Rivista Anarchica Online
Il dominio e l'autogestione
di Franco Bunçuga
È un concetto abbastanza acquisito che la ricerca di un nuovo assetto sul territorio è sempre la
ricerca di una nuova forma fisica di dominio in una sua fase di formazione o di consolidamento.
O meglio è anche questo oltre ad un insieme di spinte più o meno complesse e spontanee di
gruppi e forze che cercano un loro equilibrio globale con l'ambiente nella sua accezione più
vasta. Vari livelli dunque di controllo e di gestione del territorio coesistono e sono sempre
coesistiti nelle loro componenti territoriali più varie coi loro canali e reti, flussi e dinamiche di
rapporto. Tendenza di ogni sistema di dominio è quella di darsi una propria visione globale del mondo
e
ridurre la complessità della dinamica del reale in uno schema funzionale alla propria
conservazione ed alla realizzazione dei propri fini. Ci troviamo dinnanzi al sorgere in questo periodo
dell'interesse del grande pubblico per
l'ecologia, per le dimensioni di scala, per le tecnologie alternative (non a caso balzate
improvvisamente all'attualità dopo la crisi energetica). La cultura occidentale sente da tempo
l'esigenza di una rifondazione della concezione urbana di fronte al configurarsi di un controllo
della natura che sta per divenire totale attraverso la rivoluzione industriale. Questa esigenza di un nuovo rapporto
tra l'individuo ed il proprio ambiente fisico è nata anche da
un'evidenza drammatica portata dalle estreme conseguenze dell'affermarsi delle società ad alto
sviluppo tecnologico: la tendenza ad un'urbanizzazione a livello planetario. Il nuovo sfruttamento
delle risorse ambientali mondiali crea la "Megalopoli" l'urbanizzazione a scala regionale, la fine
della divisione netta tra costruito e territorio. Per la prima volta l'uomo si trova di fronte alla
necessità di pianificare nel tempo il proprio rapporto con la natura, a porsi un problema di
equilibrio a scala planetaria tra le risorse, il consumo, il territorio e la popolazione. Ma la visione globale attuale
del mondo si rivela un cappotto troppo stretto per l'umanità nuova
che è stata formata dai mass-media e dal mito di un benessere in crescita graduale ma continua e
che esige il livello di consumo che gli era stato promesso. Questa situazione che stava divenendo
esplosiva per il sistema di dominio ha forzatamente portato alla ricerca frenetica di una nuova
forma di organizzazione globale del dominio. Punti di forza di questa nuova strategia sono oggi la gestione della
crisi energetica e del
passaggio da una "società dello spreco" ad una "società della penuria organizzata" e la
"medioevalizzazione" dei rapporti sociali. Anche nel Medioevo esisteva il problema di dividere le risorse
limitate in rapporto agli strumenti
di produzione e la facilità del verificarsi di grosse crisi incontrollabili. I pochi signori gestivano il
sovrappiù della produzione che non era in realtà per motivi
contingenti socializzabile. Il potere aveva un'alta intensità e concentrazione ma non poteva dominare
capillarmente il
territorio. La periferia del sistema era dunque relativamente autosufficiente e poteva darsi forme
autogestionali soprattutto di mutuo appoggio. Ma la libertà era fittizia perché tenuta ad un livello
ben preciso e controllabile dal potere centrale attraverso i tributi e le servitù. Tutto poteva essere gestito
dal basso: tranne i nodi reali del potere attraverso le sue forme: le
gerarchie nobiliari e religiose. In una situazione di debolezza il potere si arrocca nei suoi "castelli"
abbandonando il controllo
capillare della sua periferia ma aumentando la intensità dell'esercizio del dominio e la sua
violenza. Anche oggi la "periferia del dominio" è difficilmente controllabile, il consenso traballa, la
capillarità del controllo si rivela impossibile, il benessere consumistico per tutti in una visione
planetaria è una utopia indifendibile: nuove forze a livello internazionale si stanno coagulando.
Bisogna abbandonare la periferia, ma evitando passaggi traumatici e conservando almeno i
capisaldi fondamentali per assicurarsene il dominio nel tempo.
Città e territorio - Centro e periferia
La città è sempre stata la forma fisica principale del dominio sul territorio, il luogo dello
sfruttamento per eccellenza ma anche il luogo privilegiato della "cultura", un luogo di
alienazione ma contemporaneamente di libertà per tutta una serie di fasce "marginali richiamate
dall'alta concentrazione delle attività e della possibilità di una vita pseudo-parassitaria al di fuori
delle strutture produttive. Un'entità contraddittoria dunque, la cui funzione già dalla nascita si
rivela ambigua. La città si conforma come il centro dello sfruttamento del suo territorio, il luogo di
accentramento e di decodificazione dei flussi di informazione, il vertice di una gerarchia
territoriale i cui livelli vengono definiti principalmente dalla capacità sempre crescente di
controllare le dinamiche di gestione sempre più complesse delle varie attività sparse sul
territorio. La metropoli come centro si trova a gestire informazioni ricchissime e sulla sua capacità di
decodificazione e di renderle finalizzate al dominio gioca la propria sopravvivenza. A questo punto il territorio
diviene luogo di prelievo delle informazioni, l'elaborazione compete
ad un centro e la crescita della teoria di queste elaborazioni si basa sullo scambio con altri centri
a pari livello, il territorio ridiventa poi il luogo in cui riversare l'output sotto forma di cultura e
organizzazione del dominio. La città è divenuta metropoli e la sua forma e dinamica interna di
sviluppo sempre più
indifferente alla sua gestione "politica". L'omogeneità formale fondamentale di tutte le metropoli
a scala planetaria denunciano l'impossibilità per qualunque forma di dominio attuale di
differenziarsi nelle sue scelte fondamentali. Per superare la dualità città-territorio, pericolosa
per il sistema in quanto concentra in uno spazio
limitato gran parte delle contraddizioni sociali, creandone anche di nuove, bisogna "ruralizzare la
città e urbanizzare la campagna", creare cioè dei nuovi sottosistemi autosufficienti in maniera
fittizia, creare sempre più legami di partecipazione a livelli di base gerendone il controllo a livelli
superiori per spezzare le spinte individuali, eliminare l'emarginazione dei ghetti che vanno
componendo sempre di più la struttura urbana, e rendere la condizione di ghettizzato gratificante
nel vissuto quotidiano: comitati di quartiere, organismi di base, cultura popolare, servizi sociali,
ma sempre filtrata dal consenso dei centri di potere reale. Creare ruoli fittizi di partecipazione in livelli che il
sistema deve abbandonare per dedicarsi allo
sviluppo qualitativo della propria forma di dominio. Kropotkin parlava di integrazione città campagna
ed illustrava delle vie possibili, anche
tecnicamente, per raggiungere sul territorio un equilibrio tra la produzione ed il consumo. Oggi sono le acciaierie
tedesche ad usare il suo suggerimento di utilizzare l'acqua calda residua
della lavorazione in una rete di tubi sotterranei per riscaldare il terreno per la coltivazione in
serra. Kropotkin immaginava che la sua struttura territoriale nascesse dal basso dandosi forme via via
più complesse: ma la stessa struttura, se imposta dall'alto può rivelarsi una nuova sottile forma di
controllo. Non dimentichiamoci che il "New Deal" negli Stati Uniti fu gestito dal sistema in un momento di
crisi, per un salto di qualità delle forme di dominio e per assurdo utilizzando i migliori "cervelli"
della sinistra: e che uno dei suoi capisaldi fondamentali fu la concezione di un nuovo sistema di
controllo del territorio ad una scala più vasta (pensiamo al significato della sistemazione della
valle del Tennessee). Il sistema di dominio ha bisogno di un tessuto territoriale indifferenziato formato da
sottosistemi/ghetto che abbiano tra loro il minimo di relazioni, siano in sé conclusi e che
rimandino per elaborazioni a scala più complessa di centri esterni sempre più gerarchizzati e
lontani. La città tende a perdere la sua configurazione di centro del dominio sul territorio e divenire uno
dei livelli della piramide gerarchica della struttura di controllo. I nodi superiori di controllo
diventano indifferenti al territorio e ad un luogo fisico definito, il territorio tende a divenire una
rete di servizi su cui posare indifferentemente le attività. I gradi di libertà del sistema
apparentemente aumentano assieme alla frantumazione del potere di
gestione capillare del territorio. In realtà il dominio si fortifica arroccandosi in centri sempre più
indefinibili e lontani dal controllo della base, inattaccabili con i sistemi di lotta tradizionali.
Il piano di distribuzione territoriale del dominio
I "sistemi organizzativi" non possono continuare a crescere in dimensione, è più interessante
oggi
frammentare e diversificare le strutture in sottosistemi parzialmente autosufficienti ma diretti nei
loro sistemi di relazioni da centrali sempre più eterizzate che esercitino un controllo basato più
sul coordinamento e l'imposizione delle finalità generalizzate che sulla gestione
diretta. L'inamovibilità progressiva degli strati sociali e la sclerotizzazione dei ruoli all'interno del
sistema produttivo denunciano l'interesse a legare le classi produttive al loro territorio, a creare
livelli di partecipazione al sociale che diventino sempre più definiti ed inamovibili, dunque
programmabili e controllabili. Il sistema produttivo tende a rivolgersi alla produzione di beni fittizi
perché ciò che diviene
sempre più importante non è più la merce come nel periodo "industriale" ma il
mantenimento
delle "condizioni di produzione" di questa merce. È indifferente cosa si produce, importante è
il processo del produrre ed i meccanismi di
imposizione del consumo. Beninteso per quanto riguarda i beni di più largo consumo. L'alta tecnologia,
l'informatica ed il
settore nucleare ed energetico sono un altro discorso in quanto produttori non di beni ma di
dominio. Utilizzando lo spauracchio della crisi energetica si tendono a militarizzare
progressivamente tutte le produzioni indispensabili al mantenimento del potere ed al controllo
del territorio circostante. Il consumo di beni fittizi e la creazione del loro bisogno serve solo al consenso ed alla
produzione di un surplus di capitale da destinare ai settori chiave. L'autogestione all'interno dei ghetti è
auspicabile per la struttura di dominio: l'impegno nel
particolare lascia gestire ad altri livelli, completamente incomprensibili, le informazioni, i
rapporti, la conoscenza del reale nel suo insieme. Il piano di distribuzione territoriale del dominio in questa fase
tende a divenire sempre più
complesso ed in alcuni punti apparentemente fortemente contraddittorio. Necessità di gerarchizzazione
delle funzioni territoriali, sfruttamento del territorio da parte delle
zone metropolitane tra le quali vige a scala planetaria uno scambio omogeneo di informazioni ed
una crescita tecnologica similare, divisione internazionale delle attività produttive, forte potere
centrale accentratore delle grosse scelte economiche e politiche, e contemporaneamente
autogestione della base all'interno delle produzioni locali strettamente integrate al territorio. I centri del dominio
hanno abbandonato la periferia del sistema per arroccarsi prima nelle città,
dopo essersi garantiti il dominio del territorio e l'interiorizzazione del consenso, poi in alcune
parti privilegiate della città ed in alcuni nodi fondamentali di potere, oggi sembrano essersi
ritirati ulteriormente, ma non sono più fisicamente reperibili, non hanno alcun legame col
territorio o con organizzazioni chiaramente definibili. Il potere si è spogliato di tutte le sue
sovrastrutture e tende a divenire pura capacità di dominio, in mano a gruppi sempre più ristretti e
meno riconoscibili.
Interiorizzazione del dominio
L'esigenza di abbandonare la periferia del dominio non vuol dire una perdita di controllo in
queste frange ma il cambiamento delle forme in cui si esplica. La creazione del consenso si basa
sull'interiorizzazione del dominio, bisogna imporre uno
schema razionale al reale ed imporre questa visione parziale del mondo come l'unica realtà
possibile; prefigurare il futuro e descriverlo come inevitabile è già una forma di controllo sociale
preventivo. Via via che il sistema di dominio si ritira dalle frange periferiche per ritirarsi su livelli sempre
più
alti di gestione del reale deve garantirsi di lasciare le forme di dominio interiorizzate negli
individui e nei gruppi sociali al cui controllo diretto è obbligato a rinunciare. Deve creare uno
sdoppiamento di ogni forma di gestione sociale e di ogni disciplina in "reale" e
"fittizia" o in diverse gradazioni d'uso: lasciare gestire i livelli più bassi con una libertà "fittizia"
sempre più ampia garantendosi solo il controllo delle grandi scelte. La creazione di spazi di sfogo
interni al sistema che siano anche in aperta contraddizione e tendano ad autoelidersi ed a
mantenere una situazione di equilibrio relativo anche se fortemente instabile: bisogna
"liberalizzare" tutto, la droga, i rapporti sociali, il sesso, la religione, la stampa, qualunque forma
di espressione, anche la più aberrante e renderla istituzionalizzata. Nella gestione accurata della
società dello spettacolo siamo tutti falsi attori e non riusciamo più a
distinguere le motivazioni reali del nostro comportamento, ci identifichiamo con l'attore sociale
descritto dai mass-media, la realtà del nostro vissuto quotidiano tende a coincidere con quella
della televisione. In presenza dei mille segnali che ci derivano dalla complessità della realtà che
ci circonda rispondiamo solo a quelli che ci hanno insegnato a leggere come positivi, gli altri
vengono repressi e pagati in nevrosi e paranoie incontrollabili. L'insicurezza dell'individuo è
programmata per costringere alla partecipazione cogestionale, in presenza di una tensione
continua l'individuo è più facilmente pilotabile.
L'informazione ed i canali di dominio
Solo l'alta concentrazione delle informazioni e la sua centralizzazione nei nodi del dominio può
permettere una gestione efficace del territorio. La minoranza in possesso degli strumenti di decodificazione delle
informazioni ha gli elementi
necessari alle scelte fondamentali all'interno del sistema. Chi non è in possesso delle
informazioni reali viene piegato al consenso con i mass-media e le false informazioni già mediate
dal gruppo dominante. Affidarsi alle comunicazioni che si pongono come un apparente decentramento delle
informazioni piuttosto che alle realizzazioni interpersonali ed allo spostamento in realtà
centralizza i flussi di informazioni in centrali sempre più incontrollabili dall'utente e mette in
mano a minoranze il controllo della dinamica degli scambi sociali. Troppe informazioni corrisponde a nessuna
informazione. Per poter utilizzare la complessità
delle informazioni che servono al dominio fondamentale è la condensazione della complessità
dei messaggi a pochi (relativamente) significanti e utilizzabili da parte di minoranze gestionali. Per poter filtrare
i messaggi derivanti del reale ed ottenere un output soddisfacente non basta
agire solamente sulla precisione degli strumenti di analisi, bisogna preventivamente anche agire
sull'input. L'informazione in entrata deve essere resa compatibile al meccanismo che la deve decodificare,
una volta creati gli strumenti di analisi della realtà bisogna adeguare la realtà agli strumenti,
essendo questi non neutrali ma finalizzati al dominio. Il messaggio in uscita dunque dal processo
di elaborazione deve prospettare e tendere a pilotare quello in entrata. Il meccanismo è
autoregolante. A questo servono i mass-media, non ad informare, ma a creare le informazioni, a selezionare le
informazioni compatibili al processo di creazione di una visione del mondo finale al dominio:
uno strumento fittizio di informazione. Le informazioni reali sono gestite ad altri livelli e con altri
strumenti.
L'alternativa possibile, i nodi da distruggere
Di fronte al configurarsi di una struttura di dominio così complessa ed in cerca di una forma
planetaria di controllo, quale può essere la nostra strategia intermedia per il raggiungimento di
una società libera basata sull'autogestione e la partecipazione reale? Lottiamo per appropriarci dei centri
del dominio e delle sue strutture e cerchiamo di gestire le sue
potenzialità per il benessere generale? Ma ciò non è possibile perché abbiamo detto
che questa
struttura è nata appunto dalla impossibilità del benessere generale ed ha necessariamente portato
alla progressiva cristallizzazione dei privilegi. Distruggiamo completamente tutto il sistema di dominio esistente,
ma ricordiamoci che in questo
caso la soluzione immediatamente più funzionale per garantire la sopravvivenza dell'idea e del
gruppo che la esprime deve essere necessariamente molto simile a quella alla Pol Pot,
eliminazione delle grandi strutture territoriali preesistenti, delle città, ruralizzazione forzata,
creazione di comuni di lavoro, riciclaggio degli ex-parassiti, mobilitazione continua delle forze
rivoluzionarie per la stabilizzazione interna. Questo se consideriamo che, in una fase intermedia,
portatrice di un progetto rivoluzionario può essere solo una minoranza. Oppure non attacchiamo
direttamente i centri della struttura di dominio e difendiamo il nostro
potere periferico fortificandolo, in previsione di uno scontro futuro - ma ricordiamoci che questa
fase di vuoto di potere del dominio nella sua periferia è tattica e provvisoria e l'elaborazione di
nuove forme di controllo può crescere fortemente nel tempo e raggiungere livelli irraggiungibili
in momenti in cui il movimento è chiuso in se stesso nella propria autodefinizione. Dobbiamo forse
allora arroccarci in "santuari" che rappresentino la "faccia negativa dello stato" e
saltare per il momento una fase intermedia di definizione all'interno del movimento e lasciare la
base indietro seguendo le nuove forme più avanzate di controllo del dominio rispondendo colpo
su colpo e, non dando tregua, inseguirle gradino per gradino. Ma attenti, non rischiamo forse d'arrivare
così in alto da assomigliare più a chi seguiamo che alla
base di cui siamo stati espressione? Nelle forme storicamente realizzate di autogestione alcuni
punti comuni balzano all'occhio: la presenza di un vuoto di potere nelle strutture centrali di
coordinamento della lotta in un primo tempo, che si trovano a dover tener conto ed in un certo
senso sopportare le spinte autonome ed autogestionali periferiche, ed una seconda fase in cui le
strutture autogestionali non riescono a fare un salto di dimensione dall'interno che gli permetta la
creazione di strutture di coordinamento valide a scala territoriale più vasta in tempi brevi, ad una
appropriazione dall'esterno del movimento da parte di strutture parallele create dall'alto, dalle
organizzazioni centrali di gestione del potere politico. Manca l'anello di congiunzione tra la base autogestionaria
e la dirigenza rivoluzionaria perché in
realtà i due gruppi sono sempre nati in maniera diversa ed hanno espresso esigenze diverse e
contrastanti pur se interne allo stesso progetto rivoluzionario. Il problema fondamentale dunque sia in presenza
di un momento rivoluzionario che in un
momento di lotta all'interno di una struttura di dominio consolidata ma in forte crisi nella sua
periferia è quello della realizzazione di una struttura di coordinamento tra le comunità autonome
di base centrate sulla autogestione ed i livelli più complessi di organizzazione resi necessari dalla
gestione globale del territorio su scala più vasta. Gestire, anche con forme autonome, la periferia del
dominio lasciata libera dal potere, può voler
dire scavare la fossa al movimento nel suo insieme, costruire e perfezionare il proprio ghetto,
lasciando il respiro ed il tempo necessario in questo momento al sistema di dominio di
configurarsi in nuove strutture e di paracadutare dall'alto una struttura parallela di dominio
falsamente partecipativa sulle strutture in formazione dal basso.
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