Rivista Anarchica Online
Fenoglio - un libertario dalle langhe
di Piero Flecchia
Nell'ambito del movimento rivoluzionario l'egemonia marxista, che molti giovani anarchici vivono
come una realtà di sempre, è storicamente un fatto abbastanza recente. Come rapporti di forza
risale all'epoca della caduta del fascismo: è uno dei tanti effetti perversi della dittatura. Il
marxismo è venuto avanti a partire dalla rivoluzione russa, proponendosi attraverso i risultati di
questa come la sola forza culturale in grado di trasformare il mondo, e sequestrando quanti più
strumenti di trasformazione gli riusciva possibile. Tra questi strumenti è la letteratura, dove i
marxisti hanno recitato un complesso corteggiamento e invulvamento intorno a tutte le nanesche
personalità di scrittori che valgono come pure vanità: tra zdanovismo e gramscismo nazional-popolare si è svolta tutta la vicenda dell'intellettuale di "sinistra". Un putridume banale che
giustamente i compagni hanno preferito ignorare.
Però il fatto che i marxisti abbiano sistematicamente cercato di sequestrare lo spazio
dell'invenzione letteraria dovrebbe segnalarne l'importanza. Entro tale spazio c'è infatti una
possibilità d'invenzione e di critica dei costumi, di apertura su comportamenti "diversi" che non
può essere abbandonata al caso. Uno dei segnali della sconfitta della cultura libertaria è il suo
sgombro da tale spazio che, quando la prospettiva anarchica era viva e attuale, seppe tenere anche
in Italia. Gli anni di Malatesta sono anche gli anni di Paolo Valera: un formidabile giornalista, i cui
corsivi, polemiche e cronache di "nera" meriterebbero di essere recuperati, per avere un quadro
completo e attendibile del movimento libertario. Ma la figura-problema di Paolo Valera è solo un
dato che qui ci proponiamo di segnalare di passaggio. Quello che ci preme mettere a fuoco è
come gli anni dell'egemonia culturale marxista (che si giustificano e fondano sull'egemonia politica
dei cattolici: l'esortazione di Montanelli ai borghesi a turarsi il naso e votare D.C. è solo una faccia
della medaglia, dove l'altra è l'esortazione al popolo da parte dell'intellettuale organico a non far
caso alle faccende del mondo: restare realisticamente in Italia e votare P.C.I.), anni della grande
eclissi libertaria, siano anche anni dove uomini quanto mai lontani dall'anarchia, si sono costruiti
un loro anarchismo "privato" e a partire da questo hanno valutato il mondo e reagito alle pressioni
dominanti, introducendo quel qualitativo diverso che, da sotterranei cunicoli, eromperà alla luce
producendo quel clima postsessantottesco che rimane ancora un enigma, se non lo si collega alla
natura profonda dell'uomo: il suo desiderio-speranza di libertà. Sono questi comportamenti di
rivolta anonima e locale e settoriale che hanno prodotto lo spazio sociale "libertario": un'area
infinitamente più vasta del movimento anarchico. Un'area rispetto alla quale il movimento
anarchico deve agire come coscienza, penetrandovi in profondità e mettendovi radici. Ma perché
questa operazione possa svolgersi il movimento anarchico deve scendere nell'area libertaria,
decifrarne i comportamenti e le aspettative: capire i processi che la producono, i linguaggi e i miti
che la agitano.
La libertà esplode nelle singole coscienze individuali, ma l'esplosione per tradursi in disegno
collettivo deve rimuovere tutta una serie di condizionamenti del quotidiano, deve trovare un
linguaggio di comunicazione: ed è qui che l'invenzione letteraria, che è innanzitutto invenzione
linguistica, viene a giocare un ruolo insopprimibile. È come un capitolo di questa rivolta segreta
personale, che poi si tradurrà nella creazione di un linguaggio libertario, che proponiamo di
leggere la vita e l'opera di un grande scrittore contemporaneo, approdato nei fatti all'anarchia:
Beppe Fenoglio.
Nato nella più codina tra le città del Piemonte: Alba: però anche la città dove si coagulò intorno
alla figura di Pinot Gallizio il movimento situazionista: laboratorio dove si produce quello che sarà
il linguaggio della rivolta del maggio francese -, figlio di un macellaio, educato dai preti, ma già
verso i 16 anni in rivolta contro questi (scriverà una lunga lettera spiegando perché non può
essere cattolico), al centro dell'avventura umana di Beppe Fenoglio è la guerra partigiana. Nei
suoi romanzi ce l'ha raccontata tutta, ma se egli fosse solo il cronista della resistenza, i suoi libri
non sarebbero capolavori. Sono capolavori perché rigorosamente antiretorici, e rigorosamente
antiretorici perché la vita si svolge sempre tutta fuori, rispetto alla dicotomia manichea dei due
poli del come si è e come si dovrebbe essere. Quando comparve il suo primo libro, negli
einaudiani "gettoni", subito la critica ufficiale andò in bestia. Tutto il professionismo della
resistenza proclamò: "Ecco uno che vuol insultare i sacri valori". Se sia presente la guerra di
Spagna, le polemiche tra organizzazione e spontaneità del fronte catalano, i nodi del problema
partigiano che Fenoglio tratta risulteranno immediatamente chiari, ma per chi procedeva dalla
sponda del nazional-popolare le sue pagine non potevano che sembrare sporcizia morale. Beppe
Fenoglio fu quindi segnato sulla lista nera, e di lui non si parlò più, fin quando la borghesia non si
accorse che il romanzo poteva essere un buon affare. Viene così data alle stampe, lui vivente,
"Una questione privata" che (ma ormai Fenoglio è morto) con il solito tempismo dell'opportunista
di classe Calvino definirà: "Il più bel romanzo della mia generazione". Fenoglio muore a 41 anni,
nel 1963: la sua fortuna è tutta postuma: una fortuna fatta di studi negli istituti di filologia, di
seminari, di pubblicazioni dotte, ma parallelamente c'è una lettura solitaria e segreta dei suoi libri:
ormai da un decennio tra i più venduti. È, con Gadda, il solo scrittore italiano studiato all'estero:
manca però alla sua fortuna postuma il segno del dibattito circa le sue idee, non in quanto idee
inventate da lui, ma come complesso di idee dove si definiscono, prendono forma i problemi del
nostro tempo. Ma questa è proprio la dimensione di Fenoglio che la nostra società deve mettere in
ombra, il compito professionale per competenza tecnica affidato alla "nostra" cultura. È l'aspetto
di Fenoglio che cercheremo di mettere in luce.
L'iter intellettuale di Beppe Fenoglio è la riprova di quanto il fascismo ha pagato alla reazione, per
lo stravolgimento dei valori, l'incomprensione delle esigenze reali della vita che questa dottrina
riuscì a inseminare negli animi; come la cura e la guarigione dal fascismo siano un processo lento,
lungo e complesso, che richiede grande statura morale e circostanze ambientali privilegiate.
Fenoglio fu antifascista a partire da una mistura che a noi sembra abbastanza cervellotica, e che
però era il clima di una certa provincia piemontese: in Alba anche il clero faceva resistenza al
fascismo.
Pietro Chiodi, filosofo, maestro di Fenoglio negli anni del liceo, e altra bella figura di pensatore
laico, così ricorda Beppe: "Durante la guerra partigiana i tre baluardi dello spirito puritano di
Fenoglio erano sua maestà il re, la missione inglese e il "maggiore" - quel Mauri, recentemente
sorpreso a un valico con una valigia di valuta pregiata -, e i "rossi" un incomprensibile
sottoprodotto della guerriglia. Così, quando ci trovammo nel 45, i nostri discorsi erano sempre
imbarazzati, anzi, a un certo punto si interruppero. Ma tutto questo doveva durare poco. Man
mano che il vecchio mondo riemergeva, e la resistenza veniva compressa e svilita, Fenoglio
imparò da coloro stessi che continuava a detestare, come non vi fosse gran differenza fra
partigiani rossi e azzurri. Nel frattempo aveva dovuto interrompere gli studi all'università e
cercarsi un impiego. In una impresa vinicola di Alba, dove un centinaio di donne, con mani
paonazze, lavava bottiglie da mattina a sera per un salario inferiore al necessario per vivere,
Fenoglio incominciò a vedere i rossi in una nuova prospettiva. Proprio per questo, e me lo disse
egli stesso, una mattina di domenica del giugno 1946, mi venne incontro con grande affetto in
piazza Savona ad Alba. Fu così che insieme ci incamminammo per gli amari sentieri della
sinistra non comunista".
Ora che non deve più sparare contro il nazi, Fenoglio pensa contro il nazi: contro la totalità del
blocco oppressivo cattolico-marxista, passo dopo passo edificando la propria visione libertaria,
che si coglie netta nei frammenti di un suo libro postumo: una serie di racconti, pubblicati sotto il
titolo "Un Fenoglio della prima guerra mondiale". Poco più che appunti per una saga familiare,
attraverso la quale lo scrittore, ormai giunto alla piena maturità, intendeva allargare il campo della
ricerca per comprendere le origini della rivolta resistenziale, il suo ambito e portata e le ragioni del
suo fallimento.
Qui ormai siamo davanti a uno scrittore totalmente entro l'area anarchica. Del giovane che aveva
fatto la resistenza in nome del re non rimane altro che la qualità del coraggio. Ecco come egli fa
parlare un suo antenato, che ritorna dal fronte di guerra del 15-18, per una licenza: "... potrò
finalmente pisciare in culo al re e a Cadorna". Amilcare Fenoglio, prima di andare a casa passa
al circolo sociale per dire a quella gente come la pensa. Li trova che stanno davanti a una cartina
geografica del fronte e giocano a fare gli strateghi. Amilcare Fenoglio butta tutto all'aria, e grida a
quella gente: "Imboscati, voi non avete visto il sangue la merda e il fango! Vecchi maiali, andate
a vedere la merda il sangue e il fango e poi parlerete, se ne avrete ancora voglia". Ovviamente
Amilcare Fenoglio non arriverà mai a casa, ma non sarà neanche processato: sarà semplicemente
rimandato al fronte.
Ma questo comportamento è ancora solo generico ribellismo, la scelta libertaria di Fenoglio è
molto più profonda e radicale, discende da un preciso rifiuto del mito dell'accumulazione; mito
intorno al quale coincidono borghesi e marxisti. In un frammento della saga familiare leggiamo un
giudizio negativo su Osvaldo Fenoglio: che diventa l'emblema del male: "Dai Fenoglio differiva
anche in un'altra cosa sostanziale: quelli rallentavano quando ritenevano di aver guadagnato
abbastanza e si disponevano al godimento della vita. Osvaldo non ne aveva mai abbastanza e
non pensava mai, minimamente a godersela".
Questo è l'ultimo Fenoglio: l'approdo di un grande resistente, nella cui coscienza la vita deve
connotarsi come piacere del vivere, e lavoro e patria e tutta l'altra mitologia sono il puro negativo.
Di questo Fenoglio ormai compiutamente anarchico possediamo solo pochi frammenti, ma tutta
l'altra opera ci documenta il lungo e drammatico travaglio verso quel porto. Tutta la sua scrittura
procede entro una dimensione libertaria verso la finale visione anarchica. Di Fenoglio abbiamo
solo tre testi compiutamente finiti, e anche questi mortificati da interventi editoriali che ne
volevano sfumare i significati: ma questo è un tristo capitolo di storia del costume culturale che
attende ancora un cronista. E sarebbe una cronaca estremamente significativa perché si vedrebbe
come, nei fatti, lavori la repressione sul versante delle idee. I tre libri licenziati dall'autore sono: "I
23 giorni della città di Alba" ed. Einaudi (racconti) - "Una questione privata" e "Primavera di
bellezza" ed. Garzanti (romanzi). C'è anche in stesura definitiva dell'autore "La malora": forse la
più bella novella della letteratura italiana moderna, e un libro di racconti pubblicato postumo da
Garzanti, come postumo è "Primavera di bellezza". Assolutamente da leggere è anche "Il
partigiano Johnny" ed. Einaudi: un libro messo assieme dignitosamente da Lorenzo Mondo, a
partire da frammenti di capitoli, e che, malgrado questo, si impone come la più grande epopea
della guerra partigiana, e tra i più significativi romanzi della letteratura contemporanea mondiale.
A segnalare ai compagni l'opera di Beppe Fenoglio questo basta e avanza, c'è però un problema
che merita di essere almeno accennato. Per i professionisti della filologia e dell'analisi stilistica
l'opera del nostro è una vera pacchia, in quanto il linguaggio di Fenoglio emerge da una complessa
riflessione su tre versanti: la lingua italiana, il dialetto piemontese, e la lingua inglese, nella quale
ultima scrisse intere parti di suoi libri: che poi tradusse in italiano. Questo è il problema tecnico,
che non c'è recensione o risvolto di copertina che non sottolinei, ma anche qui a prezzo di un
oscuramento della sorgente del pensiero libertario di Fenoglio, che risulterebbe subito chiara, ove
si mettesse al centro della sua riflessione - come nei fatti fu - l'opera di Vittorio Alfieri.
Tecnicamente, come tecnica dello scrivere, il rapporto Fenoglio-Alfieri è un problema la cui
complessità travalica i limiti di questa segnalazione; è però un problema nostro la presenza
dell'insegnamento del grande astigiano nella maturazione libertaria di Fenoglio: la capacità di
provocazione e orientamento che l'opera alfieriana vi hanno giocato; poiché la sua presenza attiva
è uno dei recuperi necessari per dare stabilità, entro la nostra cultura, alla presenza libertaria.
Individuare il cammino di Fenoglio a partire dall'Alfieri, significa impossessarsi di una ben precisa
direttrice; di un ordine coerente del pensare antiautoritario, e di difesa dei valori della libertà, che
è poi l'atto fondamentale attraverso il quale, da un generico ribellismo si passa a una cultura-esistenza anarchica.
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