Rivista Anarchica Online
I lager femminili
di Una proletaria prigioniera nel lager di Brescia- 14.2.'79
Parlare a livello complessivo della realtà dei lager femminili non è lavoro semplice, né può
esaurirsi in uno scritto, in quanto oltre alcune singole situazioni, la "controinformazione" e il
dibattito sul carcere femminile sono abbastanza carenti.
Il carcere riflette, esasperandone le contraddizioni, la realtà esterna, così col mutare della
"situazione oggettiva" all'esterno anche la composizione del Proletariato Prigioniero (P.P.) è oggi
diversa ed esprime sempre più comportamenti illegali antagonistici (aumento dei "reati" contro il
patrimonio e pratica dell'illegalità di massa, reati cosiddetti politici, ecc.).
Mentre prima la maggior parte delle donne che popolavano le carceri erano lì per "reati" legati
soprattutto alla famiglia, all'ambiente sociale di supersfruttamento, a reati contro la morale, a
"favoreggiamenti" ecc. anche nelle carceri femminili si vede chiaramente il cambiamento avvenuto
nella composizione della popolazione detenuta.
Nei grandi giudiziari questa realtà è ancora più evidente, poiché vi sono concentrate un gran
numero di donne, in un modo abbastanza eterogeneo ma il cui modo di porsi rispetto
all'istituzione è già apertamente conflittuale. Malgrado si sia agli inizi e ci sia ancora molta strada
da fare perché si sviluppi sempre più l'autonomia delle P.P., attraverso lotte che esprimano
contenuti di attacco diretto contro le condizioni di vita imposte all'interno di questi lager, in realtà
i "rapporti di forza" sono già ben delineati, quindi favorevoli per una crescita qualitativa. In questi
ultimi anni le lotte espresse dalle P.P. di Rebibbia, San Vittore, e delle Nuove, soprattutto
recentemente, hanno saputo esprimere lotte con contenuti politici ben precisi e sempre più
avanzati e non più "rivendicativi" come in passato.
Molto diversa è la situazione che troviamo nella maggior parte degli altri lager microbici sparsi su
tutto il territorio, dove in un carcere vi sono una decina di donne, o anche meno, costrette a vivere
nell'impotenza e nella paura, dove l'isolamento è quasi totale e la possibilità di rapporti
intersoggettivi limitatissima.
Se si prende poi l'esempio di carceri penali e di carceri del sud (es. Perugia, Bari), sembra di fare
un passo indietro nel tempo, qua la realtà è molto diversa, ma la si può ignorare, qua il
condizionamento psicologico all'istituzione è quasi totale. Quasi sempre in queste carceri, la vita è
organizzata come in un convento, suore al posto delle guardiane; la maggior parte delle donne
sono qua rinchiuse con pene lunghe, sono donne del sud, in carcere per omicidi o altri "reati"
legati a motivi "di cuore", alla famiglia, all'ambiente di supersfruttamento, all'ignoranza alla quale
sono state sottoposte tutta la vita. In carcere vengono sempre più colpevolizzate e costrette ancor
di più ad accettare un ruolo imposto dal dominio, attraverso anche il vecchio metodo di "piccoli
privilegi" e "punizioni"; qui il condizionamento operato attraverso la colpevolizzazione è costante
e l'isolamento è quasi totale. Le detenute divise da muri di omertà e paura, molto spesso
difendono la cella e l'"ordine interno" come se il carcere fosse la loro casa, ma anche qui c'è chi
trova la forza di ribellarsi, quanto meno di resistere il più possibile al condizionamento.
Per le "politiche" e per tutte le detenute che si ribellano e lottano contro l'istituzione c'è sempre il
ricatto continuo degli speciali, che sono ormai diversi, in quanto oltre a Messina, dove sono
concentrate un certo numero di compagne, vi sono, ristrutturati o in via di ristrutturazione diverse
carceri, come Pisa, già di punizione, o quello di Piacenza, dove le detenute sono costrette a vivere
in isolamento quasi tutto il giorno, con luci al neon accese giorno e notte. O Bracci speciali già
realizzati e non, nei grandi giudiziari (Nuove, San Vittore, Rebibbia) allo scopo di isolare le
proletarie più coscienti e antagoniste dalla massa delle proletarie detenute, per cercare di rompere
l'unità interna.
Ma è verificato che proprio in queste situazioni si sviluppano le lotte con i contenuti qualitativi più
avanzati, come ha dimostrato la lotta delle compagne di Messina. Anche in un "ghetto nel ghetto"
si può lottare e vincere - il mito di inattaccabilità e di silenzio creato intorno a questi monumenti al
terrore di Stato è ormai infranto.
Occorre che la pratica di attacco dall'interno dei Kampi si irradi attraverso forme di lotta adeguate
alle varie situazioni a tutti i lager cosiddetti normali in modo sempre più radicale e che anche
dall'esterno si agisca in modo concreto affinché il carcere non sia più una realtà separata, ma una
componente organicamente collegata con le lotte che il proletariato esprime sul territorio, realtà
che solo chi ha una visione parziale dello scontro in atto può ignorare.
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