Rivista Anarchica Online
Signorno!
di Paolo F.
Nel gran parlare che si va facendo intorno alla "questione carceraria", ci si dimentica spesso dei
detenuti nelle carceri militari. Si tratta di migliaia di giovani, in gran parte condannati per reati
"comuni" legati alla dura ed assurda vita di caserma, spesso aggravata dalla coscienza delle
difficoltà che la loro naja causa alla famiglia (quanti giovani, partendo soldati, privano i loro cari
di un'entrata economica indispensabile per "tirare avanti"!). Vi sono poi centinaia di testimoni di
geova, i quali si ritengono "soldati di Cristo" e si rifiutano perciò di fare il soldato per un "altro"
esercito: per questo loro rifiuto di indossare la divisa, che niente ha a che vedere con
l'antimilitarismo (tant'è vero che i testimoni di geova sono malfamati come "lecchini" delle
autorità, anche in carcere), pagano con il carcere e da sempre costituiscono la grande
maggioranza degli obiettori.
Vi sono infine alcuni obiettori totali che hanno compiuto quella scelta coscientemente, con la
chiara volontà di rifiutare l'esercito, conoscendo in anticipo il prezzo della loro coerenza. Non
sono molti, non sono mai stati molti. Anzi, solo negli ultimi tempi si sono avute dichiarazioni
collettive di rifiuto dell'esercito e del servizio civile, l'ultima delle quali pubblichiamo su questo
numero a pagina 48.
Con l'arresto di Renato Bressan e di Nunzio Cunico, anarchici, sale a undici il numero dei giovani
attualmente detenuti nelle carceri militari per obiezione totale. Undici ragazzi che hanno detto NO
sia al servizio militare sia a quello civile, rifiutando la falsa alternativa e pagando di persona per
questa loro scelta. Di loro si parla poco o niente. Non ne parlano i mass-media di regime, non ne
parlano (o quasi) nemmeno i giornali, le radio, i fogli "di movimento".
Gli obiettori totali, non c'è che dire, non godono di vaste simpatie in campo sinistrese. Nella
migliore delle ipotesi vengono giudicati con paternalistica simpatia, con un sorrisetto ironico, con
la simpatia che istintivamente provocano in molti gli "svitati", gli strambi. A volte ricevono anche
della solidarietà sincera, ma quasi mai sono considerati gente, giovani, compagni come noi. Ma
bestie rare, masochisti. "compagni che sbagliano".
Vi è poi tutto un filone di pensiero e di giudizio, nettamente predominante in campo marxista, che
critica aspramente (scientificamente, pardon) gli obiettori totali perché la loro scelta sarebbe solo
frutto dell'individualismo più deteriore, quindi sostanzialmente piccolo-borghese, slegato dai
grandi movimenti di massa (tipo "soldati democratici"), perdente, inutile in questa fase, ecc..
Sotto sotto ci sentono puzza di anarchismo. E non hanno poi tutti i torti.
A noi non interessa, in questa sede, mettere in luce il fatto che la maggioranza dei giovani che
negli ultimi anni hanno compiuto ed anche ora stanno compiendo la scelta dell'obiezione totale è
composta da militanti e simpatizzanti anarchici. Certo, questo fatto ci inorgoglisce, ma non sta qui
il punto. Ciò che vogliamo mettere in luce è che sono proprio le ragioni per cui l'obiezione totale
viene trascurata, irrisa o stroncata dai marxisti e da altri ancora, quelle che ce la fanno sentire a
noi particolarmente vicina - anche quando è compiuta (com'è, per esempio, il caso di Sandro
Gozzo) partendo da posizioni "religiose" che certo non sono le nostre.
Chi rifiuta l'esercito ed il falso dilemma servizio militare/civile non lo fa certo per ragioni
"politiche", nel senso (giustamente spregiativo) che generalmente si dà a questo termine. Non lo
fa, cioè, per conquistare voti, per rafforzare questa o quella organizzazione, in nome di una classe
o di un partito. Nemmeno lo fa per protesta contro questo esercito ma a favore di un altro
esercito: se vivesse in Cina o in Uruguay, a Cuba o in Australia, non potrebbe che compiere la
medesima scelta. Lo fa innanzitutto perché sente che non potrebbe fare altrimenti. Ciò che
l'obiettore totale istintivamente rigetta è la solita scusante sempre addotta dagli altri per "lasciar
perdere", per non impegnarsi in prima persona nelle lotte: che cosa serva che io mi sacrifichi, se
poi tanto gli altri non mi seguono? È questa impostazione del problema che l'obiettore totale
rifiuta, perché sa che è proprio dietro a questa scusante che ci si è sempre nascosti pur di non
affrontare le situazioni difficili. È proprio su questo sostanziale menefreghismo, su questo rifiuto
individuale prima ancora che collettivo di assumerci le nostre responsabilità, che il sistema
autoritario - qualsiasi sistema autoritario - basa la sua sopravvivenza e legittima la sua funzione.
L'obiettore totale, dunque, pur nella naturale varietà e diversità dei comportamenti e delle
motivazioni possibili, compie innanzitutto una scelta di coerenza individuale, ed è proprio questo
che i marxisti non riescono a comprendere, ad ammettere e men che mai a sostenere. La cosa non
ci meraviglia. In un'epoca di sempre più forzata e subdola massificazione, con l'individuo sempre
più stritolato dai grandi apparati burocratici, svuotato dall'interno dalla dis/informazione di
regime, mentre tanto si ciancia di un "nuovo modo di far politica", perlopiù facendosene scudo
per giustificare il proprio disimpegno dalle lotte, è naturale che la coerenza degli obiettori totali
venga irrisa o sottaciuta. Altrettanto naturale ci sembra il fatto che i marxisti, come tutti gli
autoritari, si allarmino di fronte al possibile diffondersi di pratiche di lotta - com'è appunto
l'obiezione totale - che si basano innanzitutto sulla responsabilità individuale, escludendo
completamente qualsiasi dipendenza da strutture gerarchiche e partitiche. Le "lotte di massa"
possono sempre essere controllate, regolamentate, strumentalizzate da chi se ne voglia proclamare
l'avanguardia. Con l'obiezione totale, invece, non c'è niente da fare, non c'è spazio per burocrati e
avvoltoi.
In favore di Curcio e degli altri stalinisti delle B.R. ("riconosciute avanguardie del proletariato",
pardon) sono stati costituiti numerosi comitati di difesa/sostegno, così come in genere in merito
all'intera "questione carceraria". Difendere i brigatisti è in fondo in fondo a la page. Prendendo le
parti dell'esercito brigatista contro quello dello stato italiano si rientra comunque in un'ottica, in
una pratica ed in un linguaggio militaristi: ci sono i comunicati, le risoluzioni strategiche, le
colonne territoriali, le imprese-blitz, le azioni di ripiegamento, i tribunali, le sentenze, le
esecuzioni, la centralizzazione organizzativa, gli schedari, ecc.. Tutto l'occorrente, come sempre,
per la tragica pratica della guerra. Chiunque "vinca", vincerà sempre il militarismo, e con lui lo
sfruttamento, l'oppressione, l'intolleranza che sempre lo accompagnano. Non è un caso, dunque,
che i brigatisti ed i loro sostenitori ignorino e sprezzino l'obiezione totale, contrapponendole
un'impostazione ed una pratica di lotta militarista quanto mai.
Il messaggio antiautoritario che ci viene dalle carceri militari, da Peschiera a Palermo, da Gaeta a
Bari-Palese, è ben altra cosa.
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