Rivista Anarchica Online
Moneta e rivoluzione
di Franck Mintz
Immersi come siamo nella società dei consumi con le sue svariate sfaccettature nel mondo
occidentale, in quello orientale e nei paesi in via di sviluppo, è stato per noi molto difficile
comprendere e far comprendere il sistema organizzativo monetario durante la guerra civile
spagnola. È necessario innanzitutto conoscere nelle loro linee essenziali le idee che in proposito
potevano
avere i militanti anarcosindacalisti e di altre ideologie prima del 19 luglio 1936. Da parte
marxista, nessun problema: come la scomparsa e il deperimento dello stato vengono rinviati ad
una data imprecisa, così il sistema della moneta e delle differenze di salario vengono mantenuti
da Marx e dai marxisti-leninisti. Marx e Lenin affermano anzi che le differenze tra il lavoro
specializzato e quello non specializzato rimarranno ancora nel sistema socialista e anche dopo la
soppressione delle classi. In campo libertario invece, si possono notare due posizioni molto differenti. La prima
è quella di
Kropotkin ne "La conquista del pane" in cui è preconizzata la presa nel mucchio e la messa
in
comune delle ricchezze, con il rifiuto di qualsiasi possibilità di differenziazione di salario. La
seconda mantiene la moneta e al tempo stesso i buoni di consumo, con lo scopo di sopprimere il
carattere speculativo del risparmio, del prestito, ecc.; Pierre Besnard è quello che va più avanti
nell'elaborazione di questo filone, pensando ad un sistema di salario nazionale che parte dai
buoni e si basa su scambi internazionali eventualmente fondati sull'oro. La pratica rivoluzionaria del 1933 e del
1934 chiarificò queste concezioni. Per esempio, durante
il tentativo insurrezionale di tipo comunista-libertario in Aragona nel dicembre '33, la moneta fu
abolita (Macario Rojo, Como implantamos el comunismo libertario en Mas de las Matas,
Barcellona 1934, pag. 19). Tutto ciò è contemporaneamente imputabile agli articoli di Isaac
Puente sul comunismo libertario, all'influenza di Kropotkin (molto letto in Spagna), alla
tradizione comunalista e al rifiuto viscerale della politica borghese (da collegare senza dubbio
alla tradizione religiosa, che vede nella moneta una fonte di perversione). Nel 1934, durante
l'insurrezione volontariamente limitata delle Asturie, si constatò che spontaneamente sia nelle
zone anarcosindacaliste sia in quelle socialiste e comuniste del Bloque Obrero y Campesino (in
seguito incluso nel P.O.U.M., agglomerato di gruppi marxisti dissidenti, prima delle elezioni del
'36) sia in quelle del P.C.E., i comitati avevano creato dei buoni affinché la popolazione potesse
fare approvvigionamenti ed i commercianti li accettassero. Queste due esperienze furono molto commentate in
tutta la Spagna. Perfino i socialisti ed i
comunisti del B.O.C. e del P.C.E. si meravigliarono (alla faccia del marxismo-leninismo-stalinismo) della
capacità dei lavoratori asturiani in campo monetario. Anche fra gli anarchici la
visione di Besnard (e di Leval) di un salario e di una moneta purgati dei loro aspetti speculativi
prevalse su quella di Kropotkin e di Puente che puntava alla soppressione della moneta. Il
congresso della C.N.T. del maggio '36, approvando una mozione sul comunismo libertario
contenente una formula ambigua basata sul "libretto dei lavoratori", non si espresse chiaramente
in merito. Del resto, a parte le mozioni citate da Antonio Elorza sulla "Revista del trabajo" n.32,
le altre vanno da un rifiuto dichiarato ad un rifiuto appena accennato. Si può valutare la maturità
di espressione pre-rivoluzionaria leggendo il progetto "di riforma monetaria e schema di
circolazione fiduciaria in un'economia sociale" da me citato nel mio libro e che, secondo Valerio
Mas che me lo ha fatto conoscere, fu iniziato ai primi del '36 a Granollers. La guerra provoca tre differenti
reazioni al problema della moneta. La prima, cronologicamente,
è quella che ebbe luogo a Barcellona all'inizio dei combattimenti, dove i servizi pubblici (acqua,
gas, elettricità) continuarono a funzionare e che gli approvvigionamenti elementari (pane, latte,
ecc.) si continuarono a fare. Il che implicava la preparazione degli anarcosindacaliste e la
previsione dei bisogni ("pane, la rivoluzione ha bisogno di pane!... Il nostro obiettivo sarà quello
di fare in modo che fin dai primi giorni della rivoluzione e per tutta la sua durata a nessuno sul
territorio insorto manchi il pane". Kropotkin, La conquista del pane). In effetti durante
questi primi giorni febbrili non vi sono delle rivendicazioni globali: ciascun
collettivo fa l'inventario delle sue risorse e nel contempo si preoccupa di contribuire alla
rivoluzione. Mi sembra che si possano distinguere due tendenze nell'ambito di una medesima
attitudine riorganizzativa del ventaglio salariale (i salari alti dei direttori dei vice-direttori e degli
impiegati onorifici vengono soppressi, quelli degli ingegneri e dei quadri intermedi vengono
mantenuti mentre quelli dei manovali vengono alzati di molto). La prima tendenza è di lavorare
meno e di guadagnare di più, cosa che la Generalità stimola con il suo decreto del 24 luglio 1936
- è simpatico notare che pur ridotti allo stato di fantasma giuridico, i catalanisti abbiano decretato
la settimana di quaranta ore e il quindici per cento di aumenti salariali, nonostante che i bisogni
rivoluzionari fossero tanti e che la Generalità non avesse nessun potere sulla Banca di Spagna. La
seconda tendenza è quella di applicare il salario unico (come nei trasporti), il che presuppone che
non vi possano essere né inflazione né mercato nero; anche se non fu assolutamente così
né in
Catalogna né nel resto della Spagna repubblicana. Evidentemente un salario unico non può essere
fissato forzatamente una volta per tutte, ma allora venne concepito pensando che i prezzi
restassero fissi. La seconda reazione fu quelladelle collettività agricole dopo l'annuncio
della vittoria a
Barcellona e nella cosiddetta Spagna repubblicana. Anche in questo caso abbiamo due tendenze,
il rifiuto della moneta (che in certi casi viene addirittura bruciata) con l'instaurazione della presa
dal mucchio; la creazione di una moneta locale. Le differenze da posto a posto e le discussioni in
assemblea generale per modificare il sistema sono riassunte in questa testimonianza dell'epoca:
"tutto quello che è stato fatto, è stato fatto immediatamente e a titolo sperimentale. Durante
i
primi giorni sono stati distribuiti dei buoni che permettevano di acquistare ciò di cui si aveva
bisogno. Più tardi è stata fatta della cartamoneta e ora abbiamo adottato il sistema del libretto
del produttore. Finora è il migliore di quelli che abbiamo provato." (Bujalance, provincia di
Cordoba, 25/9/'36). Manca solo un aumento delle risorse che permetta subito il comunismo
nell'abbondanza, ma esse sono razionate in parti uguali per tutti. Viene anche mantenuta la gerarchia maschilista.
In un'economia non razionata l'uguaglianza si
instaura di fatto tra le persone e i sessi. Nel determinare il libretto dei produttori, le collettività
consideravano meno la donna dal momento che essa guadagnava meno dell'uomo. Gaston Leval
afferma nell'edizione italiana del suo libro (1952): "nella metà circa delle collettività agricole,
il
salario attribuito alle donne era inferiore a quello dell'uomo, nell'altra metà era equivalente;
queste esperienze si possono spiegare considerando che raramente una donna giovane viveva
sola.". Senza aver presente tutti i salari nelle diverse collettività, io non vedo quali collettività
agricole applicassero l'uguaglianza salariale tra uomo e donna. Questo fatto permette di riunire le due situazioni
delle collettività urbane e agricole, dal momento
che entrambe adottavano il salario familiare (variabile secondo il numero dei membri della
famiglia), il quale sottintende l'istituzionalizzazione della famiglia, la cui evoluzione è sancita dal
matrimonio e dalla nascita dei figli. Naturalmente la scala salariale era differente per gli uomini
sposati, i celibi, le nubili, i bambini ed i vecchi (a volte separati). Un altro punto che unifica le
due collettività è il problema degli scambi, dell'acquisto dei beni al di fuori delle collettività.
In
tutti i casi la stima-base era fatta in pesetas e l'accordo si faceva o con la moneta particolare della
collettività o con baratto da collettività a collettività, finché ciò era possibile.
Era di grave
ostacolo la mancanza di dati statistici sui prodotti disponibili, sul mercato (sconvolto), sulle
collettività della regione e sugli altri settori autogestiti. Si arriva così naturalmente al
terzo aspetto: la banca, che resta nelle mani dei (capitalisti)
borghesi repubblicani, malgrado il progetto di conquistarla e l'esempio della requisizione della
banca di Oviedo nel '34 (episodio che Federica Montseny sottolineava per mettre in risalto la
grande coscienza rivoluzionaria in confronto con la Comune di Parigi, ne "La rivoluzione di
ottobre. 15 giorni di comunismo libertario nelle Asturie" di Solano Palacio, se la memoria non
m'inganna). Si può aggiungere che vi furono dei progetti e forse anche dei tentativi
anarcosindacalisti di impadronirsi dell'oro della Banca di Spagna a Madrid (vedere Santillan,
Garcia Oliver e il Durruti di Abel Paz) ma la collaborazione politica imposta dai dirigenti della
C.N.T. e della U.G.T. resero instabile l'autogestione.
In questa situazione di doppio potere, fatale per l'autogestione come già avevano dimostrato gli
esempi storici precedenti (Germania e Italia 1918-'20, U.R.S.S. 1917-'21), si nota
contemporaneamente un'accentuazione del processo autogestionario. In Catalogna, una legge
dell'ottobre '38 capovolge completamente l'esperienza sul terreno industriale, facendo dipendere
le collettività dai crediti governativi ottenuti secondo il colore politico dei ministri e dei
responsabili e quello delle collettività. In Aragona una statistica regionale degli stock e dei
bisogni fu fatta e funzionò bene, ma a livello degli scambi interni alla provincia e all'esterno ci fu
una confusione di competenze tra l'organismo responsabile degli acquisti all'esterno per conto
delle collettività e certe collettività molto ricche che volevano commerciare direttamente, mentre
esisteva una cassa di compensazione per le collettività povere. Nella provincia di Valenza, la situazione
divenne in breve tempo inestricabile a causa del partito
comunista che propose un'organizzazione per l'esportazione degli agrumi in concorrenza con
quella della C.N.T.-U.G.T. giungendo infine a contrasti insanabili che provocarono il rifiuto di
scambi commerciali tra gli organismi autogestiti e quelli dipendenti dal partito comunista. Per sopperire
all'inerzia degli oppositori e dei nemici armati dell'autogestione, si assistè a
relazioni economiche basate sulla politica e non sulla redditività: i reggimenti anarchici di Asco
(provincia di Tarragona) ricevettero un aiuto finanziario dal sindacato dei barbieri di Barcellona,
poiché un membro di questo sindacato si trovava convalescente in quella collettività, per
acquistare una pompa elettrica, e la stessa collettività impiegava dei compagni del sindacato dei
mattonai di Granollers in collettività per la raccolta delle olive. Si comprende che in un'atmosfera
di sfiducia i rapporti personali offrono la garanzia necessaria, ma un minimo di coordinamento ci
sarebbe potuto essere nel caso di Asco nell'ambito della stessa provincia. Ci sembra che questo
caso debba essere riferito, perché i rapporti tra le federazioni di collettività risultino chiari. La
C.N.T., che non aveva voluto autogestire la Banca, si vide obbligata a crearne una per
finanziare gli organi economici anarcosindacalisti. Riconoscendo che "l'ideale è la soppressione
indiscutibile della moneta", si era proposta una banca con tre funzioni: banca per i sindacati,
banca per i produttori (analoga alle attuali casse di risparmio), banca per il commercio estero
(vedi Amezcua su "Solidaridad Obrera" del 16/2/'37, pag. 2). Questo progetto fu infine realizzato
dal plenum economico ch'ebbe luogo nel gennaio '38 (la mozione è stata riprodotta nel terzo
tomo, capitolo 1 de "La C.N.T. nella rivoluzione spagnola" di Peirats) e mi sembra che in pratica
non sia mai stato reso effettivo.
A livello delle collettività sia industriali sia agricole è mia impressione che la situazione
quotidiana del salario nell'ambito del libretto del produttore, del baratto e dell'uso della peseta per
gli acquisti esterni (tenendo conto che la peseta risentì dell'aumento dei prezzi in tutta la zona
repubblicana mentre i salari agricoli rimasero più o meno a livello della fine '36) non si modificò
sensibilmente tra il '37 ed il '38 nell'Aragona e nella Catalogna e il '39 per le altre regioni. Era
una situazione sempre incerta che si muoveva al vertice, non alla base. Le collettività gestivano
la loro produzione e collaboravano allo sforzo bellico inviando gratuitamente al fronte una parte
della loro produzione e, a volte, accogliendo dei rifugiati. Questo sforzo non era certo un
investimento nel senso economico del termine. Bisognava vincere la guerra per rafforzare la
rivoluzione, e per i comunisti si trattava di vincere la guerra per eventualmente cominciare la
rivoluzione: in ogni caso i danni economici causati dal P.C.E. sia direttamente (attacchi contro
l'autogestione in Aragona all'epoca della raccolta del grano) che indirettamente (sabotaggio della
campagna di esportazione degli agrumi nel '37-'38) sono di difficile stima. Ma sarà necessario
farli, per avere una visione finanziaria globale dell'autogestione. Questo adattamento, questa
continuità della vita economica con o senza moneta, o con una moneta spogliata di valore
speculativo, è la caratteristica più importante di questa esperienza. Ma di molte altre cose
bisognerebbe trattare: la trasformazione dei ricchi in poveri (per esempio nei villaggi
collettivizzati dell'Aragona dove la moneta locale e il libretto del produttore obbligavano i ricchi
o ad entrare nella collettività o a vegetare); l'eventuale tesaurizzazione (ritorno della
speculazione) in certe collettività e a certi livelli (i dirigenti costituivano l'embrione di una nuova
classe?). A mio avviso se nelle collettività agricole i ricchi subirono un cambiamento di condizione
ciò fu
possibile solo finché la C.N.T. e l'U.G.T. restarono unite e finché il P.C.E. creò una sezione
dell'U.G.T. (dominata dal P.C.E.) che proteggeva i ricchi e i nemici dell'autogestione. Nelle città
i ricchi furono poco colpiti. Per quel che riguarda il secondo punto, penso che nelle collettività
agricole la maggior parte dei dirigenti fosse cosciente delle possibili deviazioni e stesse in
guardia, mentre le collettività industriali erano molto meno protette - anche se non mi è possibile
fornire alcuna percentuale. Si può notare che gli scambi basati sul baratto sono ancora in vigore (nella
maggior parte dei casi
fra i paesi dell'est e quelli dell'ovest) e che se gli anarcosindacalisti avessero potuto mettere a
punto il loro sistema (vedi l'esempio del progetto monetario) esso avrebbe potuto funzionare. Al
contrario resta un punto oscuro quello del campione, della stima basata sulla peseta, forzatamente
soggetta all'inflazione e dipendente dalla banca. Io non sono a conoscenza di un tentativo di
stabilire gli scambi su un'altra base di calcolo (l'ora di lavoro di una collettività agricola in una
certa regione; dei dati prefissati come il pane, il latte e la carne). Il domani dev'essere ancora
esplorato.
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