Rivista Anarchica Online
Tra repressione e garantismo
di Paolo Finzi
Chiariamo subito: io ho qualcosa da dire in quanto difensore del 21 dicembre e non certo del 7
aprile.
Gabriele Fuga, anarchico, avvocato difensore in numerosi processi politici degli ultimi anni, ci tiene molto a
sottolineare il suo netto dissenso con la gestione politica che quasi tutti gli imputati (Negri in testa) ed i loro
avvocati del 7 aprile hanno attuato. Per quel che riguarda l'operazione repressiva del 21 dicembre, invece, Fuga
ha assunto la difesa di quattro imputati (Cavallina, Marelli, Strano, Zinga) e fa parte del collegio di difesa.
Perché
questa differenza tra 7 aprile e 21 dicembre? Non si tratta solo di due tappe successive del medesimo disegno
repressivo? Io mi sono trovato subito in disaccordo con la gestione politica della vicenda 7 aprile
- risponde Fuga - e
questo disaccordo verteva soprattutto sul comportamento degli imputati che (escluso Scalzone) avevano
ritenuto di ribaltare l'accusa con delle difese convincenti, come se bastasse convincere i giudici per poter
uscire fuori, mentre evidentemente il disegno generale politico si basava proprio sulla detenzione degli
imputati. Sono inoltre convinto che se gli imputati si fossero comportati correttamente, dopo uno o due mesi
la cosa si sarebbe sgonfiata perché l'accusa sarebbe stata costretta a tirar fuori quelle prove che non aveva.
Accettando invece di rispondere, gli imputati hanno dato fiato alle accuse, hanno fornito la possibilità di
effettuare riscontri dalle testimonianze, ecc.. Basti qui l'esempio gravissimo nell'aver fornito l'indicazione
dell'archivio di Potere Operaio depositato presso l'Istituto Feltrinelli: perché a fornire agli inquirenti una
simile indicazione, che non poteva non essere ritorta contro gli imputati - cosa che è puntualmente avvenuta
nonostante si tratti di documentazione "tranquilla", ma che nella loro ottica e nella loro interpretazione
doveva inevitabilmente ritorcersi contro gli imputati? Insomma già il comportamento degli imputati mi aveva
fatto capire che non potevo entrare nella difesa del 7 aprile. Il fatto poi che tutto fosse incentrato intorno ai
"big" e soprattutto che si dovesse far quadrato innanzi tutto intorno a Negri, mentre gli stracci potevano
anche volare, mi ha ulteriormente rafforzato nella mia convinzione. Per quel che riguarda il 21 dicembre Fuga
coglie due differenze significative, che lo hanno invece spinto ad accettare la difesa di alcuni imputati: innanzi
tutto la natura del processo (basato su di una criminalizzazione sulla base di fatti specifici addebitati, e non solo
sulla base di idee) e poi soprattutto il comportamento di alcuni imputati che giudica corretto. Gli chiedo di
chiarire questo concetto: che cosa intende per corretta gestione politica di un processo? E attraverso
quali comportamenti si esprime oggi questa correttezza? Fuga parte da una lunga ma necessaria premessa sul
funzionamento della giustizia e mette in luce la natura completamente diversa della fase istruttoria e di quella
dibattimentale (cioè, il momento del processo). Nella prima fase (quelle istruttoria) l'imputato e la difesa
non
hanno alcuna possibilità di controllo sull'operato degli inquirenti, mentre nella fase successiva (quella
dibattimentale) la difesa ha possibilità di controllo delle fonti di prova, di contraddittorio con i testimoni,
ecc..
Io e altri avvocati - chiarisce Fuga - riteniamo che il comportamento più corretto oggi,
soprattutto di fronte
ad accuse varie, complicate e fumose (come sono quelle di "banda armata" e di "associazione sovversiva"),
sia quello di non bruciare assolutamente le mosse della difesa nella fase istruttoria, anche se questo comporta
carcerazione. Questo perché non possiamo sapere che uso verrà fatto delle risposte agli interrogatori,
dell'induzione di testimoni e delle altre mosse della difesa. A questo proposito Fuga cita l'esempio di Pozzi,
il
testimone che Negri ha voluto fosse ascoltato subito a conferma del fatto che il giorno della famosa telefonata
(da Roma) a casa Moro lui era a Milano. Pozzi ha confermato l'alibi di Negri, ma il fatto di essere rimasto in balia
dei giudici romani, e quindi di aver dovuto rispondere a domande fatte appositamente in un certo modo,
unitamente a qualche sua incertezza, hanno fatto sì che nel rinvio a giudizio Guasco abbia già potuto
ritenere
inattendibile la sua testimonianza. Fuga sottolinea che, nel nostro ordinamento giudiziario, mentre l'imputato
può
(perché è direttamente interessato) chiarire aspetti non compresi in una domanda e allargare il
discorso come
meglio ritiene, al testimone (giudicato unicamente "specchio della verità" e quindi privo di interesse nella
causa
di fatto) tutto ciò non è concesso: egli deve solo rispondere alle domande che gli vengono rivolte
e non ha diritto
di spaziare oltre. Ecco quindi che Pozzi, testimone indotto dalla difesa, una volta lasciato in balia dei giudici dalla
scelta difensiva di farlo intervenire nella fase istruttoria, viene usato dalla magistratura a suo piacimento.
Ecco
perché - ribadisce Fuga- ritengo corretto in questo tipo di processi non rispondere e non
portare testimoni
nella fase istruttoria: tutto verrebbe infatti stravolto e non si avrebbe più alcun controllo di quel che viene
fatto. A tutto ciò è necessario opporre questo comportamento: tacere, respingere ogni addebito
proclamandosi
innocenti, chiedere il processo subito. Visto che l'unico momento di una certa "garanzia" è quello del
processo (fase dibattimentale), tutte le nostre richieste devono tendere al momento pubblico del processo.
Il discorso cade inevitabilmente sul garantismo. Fuga distingue innanzi tutto tra due possibili significati del
termine: se per garantismo intendiamo rispetto dell'uomo e del vivere sociale, ebbene noi anarchici sappiamo
che questo non può certo darcelo lo stato, perché esso, in quanto struttura organizzata sopra gli
uomini, non
potrà mai rispettare le diverse individualità degli uomini. L'interpretazione corrente del termine
garantismo
fa riferimento invece alle regole democratiche che lo stato si dà e che appunto dovrebbe rispettare: ma questo
come anarchico non può interessarmi, dal momento che il mio obiettivo non è certo quello di avere
uno stato
garantista. Come avvocato, comunque, non posso che constatare che oggi lo stato non è nemmeno in grado
di rispettare quelle regole che lui stesso si è dato. In ogni caso da parte mia non vi è alcuna
lamentela, nessun
pianto perché lo stato oggi non è più garantista: da un punto di vista politico uno stato
garantista sarebbe
forse più pericoloso di uno stato non-garantista. Un fatto fondamentale che Fuga mette in
risalto è la presenza di magistrati vicini al P.C.I. in tutte le inchieste
sull'area dell'autonomia. Non certo in quelle sulle brigate rosse e su prima linea - precisa - dal
momento che
la lotta contro il "partito armato" è delegata completamente ai carabinieri del generale Dalla Chiesa. Ma
per quel che riguarda l'autonomia, la presenza della P.C.I. c'è e si avverte. Già nel '77 aveva suscitato
scalpore il fatto che contro gli autonomi si fosse mosso il giudice Catalanotti, filo-P.C.I., aderente a
Magistratura Democratica: e molti avevano pensato che si trattasse tutto sommato di un fatto "locale", dovuto
alla realtà di Bologna. Tre anni dopo, alla luce dei fatti (l'ultimo è stato la presenza dell'avvocato
comunista
Taristano accanto a Gentili quale difensore di Fioroni), l'interessamento del P.C.I. risulta come la
conseguenza della volontà di quel partito di combattere quell'area eterogenea, composita, non certo legata
da un unico progetto ma solo da un diffuso bisogno di ribellione che va sotto il nome di autonomia. Non è
dunque un caso nemmeno l'interessamento molto minore del P.C.I. rispetto alle brigate rosse, che io potrei
anche considerare abbastanza in linea con la politica del P.C.I., non certo tatticamente, ma dal punto di vista
strategico della conquista del potere. In questa situazione il P.C.I., non potendosi fidare dei carabinieri e per
ora nemmeno di una polizia di cui mira ad avere il controllo, si affida a magistrati a lui vicini. Più in
generale, la novità che emerge dalle ultime vicende è che la magistratura non si muove più
sulla base di
rapporti di polizia, ma autonomamente per motivi politici. In questo contesto si è realizzata una delle
richieste tradizionali dei garantisti: oggi infatti la polizia (e i carabinieri) tendono a muoversi sempre più
come polizia giudiziaria, nell'ambito cioè dei compiti e dei limiti fissati dalla magistratura. Non è
più la
polizia a "stimolare" la magistratura, bensì quest'ultima che, facendo propria la visione globale
dell'autonomia propria del P.C.I., incarica la polizia giudiziaria a produrre determinati elementi. Nel caso
Fioroni, poi, siamo addirittura al rapporto diretto Fioroni-magistratura, senza finora che siano stati
contestati (se non genericamente) dei rapporti di polizia, tendenti ad accertare la veridicità di quanto
affermato da Fioroni. Delle norme repressive approvate dal consiglio dei ministri il 15 dicembre scorso
(nel decennale dell'assassinio
di Pinelli!) e poi sottoposte all'approvazione delle camere si è parlato abbastanza nelle ultime settimane. Il
fatto
più grave è indubbiamente quello che, nonostante i loro effetti liberticidi, non abbiano incontrato
alcuna
significativa opposizione. Chiedo a Fuga di metterne in luce gli aspetti "innovativi": mi risponde che i
provvedimenti nel loro complesso non sono che un'ulteriore passo nella codificazione di una tendenza ed i
comportamenti sempre più diffusi di polizia e magistratura. Su tre provvedimenti si accentra l'attenzione di
Fuga:
innanzi tutto sulla legge dell'infamia (o legge Fioroni, come è stata ribattezzata non a caso) che riduce del
50%
la pena a chi collabora con l'autorità. Fuga ricorda che anche in passato vi è stato un comportamento
favorevole
verso chi cantava da parte di polizia e magistratura e che già da un po' è in vigore una norma simile
per chi è
coinvolto i sequestri di persona e se ne dissocia. Ma la nuova norma appare in tutta la sua gravità se se ne
vedono
i risvolti pratici, come nel caso Fioroni. Il secondo provvedimento che Fuga indica per la sua gravità
è quello che
stabilisce la retroattività della norma sul prolungamento della carcerazione preventiva: dal momento che la
carcerazione preventiva, se pur formalmente procedurale, è di fatto (e tale è stata considerata
ripetutamente dalla
Cassazione) una norma penale, il fissarne la retroattività non sarebbe nemmeno concepibile. Infine Fuga cita
il
fermo di polizia, che autorizza la polizia a fermare per due giorni (prolungabili a quattro) chiunque
senza doverne
rendere conto a nessuno. E poiché molti casi (da quello Pinelli a quello dei giovani fermati per
l'assassinio
Torregiani) dimostrano che non si tratta solo di un potere coercitivo sulla libertà individuale, ma anche un
momento di violenza e anche di morte, c'è di che allarmarsi. E non ci vuole un grande sforzo per ritornare
con la memoria alle famose "retate di anarchici" che la polizia faceva in passato quando una personalità
importante veniva in visita alla città. Basterà che Pertini, o Lama, o Carter, o altri vengano a Milano
e che
la polizia lo giudichi opportuno, perché gli anarchici si ritrovino dentro per quattro giorni, in balia dei
poliziotti.
GENTILI E INFAMI
E' stato per anni un amico, del quale apprezzavamo - pur nella diversità ideale (lui religioso e socialista,
noi
anarchici) - la dedizione umana prima ancora che professionale alla causa del nostro compagno Pinelli. Lo
abbiamo invitato a parlare nei nostri meeting, lo abbiamo intervistato sulla nostra stampa. L'avvocato Marcello
Gentili, infatti, ha contribuito allo smascheramento non tanto degli assassini di Pino (ché il loro
comportamento
stesso li aveva bollati come tali), quanto di tutte quelle schifose operazioni attuate dalla magistratura per
insabbiare le indagini e per infangare la memoria del nostro compagno. E noi non dimentichiamo che quando le
autorità inaugurarono nel cortile della questura milanese un busto al commissario Calabresi (nel primo
anniversario della sua morte), fu lui l'unico ad elevare la sua pubblica protesta - a parte quella tragicamente
attuata da Gianfranco Bertoli con la sua bomba micidiale. Negli ultimi anni Gentili ha ritenuto di schierarsi
pubblicamente in prima fila nella lotta al "terrorismo",
ritrovandosi al fianco i nostri comuni avversari di prima. Ultimamente è ritornato all'onore delle cronache
quale
difensore di Carlo Fioroni e in tale veste ha assicurato la sua piena collaborazione alle autorità inquirenti.
Sono
scelte sue, che non ci interesserebbero più di tanto se non continuasse a circondarlo la fama, ripetuta in ogni
citazione del suo nome, di "avvocato del caso Pinelli". Procuratore della repubblica di Milano è oggi
quello stesso Gresti che decretò nel '75 che Pinelli non sarebbe
stato assassinato; fra i poliziotti ed i carabinieri con i quali Gentili intende collaborare forse troverà gli stessi
che
hanno assassinato Pinelli, comunque troverà i loro degni colleghi; più in generale, la magistratura
con cui oggi
collabora conserva le medesime caratteristiche di baldracca così efficacemente descritta nell'antologia di
Spoon
River (e Gentili quel brano l'ha letto anche sulla tomba di Pino, dov'è scolpito a epigrafe). Gentili faccia
pure come crede. Ma eviti di collegare la sua attività al nome di Pinelli, quasi a farsi scudo di questo
per quella. E' una questione di onestà.
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