Rivista Anarchica Online
A proposito del convegno...
a cura della Redazione
Un afoso fine luglio, nell'afosa sede del Centro Studi Libertari di quest'afosa Milano. I
compagni del centro stanno imbustando depliant e impacchettando manifesti del convegno
sull'autogestione.
Come va la preparazione del convegno?
Bene, molto bene, credo. Questo convegno sembra aver trovato una grande rispondenza dentro e
fuori il movimento, anche a livello internazionale. È significativo che la rivista libertaria
spagnola "Bicicleta" abbia dedicato al convegno un numero speciale di cento pagine e ne stia
preparando un altro. Sappiamo che in Francia dei compagni di Lione stanno lavorando a
un'edizione francese di gran parte dei contributi al dibattito. In Francia e in Spagna, oltre che in
Italia naturalmente, si è manifestato il maggiore interesse, ma ci hanno scritto gruppi e compagni
perfino dall'Australia, dal Canada, da Hong Kong, mandandoci contributi o preannunciando la
loro partecipazione...
Merito di...
Merito, crediamo, del tema innanzitutto. Come abbiamo già detto e scritto, parlare di
autogestione vuole dire parlare un po' di tutta la parte positiva, costruttiva dell'anarchismo e in
più parlare della strategia libertaria significa parlare di democrazia diretta, ma anche di azione
diretta, di organizzazione sociale ma anche di organizzazione delle lotte, e di tante altre cose di
grande attualità, dei bisogni, per esempio, e dei nuovi soggetti rivoluzionari e di nodi irrisolti
vecchi/nuovi di carattere economico, politico, psicologico.... Poi è merito, crediamo, anche della
diversa preparazione e struttura del convegno. Intanto l'organizzazione per tavole rotonde, con un
gran numero di partecipanti (trentaquattro, per la precisione, in una miscela che speriamo
equilibrata di militanti e studiosi, di anarchici e non anarchici) che verranno a discutere e non a
leggere o recitare delle relazioni, non solo è più coerente con la problematicità del tema,
ma darà
certamente luogo a un convegno più vivace e interessante e "facile" da seguire attivamente.
Inoltre, come ben sai, abbiamo "preparato" il convegno con un intenso lavoro di
sensibilizzazione e non solo con circolari informative ma anche, ad esempio, con i due seminari
di marzo e giugno, in ognuno dei quali una cinquantina di compagni hanno fatto del buon lavoro
intellettuale collettivo... e grazie anche alla collaborazione di "A" e di altri periodici libertari, non
arriveremo al convegno "a freddo", come le altre volte. Infine, credo che il merito sia anche di
una maggiore maturità del movimento, di un'accresciuta consapevolezza delle nostre carenze
culturali e del bisogno quindi di momenti di aggiornamento, approfondimento e confronto
culturale.
Questo della cultura e un po' il vostro chiodo fisso...
Il Centro Studi Libertari "Pinelli" si è costituito proprio su questa "fissazione", cioè sulla
convinzione che sia assolutamente necessario che l'anarchismo torni a costituire, come nei suoi
momenti migliori, un punto di riferimento "centrale" per la cultura libertaria ed egualitaria. Vale
a dire che esso deve essere portatore di un progetto culturale, deve produrre una sua cultura e
non solo conservare il suo patrimonio storico-ideologico, né tantomeno divenire una specie di
variante libertaria raffazzonata del "sinistrismo".
Forse è meglio che precisi che cosa intendi per cultura.
Cercherò di spiegarmi brevemente, anche se non è facile. L'uomo - è stato detto
giustamente - è
un "animale culturale". Non solo i suoi rapporti sociali, ma anche i suoi rapporti con la natura
sono mediati da valori, norme, rappresentazioni, simboli, modelli, in una parola dalla cultura.
Cultura sono l'arte e la scienza e la filosofia, ma anche le ideologie, le religioni, le tecniche ed i
modi di produzione, gli utensili domestici, i comportamenti quotidiani, le lotte sociali, le
istituzioni.... Cultura sono i libri, ma anche i volantini, le assemblee, la rabbia, le manifestazioni,
le aspettative, i desideri....
Bè, tutto allora!
In un certo senso è vero. Tutto ciò che è umano e culturale.
Ma voi non vi occupate di tutto, ne lo potreste.
È evidente. Il nostro ambito di lavoro non può che essere circoscritto. Come centro
studi, intanto,
ci interessa stimolare la ricerca intellettuale. E poi, come anarchici ci interessa sviluppare e
arricchire una cultura, la nostra cultura, e non genericamente la cultura.
Di questa nostra cultura
(fatta di valori etici ed estetici, di riflessioni sul passato e di analisi del presente, di scelte
individuali e di esperienze collettive...) vediamo la palese sproporzione con il suo ambizioso
progetto rivoluzionario. Essa è assolutamente inadeguata qualitativamente e quantitativamente
alle necessità di un movimento che vuole trasformare radicalmente e globalmente l'assetto
sociale. È lontanissima dall'essere una cultura popolare alternativa alla cultura dominante, cioè
una cultura rivoluzionaria non solo per le nostalgie e i sogni dei militanti. Eppure,
contraddittoriamente, fermenti libertari ed egualitari si manifestano in misura crescente nel
conflitto sociale, nei comportamenti quotidiani, nella percezione dei bisogni, nelle scienze
umane....
Ma si fa cultura rivoluzionaria con i convegni di studio, con i professori universitari, con gli
intellettuali?
È chiaro che non si fa cultura rivoluzionaria solo, ma anche riflettendo,
discutendo, studiando,
leggendo, scrivendo. Mi sembra di dire banalità, eppure so che molti compagni amano mostrare
disprezzo per l'attività intellettuale, come fosse un lusso per privilegiati e non invece una
funzione fondamentale dell'azione (oltre che dell'essere umano). Non esiste prassi rivoluzionaria
senza teoria rivoluzionaria. E viceversa, beninteso. La prassi è teoria realizzata e la teoria è prassi
pensata. In realtà non vi è una vera e propria distinzione tra i due piani, più di quanto non
vi sia
distinzione di "anima" e di "corpo" o, se preferisci, di "psiche" e di "soma". Tornando ai convegni, essi vogliono
essere solo delle occasioni di stimolo all'attualizzazione e
all'approfondimento del nostro pensiero, di trasmissione critica delle conoscenze, di studio
collettivo. Solo questo, ma è già molto. Che poi a questi convegni partecipino degli intellettuali
di mestiere non dovrebbe stupire molto, visto che viviamo in un sistema di divisione del lavoro e
di monopolio del sapere "superiore", un monopolio che, in sistemi tecnoburocratici o
tendenzialmente tecnoburocratici, è base funzionale e giustificazione ideologica della classe
dominante. Quale modo migliore di negare - almeno episodicamente, almeno simbolicamente - questo
monopolio, questa "espropriazione" culturale del popolo, che portare il lavoro intellettuale fuori
dei chiostri universitari, fuori dalle conventicole accademiche e e portarlo in pubbliche
assemblee? E poi, questa volta più che in passato, abbiamo messo a discutere assieme studiosi di
varie discipline, per metterne un po' in crisi le certezze "specialistiche" e, speriamo, anche i
gerghi specialistici che a volte rendono irritantemente difficili anche concetti facili.... Si sa che
una delle caratteristiche del monopolio del sapere è una certa artificiale "esotericità",
un'artificiale segretezza.
Un'ultima questione, un po' spinosa. Perché a questi convegni invitate tanti intellettuali non
anarchici?
L'abbiamo già spiegato altre volte. Poiché non si tratta di congressi anarchici, ma
di convegni di
studio, cerchiamo di farvi partecipare coloro che, di volta in volta, crediamo abbiano da dire sui
vari temi cose utili e stimolanti. E come "ci sono più cose in cielo e in terra che nella nostra
filosofia" - come diceva Shakespeare, ci sono tante cose utili e stimolanti, per gli anarchici,
pensate e dette e scritte da non anarchici. Prendi, ad esempio, uno Schumacher (quello di "Piccolo è
bello"): era un socialdemocratico e per
di più un cristiano. Eppure ha scritto sulla "dimensione" cose che, lette in chiave anarchica,
possono essere un contributo culturale rivoluzionario. Del resto, hai mai pensato all'uso che delle
teorie darwiniane hanno fatto in passato gli anarchici (hanno anche pubblicato il suo L'origine
della specie a loro spese e l'hanno diffuso) in funzione materialistica, antireligiosa? Eppure
Darwin era tutt'altro che un anarchico e delle sue teorie si poteva anche fare (com'è stato fatto) un
uso reazionario.... La cultura anarchica, quand'era viva e popolare (o proletaria, se preferisci) era criticamente
aperta
anche alla scienza "borghese" e sempre pronta al confronto. Anzi lo cercava, il confronto. M'è
piaciuto l'uso, di cui parla Anselmo Lorenzo, degli internazionalisti spagnoli i quali, al termine
dei loro congressi, sfidavano in pubblico dibattito i più noti esponenti della cultura ufficiale della
città in cui s'era tenuto il congresso (ad esempio il rettore dell'Università di Valenza), con
l'orgoglio di essere portatori di una cultura alternativa, ma senza quel disprezzo che spesso
maschera un complesso di inferiorità. Lavorare dunque per una cultura anarchica significa innanzitutto
fare uscire l'anarchismo
dall'asfittico ghetto in cui un po' l'hanno cacciato ed un po' s'è cacciato. Esso deve riappropriarsi
di tutto ciò che di valido in senso libertario ed egualitario c'è in circolazione. Esso deve "stanare"
i falsi libertari - in buona o in mala fede - mettendone a nudo i limiti e le contraddizioni,
"estremizzando" e generalizzando i loro discorsi e le loro scoperte e i loro percorsi intellettuali. Inoltre, non
c'è di meglio che discutere con gli altri, per costringere noi stessi a risolvere i
nostri
nodi problematici (o quantomeno ad averne chiara coscienza, che è già molto), per individuare ed
affrontare le nostre contraddizioni, lacune, debolezze. Ogni tanto perlomeno, è necessario
rimettere in discussione anche ciò che, tra noi, non si mette in discussione perché si dà per
scontato. E poi magari salta fuori che era tutt'altro che scontato....
Ma non si rischia così di fornire un palcoscenico alle esibizioni di intellettuali che sono, in
fondo, pur sempre portatori di una cultura complessivamente antagonistica alla nostra?
Intanto bisogna distinguere; tra gli intellettuali che partecipano ai nostri convegni ve ne sono di
genuinamente libertari in senso lato, anche se non anarchici in senso stretto. Poi non credo che i
nostri convegni siano dei palcoscenici utili alle carriere politiche ed accademiche. Tutt'altro.
Credo ci voglia comunque una certa dose di anticonformismo se non di coraggio, per
considerarci interlocutori culturali. Infine, si devono accettare certi rischi, se si vuole uscire dal
ghetto. Anche il rischio di dispiacere a certi anarchici. Pochi, spero, ma anche tanti, se fosse
necessario. Quelli, ad esempio, che sospettano o temono nel nostro progetto culturale
infiltrazioni ed influenze "borghesi". O quelli che confondono lo scontro delle idee con il tiro a
segno. Anche il rischio di sbagliare. In ogni caso preferiamo sbagliare in aperture avventate che
non in preclusioni settarie o dogmatiche.
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