "far politica", almeno come si intende normalmente,
correntemente (cioè darsi organizzazioni dentro o contro dei sistemi sociali). Anarchia è tentativo
di organizzarsi volta per volta sul bisogno o sulla scelta, al di là di strutture permanenti e, come
tali, necessariamente oppressive, violente, antianarchiche. È cioè usare sempre la ragione, che, per
me (ma l'hanno già detto pensatori illustri!) è sintesi di sentimento e pensiero, equilibrio fra
sentimento e pensiero. Non voglio dire con questo che rifiuto i gruppi, le divisioni dei compiti:
penso però che non esistano che poche esperienze di gruppi e di divisioni dei compiti veramente
antiautoritari, da un lato, ed efficaci, dall'altro. La mia esperienza (limitata, però!) mi ha offerto
soltanto situazioni organizzate, ma asfittiche e repressive, oppure situazioni totalmente incasinate
dallo straripare dei sentimenti, magari mascherati e razionalizzati e giustificati con altre cose. Non
so se questo sia "femminile" o "maschile". Credo però che, data la straripante presenza di maschi
e la nostra tradizionale non-aggressività, che ci porta a soccombere quando ci "assalgono" con
critiche ed accuse, i maschi abbiano maggiore responsabilità delle donne. Per evitare di essere
aggredita e di dover quindi soccombere o aggredire, me ne sto fuori dalla mischia, per conto mio:
faccio le cose che posso fare da sola, oppure mi saldo ai compagni solo temporaneamente, e solo
se posso gestirmi, nel gruppo, la mia autonomia. Questa varia a seconda dei compagni e delle
situazioni. Non mi chiudo mai a proposte nuove, ma scappo appena vedo che si mette male,
perché credo sia meglio fornire esempi positivi piuttosto che stare a scazzarsi per mesi su linee
diverse: competere, appunto.
Nel movimento anarchico mi trovo molto bene come idee (sono idee che mi fanno "quadrare"
tutte le esperienze che ho avuto) e invece non molto bene come persona. Spesso mi sento
aggredita, succhiata o non capita dai compagni, e credo che l'essere donna accentui questa
difficoltà. Ho pochissimi amici profondi nel movimento e anche con il mio compagno ho un
rapporto che spesso per me è distruttivo. Questo però non mi ha impedito di fare delle cose, ma
forse mi ha impedito di farle insieme ad alcune persone, con cui personalmente avrei anche
lavorato volentieri. Non ho trovato un "mio" posto nel movimento anche perché non lo cerco, non
lo ritengo necessario. Mi va bene fluttuare, non sento il bisogno di stabilità.
Il femminismo mi ha dato molto, in quanto ha affrontato problemi specifici del modo con cui sono
educate, vissute, sfruttate le donne nelle varie istituzioni (famiglia, scuola, azienda, ospedali,
partiti ecc.) e quindi mi ha dato piena coscienza di me. Non amo però nessuna etichetta, nessuna
istituzione: quando il femminismo diventa queste cose qui, non è meglio del fascismo: proprio no.
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