Rivista Anarchica Online
Il giuoco delle parti
di L. L.
Che Pirandello - scrittore borghese e fascista senile - venga riesumato da dei rivoluzionari può, a
prima vista, apparire sconcertante. Viene il sospetto che i personaggi abilmente tratteggiati dallo
scrittore di Agrigento non siano legati all'Italietta del primo Novecento, ma che abbiano una
vitalità insospettata e siano capaci, quindi, di ripresentarsi anche nella mutata realtà di
quest'Italietta tardo-capitalista. Con una differenza, però. I personaggi interpretano la loro parte
cambiandosi i ruoli, tanto che alla fine della rappresentazione ci sembra di aver assistito a una
commedia diversa da quella in programma. Mah... forse ha ragione quel mio amico che ogni
tanto mi ricorda che "la coerenza non è più una virtù". La scena si illumina, gli attori
prendono posto, la platea è vastissima e tra questa e gli attori
girano vorticosamente le rotative sfornando quotidiani e rotocalchi. Ecco avanzare Antonio
"Toni" Negri che amleticamente si domanda: "È possibile un nuovo contratto? La mia sfida è
amara, carica della pessimistica tonalità che la galera imprime alla previsione. L'alternativa a
questo rivoluzionamento è comunque il disordine permanente. Mentre, dentro un'iniziativa di
allargamento del terreno costituzionale alle componenti dell'autonomia, c'è possibilità, non tanto
di trattativa, quanto di ricomporre un quadro di confronto politico". "La coerenza non è più una
virtù" riecheggia il mio amico di prima. D'accordo, ma anche calarsi
le brache così repentinamente non mi sembra molto serio. Dalla rivoluzione al confronto
costituzionale il passo è molto lungo e le facce un po' (tanto) smarrite degli autonomi che
conosco stanno a dimostrare le difficoltà incontrate per far conciliare il Negri-garantista con il
Negri-rivoluzionario. Impresa ardua se non impossibile. Queste cose si possono spiegare solo
con lo stato di detenzione, ma spiegare non equivale a scusare. La prigione non può e non deve
essere il pretesto per ammiccamenti e voltafaccia, anzi proprio le possibilità offerte dal caso
giudiziario consigliavano un'utilizzazione più coerente dei mass-media. Ma il gioco delle parti continua
e anche i "brigatisti dissenzienti" Faranda e Morucci entrano in
scena. Già dalle prime battute si avverte, però, come le ferree regole del teatro pirandelliano li
releghino in posizione minore. Il loro intervento non contiene pezzi di bravura, non sono dei
mattatori, svolgono la loro parte con precisione, senza cedimenti, ma anche senza magnetizzare
la platea. Attori giovani, ma col tempo si faranno... difettano di mestiere. Oscillano
perennemente tra partito e movimento, senza voler rinunciare né all'uno né all'altro, arrivando a
non accontentare nessuno. Mescolando tesi coerenti nel movement con il leninismo ortodosso
arrivano a riproporre le solite trite ricette: "Innervarsi all'interno della composizione di classe per
organizzare ed esaltarne la natura e i comportamenti antagonistici, funzionando come capacità di
sviluppo del contropotere, non significa svuotare il senso storico del Partito, ma è viceversa il
punto più alto di coscienza del partito: cioè la suo funzionalizzazione ai reali interessi di
classe". Ma se i movimentisti sono rimasti delusi dal persistente partitismo dei BR dissenzienti, anche gli
ortodossi del partito armato sono rimasti delusi dalla risposta dei "padri storici" della guerriglia
urbana. Curcio & C. hanno riproposto tesi stantie, enunciate con una sicurezza, il più delle volte
arrogante, che volutamente ignora le modificazioni intercorse nell'area della lotta armata. Così, se
i dissenzienti si sono visti accusare di anarchismo (che tra gli stalinisti è forse il peggiore
insulto): "Ci sembra che i nostri indipendentisti sull'onda del delirio soggettivista che ispira i loro
sragionamenti, dopo aver liquidato (si fa per dire) il partito, approdano alle più polverose tra le
tesi anarchiche, valga per tutte il rifiuto aperto del concetto fondamentale di dittatura del
proletariato", i sostenitori del partito sono in difficoltà perché troppo dogmatica è la
riproposizione dello schematismo staliniano. Tanto stupida sicumera fornisce più di un argomento a
Oreste Scalzone. Hanno fatto da "spalla"
all'attor comico e questi non si lascia sfuggire l'occasione per divertire la platea alle spalle delle
vestali della guerriglia. Ma Scalzone, preso dall'entusiasmo di aver trovato un fianco così debole
nell'interlocutore si lascia trasportare dalla foga e leninista attacca il leninismo, marxista
vorrebbe utilizzare solo il Marx di "Grundisse", come se questi non fossero il preludio al Marx
del "Capitale", arrivando poi a dichiarare che: "Per i comunisti rivoluzionari, essa (la lotta
armata) è sempre stata una dura necessità, un mezzo, mai un valore". Poi si accorge
di averla
detta grossa e che non tutti hanno dimenticato perché si dissolse Potere Operaio, su quali parole
d'ordine si coagularono alcuni settori dell'autonomia e rettifica il tiro: "O meglio, mai avrebbe
dovuto diventarlo, perché nel suo cristallizzarsi come principio ideologico acquistava un
carattere sempre negativo di valore". Mentre gli attori recitano la loro parte un vecchio guitto, un
po' isterico, abituato a declamare con
toni apocalittici saltella sulla scena, vuol farsi notare. È vero che è invecchiato, ma di lotta
armata se ne intende. Ecco si presenta Antonello Trombadori, oggi deputato del P.C.I., ma ieri
attentatore in Via Rasella. Il buon Trombadori non capisce perché si permetta a questi attor-giovani di
recitare, quando in scena potrebbe starci solo lui. Anzi vuole che il Parlamento si
pronunci su questi carcerati che si permettono di fare uscire memoriali dai carceri. Eh... se ci
fosse lui al governo queste cose non succederebbero, tutti imbavagliati, nessuno deve parlare: chi
va in carcere deve fare il carcerato, un po' di rispetto per i ruoli. Certo le prigioni che vorrebbe lui
sarebbero peggiori di quelle fasciste, ma cosa importa se si rappresenta il proletariato, anzi tutto
il popolo. Questa legittimazione permette di fare tutto. E bravo Trombadori, peccato (per te) che
puoi solo ricevere fischi e pernacchie invece degli applausi che ti aspettavi. Francamente questa commedia
comincia ad annoiarmi. Adesso è la volta dei giornalisti Scialoja
(Espresso) e Deaglio (Lotta Continua), il primo piagnucoloso, il secondo finto spavaldo di fronte
alle minacce delle B.R.: "da certe operazioni c'è da guadagnarsi una buona razione di piombo,
come del resto è già capitato al loro socio in loschi affari Casalegno". Basta. Esco dal teatro.
Fuori piove, un grosso temporale ha spezzato la calura di questo fine agosto. Così, "cantando
sotto la pioggia" prometto solennemente: "la prossima volta vado al cinema".
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