Rivista Anarchica Online
L'amore espropriato
di Fausta B.
Milano, agosto 1979. Sette donne dello stesso quartiere al momento di rientrare a casa vengono
affrontate, minacciate con un coltello e violentate dallo stesso individuo. Fin qui, tutto si svolge
secondo le modalità che purtroppo tutti conosciamo molto bene. Ma in questo caso si è aggiunta
una nota finale che mi ha lasciato sbalordita: tutte le donne hanno dovuto subirsi, dopo la
violenza, una dichiarazione politica che suonava più o meno così: "La responsabilità di
quello
che faccio è della società che mi ha emarginato, che non mi permette di avere rapporti con le
donne, per cui io sono costretto a prendermi con la forza quello che non mi viene dato". Siamo
evidentemente arrivati all'esproprio della figa! Ma quale mentalità contorta può
portare un uomo abbastanza colto e non brutto (secondo quanto
hanno dichiarato le sue vittime) a comportarsi in questo modo, a fare della violenza alle donne un
atto di rivolta contro la società? Io, dopo il primo momento di rabbia feroce, me lo sono
domandato. Innanzitutto penso che alla base vi sia una incapacità di stabilire rapporti umani "veri" in
generale e con le donne in particolare. Viviamo in un'epoca bastarda permeata dalla ambiguità. Si
è fatto un gran parlare del "privato", della "qualità della vita", di "rapporti umani migliori", ma
difficilmente questi concetti sono stati messi in pratica. La norma, nei rapporti interpersonali, è
una comunicazione a senso unico o una non-comunicazione, raramente c'è una disponibilità
sincera verso l'"altro" e quand'anche si verifica ecco che scatta il meccanismo dell'autodifesa
preventiva, della paura: se mi lascio coinvolgere poi divento vulnerabile. E quindi tutto viene
giocato sul piano formale: l'importante è essere corretti, tanto la sostanza non la conoscerà mai
nessuno perché rimarrà gelosamente custodita dentro di noi. La solitudine completa, anche se
inapparente, è la condizione normale di questo nostro vivere. Dopo anni di femminismo molti dei
modelli comportamentali tipici maschili sono caduti, molte
certezze maschili sono state frantumate, ma né gli uni né le altre sono stati sostituiti; è
rimasta
l'incertezza, l'insicurezza e, forse, la paura di un universo sconosciuto, l'universo femminile. Poi c'è il
clima culturale in cui siamo immersi, perlomeno al nord, di relativa libertà sessuale. Ma
è poi proprio vera questa libertà? Caduti i capisaldi della concezione dell'amore in Occidente -
l'amore-passione e l'amore-peccato - il sesso sembrava in questi ultimi anni essersi liberato da
tutte le sovrastrutture sentimentali e aver acquistato una sua autonoma dimensione di "gioco"
libero e liberatore. Ma i risultati di questa sperimentazione non sembrano essere stati
soddisfacenti se proprio recentemente si è ricominciato a parlare di sentimenti, di innamoramento
ecc. come di esigenze ineliminabili dell'essere umano. Le femministe, dal canto loro, hanno reagito a questa
ennesima assurda violenza chiedendo
maggiore protezione alle forze dell'ordine e con denunce varie, in una parola ricorrendo alle
istituzioni. E ancora una volta hanno dimostrato la limitatezza di un movimento che ha operato in
pochi anni un cambiamento notevolissimo nella società ma che, proprio per la carenza di un
progetto rivoluzionario globale, è entrato in secca e non sa come uscirne. Come si può seriamente
pensare di risolvere un problema come quello della violenza alle donne legato ad aspetti
psicologici, culturali, sociali, chiedendo l'intervento della polizia? Mi sembra folle il solo
pensarlo. Il fatto è che finché le donne non si decideranno ad uscire dal loro ghetto, quello
femminista appunto, e ad aprire i loro occhi e i loro cervelli sulla realtà che le circonda - una
realtà infinitamente complessa - le loro possibilità di incidere in qualche modo su di essa saranno
limitate. Ho l'impressione che vi sia un vizio di fondo: "loro" hanno fatto la "loro" rivoluzione
interna e tanto basta, come se dieci anni di autocoscienza e di battaglie femministe potessero
cambiare radicalmente i comportamenti non solo maschili, ma anche femminili, derivati da
migliaia di anni di oppressione. Se infatti da un lato gli uomini, perduta la loro comoda identità,
sono sempre più deboli, incerti, insomma interlocutori poco soddisfacenti, dall'altro le donne, che
invece la loro identità l'hanno ritrovata e con essa la loro forza, sembrano essere ancora incapaci
di essere autonome, di essere individui in grado di interrogarsi, pensare, analizzare, operare
anche al di fuori dell'orticello femminista, incapaci di non cadere facili prede del conformismo
più sciocco. Prendiamo ad esempio l'abbigliamento. Quest'anno la moda ha decretato spacchi,
scollature e tacchi alti (un vero e proprio revival della donna-oggetto anni '50) e puntualmente
abbiamo visto il dilagare di questa nuova semi-divisa accanto o al posto dei tradizionali zoccoli e
gonnelloni. Donna-oggetto ripropone maschio-padrone e allora perché stupirsi e indignarsi se
qualche maschio cretino (e ce ne sono tanti) cede alla tentazione di dare un complimento pesante
o di allungare le mani. Quante volte mi è capitato di svegliarmi la notte con una voglia matta di
andarmene in giro per la città! Non ho mai avuto il coraggio di farlo. E ogni volta ho provato una gran
rabbia. Che fare, quindi, per abolire la violenza sulle donne, di cui quella sessuale è solo l'aspetto più
appariscente e doloroso? Trasformarci da prede in predatori? Armarci e aggredire per prime? Si può anche
fare, ma questo può risolvere solo singoli casi. Il problema generale resta finché restano le
molteplici cause che lo determinano. È quindi sulle cause che dobbiamo lavorare. È un lavoro
lungo e difficile, ma la rivoluzione è lunga e difficile. La realtà, che ci piaccia o no, esiste e con
essa noi dobbiamo fare i conti, se vogliamo trasformarla. Io lo voglio, non solo, ma anche, per
poter uscire da sola la notte.
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