Rivista Anarchica Online
Spagna: le urne disertate
di Josep Alemany
I risultati delle recenti elezioni legislative (1° marzo) non hanno provocato alcun cambiamento
sostanziale nel panorama politico spagnolo. Il partito al potere, U.C.D. (Unione di Centro
Democratico; guidata dal primo ministro Suarez), mantiene le sue posizioni (167 seggi, due in più
rispetto alle elezioni del 15 giugno 1977), seguito dal P.S.O.E. (socialisti, 121 seggi, 3 in più);
dopo questi due colossi viene il P.C.E. (comunisti, 23 deputati, 3 in più) ed altri vari partiti con
non più di 9 deputati.
Dal momento che tanto il P.S.O.E. quanto il P.C.E. mantengono più o meno le stesse posizioni di
due anni fa (in leggero calo di voti il P.S.O.E. e in leggero aumento il P.C.E.), alcuni osservatori
hanno giudicato la sinistra nel suo insieme, e soprattutto i socialisti, la vera sconfitta, dal momento
che speravano in un vero e proprio trionfo del P.S.O.E. (già si parlava di una "primavera
socialista") e in un significativo aumento delle altre forze di sinistra. Tanto per cambiare, le
profezie non si sono avverate.
Il dato più rilevante di queste elezioni è indubbiamente l'elevato tasso di astenuti: il 33,6% del
corpo elettorale, il che significa che su quasi 27 milioni di aventi diritto al voto, circa 9 milioni si
sono astenuti. Anche considerando l'"astensionismo tecnico" (gli ammalati, ecc.), si tratta pur
sempre di una percentuale considerevole, ancora più significativa se si tiene conto della campagna
pubblicitaria dei mass-media, della partecipazione di tutti i partiti, del fatto che per la prima volta
votavano tutti i maggiori di diciott'anni e che le elezioni si tenevano in un giorno feriale. Questo
astensionismo non si può paragonare a quello del referendum per approvare la costituzione (6
dicembre 1978) - 32,3% - poiché in quell'occasione vari partiti, compresi alcuni non di sinistra,
sostennero una posizione astensionista. Al contrario, queste elezioni legislative hanno visto la
partecipazione compatta di tutti i partiti e partitini, per minoritari ed "estremisti" che fossero: non
sono mancate all'appuntamento le rumorose sette trotzkiste, maoiste, marxiste-leniniste-nazionaliste, ecc., senza peraltro ottenere alcun deputato, fatta eccezione per i 3 seggi conquistati
da "Herri Batasuna", coalizione di diverse organizzazioni basche, alcune delle quali vicine
all'E.T.A. (organizzazione, questa, che professa un fanatismo nazionalista ultrautoritario tipo
I.R.A.).
I perché dell'astensionismo
Fino a che punto l'astensionismo si deve all'influenza della C.N.T.? Credo solo in minima parte:
innanzitutto perché nella C.N.T. hanno sempre convissuto un settore decisamente astensionista ed
un altro sostenitore del lassez-faire. In secondo luogo, perché, anche tenendo presente la
presenza quotidiana di militanti nelle fabbriche e nei quartieri come elemento propagatore delle
idee libertarie, si deve constatare che, per mancanza di convinzioni in alcuni settori, per mancanza
di mezzi in altri, o per altre ragioni ancora, a malapena la C.N.T. è riuscita a far sentire la sua voce
astensionista. Infine bisogna considerare che la C.N.T., in campo astensionistico come in tanti altri
campi, va a rimorchio delle situazioni e non riesce a porsi come elemento trainante.
Stando così le cose, dobbiamo necessariamente volgere la nostra attenzione verso altri fattori. Per
comprendere l'astensionismo è necessario soprattutto considerare le particolarità del processo di
"normalizzazione parlamentare" sviluppatosi in Spagna dopo la morte del Caudillo. Dopo una
guerra civile, i partiti politici ed i sindacati erano presentati dal potere franchista come il demonio,
la negazione stessa del sistema. Gli stessi partiti hanno contribuito alla formazione di questa
immagine con una propaganda demagogica tendente a presentare la fine del regime e la loro
conseguente andata al potere come la panacea di tutti i mali, come un cambiamento profondo
della situazione. È bastata la morte di Franco (nel suo letto, fatto questo di per se stesso
significativo) con la successiva legalizzazione dei partiti e dei sindacati, nonché l'inizio dello
spettacolo parlamentare a partire dal giugno '77, perché alcuni si svegliassero dal loro sonno
dogmatico e cominciassero a vedere la realtà per quello che era.
I partiti e i sindacati "operai", attesi come gli angeli sterminatori del franchismo, come i difensori
ad oltranza degli sfruttati, hanno operato in maniera esattamente opposta, collaborando con gli
eredi del franchismo (organizzati nell'U.C.D.) per modernizzare i meccanismi del potere statale
franchista e parteciparvi.
Niente di nuovo sotto il sole, direbbe un qualsiasi cittadino di un qualsiasi stato democratico-parlamentare, abituato a fatti simili. D'accordo, però questi fatti hanno provocato un forte shock
in Spagna, proprio per il contrasto abissale tra l'immagine costruita in quarant'anni e la cruda
realtà dei nostri giorni, dopo la legalizzazione di partiti e sindacati. Si può perciò affermare che
l'astensionismo affonda le sue radici soprattutto nel disprezzo e nel rifiuto generalizzato contro la
classe politica spagnola e la constatazione che attraverso le elezioni niente cambia. L'astensione, in
definitiva, pur con le eccezioni che confermano la regola, può essere "letta" come un fenomeno di
rifiuto che solo in determinate zone del paese ha assunto caratteristiche "di sinistra" (utilizzo
questa espressione con un significato positivo, tanto per capirci). Questo odio contro la classe
politica a volte è il prodotto di un'attenta riflessione, più spesso di un ripudio viscerale. In
entrambi i casi, comunque, non vi è alcuna prospettiva di "organizzazione rivoluzionaria" né di
"radioso avvenire". Peccherebbe di trionfalismo chi volesse vedere nel fenomeno
dell'astensionismo gli indizi della nascita di una prospettiva organizzativa oppure della crescita di
una C.N.T. libertaria. Non sto facendo il profeta, sto solo constatando alcuni fatti: il disincanto,
infatti, riguarda anche la C.N.T.
Burocratizzazione e crisi della C.N.T.
È evidente che non si può giudicare la C.N.T. come un tutto monolitico. Non si possono tacere,
comunque, gli indizi di alcuni fenomeni preoccupanti, di un'evoluzione che tende ad una crescente
burocratizzazione e gerarchizzazione della C.N.T., compresa una violazione ripetuta del suo
funzionamento federalista. È soprattutto questa violazione a facilitare i maneggi più sporchi per
ottenere i posti di "responsabilità" per la pratica di un dirigismo che provoca la passività e la
sottomissione della "base" (e ne è a sua volta favorito).
Vi è un settore che, essendo ben ammanicato con le alte sfere della C.N.T. e potendosi quindi
presentare come "la linea ufficiale", tenta di riempire il vuoto lasciato dalle altre organizzazioni
sindacali, presentandosi come il "buon" sindacato della classe operaia, tralasciando la metodologia
anarchica dell'azione diretta e la coerenza mezzi-fini. Secondo i suoi sostenitori, i presupposti
anarchici dell'anarcosindacalismo della C.N.T. non costituirebbero altro che un freno al suo
sviluppo: di fatto auspicano un "anarcosindacalismo senza anarchismo". Questo settore, composto
da elementi "neo-verticalisti" (a volte neanche tanto "neo") sostenitori di un sindacalismo
autosufficiente, con posizioni praticiste ed economiciste, è sostenuto da tutta una serie di elementi
marxisti (che si riconoscono tali o no è questione del tutto secondaria) finiti nella C.N.T. non
certo perché attratti dalla sua tradizione antiautoritaria quanto dalla sua fama di organizzazione
sindacale "pura e dura" secondo i canoni dell'operaismo marxista e del conseguente mito
autoritario della "dittatura del proletariato". Questo settore si caratterizza anche per il continuo
tentativo di emarginazione delle componenti antiautoritarie e libertarie della C.N.T., vedendo uniti
in questa operazione i sindacalisti verticalisti e quelli marxisti.
Verso il congresso di ottobre
Al margine e/o in polemica con questi settori ve ne sono altri che propugnano un sindacalismo
differente, basato sull'azione diretta, sul rispetto delle organizzazioni autonome di lotta, tendente
allo sviluppo di tutte le potenzialità antiautoritarie della C.N.T.. Questo settore rifiuta i contratti e
difende le pratiche di contrattazione diretta e aziendale con il padronato; sostiene inoltre che
l'accettazione dei contratti presuppone l'adozione e l'importazione nella C.N.T. dei modelli
organizzativi sindacali del capitalismo burocratico, nonché l'adattamento della C.N.T. ai modelli di
pianificazione economica funzionali al sistema (che è esattamente quello che è accaduto agli altri
sindacati).
Questi sono, a grandi linee, gli argomenti controversi, anche se evidentemente posso essere
incorso in qualche schematizzazione. Se da una parte bisogna registrare la nascita ed il primo
sviluppo di un simile apparato burocratico dirigente e la gerarchizzazione delle funzioni, vi è pur
sempre, a livello delle federazioni locali, dei sindacati e dei comitati di fabbrica, un'autonomia
sufficiente per lo sviluppo delle proprie attività, naturalmente proporzionale all'impegno
investitovi. In ogni caso, è innegabile che nella C.N.T. si sia prodotta una situazione di crisi e di
disillusione. Alcuni ripongono le proprie speranze per superare l'attuale impasse nel prossimo
congresso della C.N.T. (fissato per il mese di ottobre). Ma esistono le condizioni per un dibattito
realmente aperto? Esistono davvero le premesse per una proficua partecipazione di base, come
una stampa pluralista, non unidimensionale, che serva da tribuna alle differenti posizioni? Esiste
forse nella realtà un funzionamento federalista che sia garanzia contro manovre ed intrighi? No, la
risposta non può che essere negativa. Purtroppo l'apatia e l'inerzia di ampi settori proletari, che
preferiscono la delega all'autogestione, non permettono grandi illusioni e confermano le difficoltà
per lo sviluppo di un sindacalismo basato sull'azione diretta nella società attuale.
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