Rivista Anarchica Online
La S.M.E.... nata
di D. C.
L'idea dell'unione monetaria europea nacque alla fine degli anni sessanta, sostenuta dai francesi,
ma avversata dai tedeschi. Frutto di un compromesso, nel 1972 il piano Werner propose una
strategia costruttiva a tre stadi. Primo passo fu la riduzione dei margini di oscillazione dei cambi
(accordo di Basilea dell'aprile 1972) concordato fra i paesi della C.E.E. più Gran Bretagna,
Irlanda e Danimarca. L'esperimento incontrò difficoltà: le monete dei paesi economicamente più
deboli non ressero e al principio del 1973 dovettero uscire. La crisi del petrolio (fine 1973)
aggravò la situazione. Di fatto, da allora fino a fine '78 il serpente monetario è stato un'area al
marco, intorno a cui gravitano il fiorino, il franco belga e la corona danese. Per anni si è ritenuto
che l'accordo fosse destinato a saltare, ma a fine 1977 il problema dell'Europa monetaria è tornato
in primo piano. E, con sorpresa di molti, è stata la Germania a muoversi decisamente in questa
direzione, fino alla proposta franco-tedesca dell'ottobre '78. Cosa significa questa svolta, ed è
effettivamente una svolta?
La strategia di politica economica internazionale dominante negli anni sessanta è stata quella
teorizzata dagli U.S.A., detta delle "locomotive": lo sviluppo produttivo sarebbe cioè determinato
dallo stimolo della domanda operata dai maggiori paesi industrializzati. I cambi fluttuanti fra le
monete dovrebbero fungere da regolatore automatico degli squilibri. Questa strategia è entrata in
crisi con la crisi del dollaro, ovvero del sistema monetario internazionale, e l'elevata instabilità dei
cambi che ne è seguita. A questa strategia ne è così subentrata un'altra, di matrice tedesca,
chiamata della "convergenza" il cui obiettivo sarebbe l'eliminazione dei divari esistenti nei tassi di
sviluppo e di inflazione tra i vari paesi, cause prime delle crisi valutarie che tormentano l'economia
mondiale.
Dietro a questa formula sta - come vedremo - l'obiettivo tedesco di rafforzare la propria influenza
sul piano mondiale. Il periodo cruciale è stato quello che va dal luglio al settembre '78, con i
vertici di Brema, di Bonn, l'assemblea del Fondo Monetario Internazionale e della Banca
Mondiale. Gli accordi qui presi impegnavano Germania e Giappone ad adottare misure di stimolo
alla propria crescita, e gli U.S.A. a misure di contenimento del proprio deficit petrolifero - che
indebolisce il dollaro, danneggia la situazione monetaria internazionale e può agire come stimolo
all'aumento del prezzo del petrolio. Ma è chiaro che un'effettiva azione U.S.A. in questo senso
avrebbe avuto effetti di indebolimento dell'economia U.S.A. e di rallentamento sull'economia
mondiale - se l'economia americana non "tira", rallenta l'economia mondiale - e gravi ripercussioni
sulla situazione dei paesi economicamente più deboli, negando così la tesi tedesca secondo cui
crescita e stabilità mondiale passano per l'apporto concordato dei paesi industrializzati.
Ma allora si comprende come l'obiettivo tedesco fosse quello di rafforzare la posizione tedesca
contro quella U.S.A., e forse la incapacità/riluttanza degli U.S.A. ad adeguarvisi non sia dovuta
soltanto alla debolezza del presidente delle noccioline. In questo piano di egemonia tedesca
possiamo collocare il progetto di Sistema Monetario Europeo: se la Germania primeggia da
tempo in Europa questo progetto ha il fine di istituzionalizzare tale ruolo.
Esso consiste nella costituzione di un doppio meccanismo di controllo dei cambi: da un lato vi è
una "griglia", una specie di riedizione del vecchio serpente, che dovrebbe indicare lo spostamento
minimo e massimo tra le singole coppie di monete, dall'altro vi è un secondo indicatore, lo
"scudo", cioè un'unità di conto (European Corrency Unit - ECU) la quale dovrebbe indicare quale
moneta si sarà discostata maggiormente rispetto alle altre e costringerà il corrispondente Paese ad
intervenire nella propria economia per correggere le variazioni del cambio. Inoltre si costituisce un
fondo monetario europeo di intervento di sostegno nei vari paesi.
Lo S.M.E. dovrebbe: 1) limitare le conseguenze di disordini valutari esterni all'area europea, e 2)
stimolare il riequilibrio delle economie meno stabili. Ma nel caso (non certo non probabile) in cui
le economie meno forti dovessero intervenire frequentemente e massicciamente, questo avrebbe
sensibili effetti depressivi sullo sviluppo interno: l'equilibrio verrebbe sì raggiunto ma ad un livello
di produzione ed occupazione complessiva ben più basso del precedente. E inoltre la posizione
tedesca è tale da far ritenere che mai essa si accollerà un ruolo di locomotiva europea che
potrebbe crearle - U.S.A. insegnano - problemi di stabilità interna. In generale, non sembrano
esservi sufficienti motivi per ritenere che questo nuovo meccanismo possa avere più successo del
primo, cioè del vecchio serpente.
Negli ultimi mesi del '78 si è acceso, in Italia il dibattito sulla partecipazione italiana allo S.M.E. o
meglio - dato che pochissimi hanno messo in dubbio la partecipazione - sulle condizioni di questa.
In effetti un'economia come quella italiana che mostra tassi di inflazione intorno al 12% e tassi di
sviluppo modestissimi (2% nel '78), con una struttura produttiva piuttosto "malandata" può subire
- è stato notato - effetti tali, dei vincoli imposti dal contatto con il resto d'Europa, da rendere
ancora più precario il quadro economico. Quindi il problema - se ne è concluso da parte degli
scettici - è abbinare una politica economica interna (e il Piano Pandolfi ne è stato il risultato) di
riconversione/ristrutturazione ad un progressivo integrarsi nell'Europa Monetaria.
Insomma, sì all'Europa, ma con cautela. La vicenda della rapida adesione è nota a tutti. Poi i
battibecchi franco-tedeschi, poi la partenza, con l'Italia "in fiduciosa attesa". Che si può dire?
Perché questa rapida adesione? Forse che l'ideale europeo sia così forte nella classe politica
italiana o forse che le telefonate di Schmidt e di Giscard siano molto convenienti? Ciò che è certo
è che fra i due principali contendenti, Germania e U.S.A., l'Italia - si fa per dire Italia, in realtà le
classi subalterne - non godrà di certo. Ma forse i politici italiani hanno compreso che l'indicazione
di sudditanza che i tedeschi hanno rivolto all'Italia, per loro va bene, essendo il loro motto "tutto
deve cambiare, perché nulla cambi". Ha detto il leader socialdemocratico Schmidt nell'ottobre '74
al congresso dei metalmeccanici tedeschi: "Noi non dobbiamo salvare l'Italia, ma darle solo quel
tanto di aiuto che le consente di stare con la testa fuori dall'acqua, non sulla spiaggia".
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