Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 82
aprile 1980


Rivista Anarchica Online

Anarchia a Portland
di Marianne Enckell

Dal 17 al 24 febbraio si è tenuto a Portland (nello stato dell'Oregon, USA) il preannunciato Primo simposio internazionale sull'anarchismo, come è stato un po' pomposamente definito. Al simposio, organizzato dal Lewis and Clark College, hanno preso parte tra gli altri le compagne Rossella Di Leo (del Centro Studi Libertari "Pinelli" di Milano) e Marianne Enckell (del Centro Internazionale di Ricerche sull'Anarchismo di Ginevra). Appena rientrata in Europa, Marianne ci ha inviato un primo resoconto dei lavori del Simposio, che pubblichiamo in queste pagine.

Si sostiene che i nordamericani si trovino più a loro agio nel campo della prassi che in quello dei concetti. E le discussioni che hanno fatto seguito alla maggior parte delle conferenze in questa settimana colorata ed eteroclita non hanno smentito questo adagio: che fare, come fare, in che campo impegnarsi, da dove cominciare, femminismo, ecologia, comunità e cooperative, resistenza all'esercito, alle società transnazionali, alle tasse. L'idea e la realtà - la pratica dell'Utopia.
A New York, dove siamo passate sulla via per Portland, siamo andate a comprare dei libri alla libreria "Laissez-faire" e siamo rimaste stordite per la confusione, per il gran numero di pubblicazioni del "Partito Libertario" (Libertarian Party) e di quella corrente antistatale favorevole all'iniziativa privata, come ai vecchi tempi del capitalismo trionfante, che integra tutti i qualunquismi e punta alla conquista del governo per ridurre le prerogative economiche dello stato. Gli anarchici americani, ci domandavamo, si riconoscono proprio tutti in questo ultra-liberalismo?
La grande maggioranza dei partecipanti al Simposio, al contrario, ha preso nettamente le distanze da quelle posizioni. Certo la tradizione e l'esperienza sono molto differenti dalle nostre qui in Europa: non vi è in pratica alcun movimento organizzato, le lotte sono molto limitate e nel luogo e nella tematica, ci si indirizza perlopiù verso realizzazioni alternative (comuni, cliniche libere, scuole alternative, radio libere, giornali, giornali e giornali) e gli interventi specificatamente politici sono probabilmente meno spettacolari che da noi. Anche il clima del dibattito, soprattutto su un campus universitario in mezzo ai boschi era diverso da quello che ci aspettavamo: provate un po' a immaginarvi gente che ascolta senza interrompere quelli che parlano, che si passa il microfono con calma, che discute tranquillamente anche con quelli che dicono delle cazzate, e ciascuno può terminare il suo discorso... eppure si trattava, proprio, in gran parte di compagni!
La maggioranza delle conferenze ha affrontato argomenti storici. Vi è stata una giornata dedicata a Bakunin, nel corso della quale Arthur Lenhing ha fatto il punto brillantemente sulla questione Marx/Bakunin e ha validamente contrastato le interpretazioni poco convincenti e le approssimazioni di alcuni oratori pretenziosi. Vi è stata poi una giornata italo-americana, nel corso della quale Bob D'Attilio ha fatto rivivere il mito di Sacco e Vanzetti quale ancora presente nell'immaginazione popolare e nel film di Montaldo: inutile ripetere che erano un povero pescivendolo e un bravo operaio per dire che erano innocenti; la sua conferenza, illustrata da un'interessante serie di diapositive, è stata seguita da una relazione sul periodico La questione sociale di Paterson, da un'altra sulle avventure americane di Ciancabilla e da un canto d'amore dedicato a Bruno Misefari e alla Calabria da un poeta calabrese esule a Portland....
Non poteva mancare, naturalmente, la Spagna. Carlos Otero e Arthur Lenhing, dopo la proiezione di un film retorico sulla C.N.T. del '37/'38 (La volontà del popolo), sono stati protagonisti di un dibattito troppo rapido su guerra e/o la rivoluzione, partecipazione al governo, F.A.I. e C.N.T.. Martha Ackelsberg ha parlato del ruolo delle donne nella rivoluzione spagnola, sulla base di una serie di interviste realizzate recentemente in Spagna e in Francia, dopo aver brillantemente riassunto la situazione del movimento anarchico di quell'epoca, le modalità con le quali si erano superati i possibili conflitti tra spontaneità e organizzazione (soffermandosi sul ruolo degli Ateneos, dei gruppi di affinità, dei periodici, della cultura) e le principali realizzazioni in tema di salari e di condizioni di lavoro. Burnet Bolloten, autore delle prime opere lucide sulla guerra e la rivoluzione spagnola (tra le quali The grand camouflage) che da quarant'anni non fa altro che scrivere e riscrivere questo libro, ha parlato dei dilemmi che la guerra civile ha posto innanzi agli anarchici: "per sopravvivere in una situazione di guerra civile - ha affermato Bolloten - gli anarchici dovevano partecipare alla lotta per il potere; ma così facendo essi erano obbligati a dimenticare i loro principi e quindi a perdere la rivoluzione". Lenhing ha proposto un'interpretazione leggermente differente: "la reazione al pronunciamento è stata la rivoluzione sociale, ed è stata proprio la partecipazione al governo che ha assicurato la priorità alla guerra e alla militarizzazione". Il pubblico intanto, cercava soprattutto di trarre degli insegnamenti per l'oggi.
Quasi tutti i pomeriggi dei gruppi di affinità si riunivano davanti ad un triste hamburger ed ad un succo di frutta inqualificabile, per discutere di autogestione, vita quotidiana, prigioni, omosessualità, antimilitarismo, e per organizzare e coordinare delle attività.
Un folto pubblico ha partecipato alle tre principali tavole rotonde. La più vivace ha avuto per tema "Anarchismo e femminismo": io e Rossella abbiamo commesso un errore e creato un incidente, poiché Rossella non se l'è sentita di intervenire per paura di non saper esprimere le sue critiche in un inglese comprensibile, e noi allora abbiamo invitato Stephen Schecter, il quale ha parlato delle ripercussioni del femminismo sugli uomini, ma è stato subito rifiutato dalle più accese. La massima affluenza ed il massimo successo hanno riscosso Ursula Le Guin e due altri scrittori, sul tema "Anarchismo e letteratura". La tavola rotonda più intellettuale ha avuto luogo l'ultimo giorno sul tema "Anarchismo e cinema". Avremo occasione di riparlarne.
Bisognerebbe citare ancora le proiezioni di films (in particolare La Patagonia rebelde e il documentario sugli anarchici ebrei negli Stati Uniti The Free Voice of Labour), i concerti di musica contemporanea e anarco-punk, le splendide relazioni storiche di Paul Avrich su James Joyce, Bernard Shaw, Man Ray e di altri artisti influenzate da Benjamin Tucker e da Emma Goldman, la conferenza appassionata ma difficile da seguirsi (siamo in attesa della sua pubblicazione!) di Carlos Otero su linguistica e razionalità, quella di Joel Spring sull'intervento statale nel sistema scolastico americano... troppe tematiche, troppe giornate composite, scarso il filo conduttore ma in complesso, almeno sul piano culturale un bilancio piuttosto positivo, con numerosi contatti e nuovi campi di indagine.

Incontro ravvicinato con U. Le Guin

Il suo libro più conosciuto, I reietti dell'altro pianeta, ha entusiasmato tanti compagni, ed è già un "classico" della letteratura libertaria. E noi, che sapevamo di trovarla qui a Portland, non ce la siamo lasciata scappare. Naturalmente il discorso con Ursula Le Guin non poteva iniziare che da I reietti.
Al centro di questo libro - ci dice Ursula - c'è una piccola comunità di persone, gli odoniani: questo nome deriva dalla fondatrice della loro società, Odo, che era vissuta molte generazioni prima dell'epoca narrata nel romanzo e che non interviene se non implicitamente - dal momento che al centro di tutta l'azione vi è lei. L'odonianesimo è l'anarchismo, non però quello con-la-bomba-pronta, che io definirei comunque terrorismo, né quello del libertarismo economico di matrice darwinista, che è di estrema destra, ma l'anarchismo quale prefigurato dall'antica scuola filosofica Tao e successivamente espresso da Shelley e da Kropotkin, dalla Goldman e da Paul Goodman. Il primo nemico dell'anarchismo è lo stato autoritario, sia esso capitalista o socialista; il tema centrale della sua etica e della sua pratica è la cooperazione, il mutuo appoggio. È certo la teoria politica più idealista, e per me la più interessante. Farla vivere in un romanzo: non lo si era mai fatto e per me è stato un compito lungo e difficile, che mi ha assorbito per molti mesi.
Dal momento che il tuo romanzo descrive una società anarchica sulla luna, isolata, con poche risorse, senza governo ma dove la libertà e la creatività individuali sono drammaticamente limitate dalla pressione dell'opinione pubblica, forse vuol dimostrare che l'anarchismo è irrealizzabile?
Davvero ti sembra che sia così? Quando io ho concepito questo libro, non conoscevo nessun tentativo di metter per iscritto un'utopia anarchica, né un'utopia creata da una donna. Io ho cercato di dimostrare un ideale che a me sembra necessario, senza il quale non vi può essere progresso. È chiaro che a mio avviso questo ideale può essere realizzato in piccole comunità, mentre su scala nazionale vi sono tanti altri problemi. Io non voglio esprimere giudizi, tanto meno sul fatto se il movimento anarchico attuale costituisca una forma di realizzazione pratica di questo ideale: in una certa misura, penso proprio di sì.
Ma la società di Anarres non è forse ancora più oppressiva di quella in cui viviamo ora noi?
Che vuoi, le persone sono quelle che sono. Non si può lasciar scomparire semplicemente lo Stato e poi sfregarsi le mani e dire "è fatta!", senza che la generazione seguente non abbia da fare, non debba impegnarsi per costruire qualcosa ed evitare che lo Stato ritorni....
Quali sono state le tue fonti di ispirazione?
Kropotkin, soprattutto Il mutuo appoggio; gli anarco-sindacalisti; Paul Goodman, per quel che riguarda la gestione delle città; Murray Bookchin, per quel che riguarda le tecnologie dolci ed anche il suo modo di presentare l'anarchia come un'idea semplice, bella da immaginarsi; per quel che riguarda il funzionamento della società, mi sono ispirata ai kibbutz e alle collettività cinesi.
Hai citato Bookchin:secondo lui, è proprio la nostra società del benessere che più di altre rende possibile l'anarchia. Tu invece fai di Anarres una terra povera, al punto che la scarsità delle risorse provoca, per esempio, la censura (a causa della penuria di carta). Tu avresti potuto scrivere di un post-scarcity anarchism, cioè di una anarchismo in una società del benessere, senza penuria?
Non vedo perché non dovrebbe funzionare. La povertà di Anarres non costituisce un presupposto ideologico, serviva solo per semplificare le finalità dell'autore. Me la caverei anche nel descrivere questo contrasto semplice tra gli anarchici poveri ed i capitalisti ben pasciuti.
Nel ciclo dei romanzi di cui fa parte, I reietti dell'altro pianeta è uno dei pochi a situarsi in un'epoca che assomiglia alla nostra, con una vita quotidiana simile alla nostra, mentre quasi tutti gli altri libri sono quasi dei romanzi che si svolgono nel medio-evo, presso tribù straniere....
Anche questo è dovuto alla semplificazione, necessaria in un romanzo. Se avessi scritto "c'era una volta...", il lettore avrebbe potuto subito datare il libro: mentre quando è in ballo un grande tema, ci si deve concentrare su quello e basta. Per esempio, nel libro The left hand of darkness i personaggi sono androgeni e vivono in un regno tutto sommato familiare. Se li avessi posti in una società sperimentale come Anarres, tutto si sarebbe complicato. È necessario che i personaggi siano almeno un po' riconoscibili! I reietti è inoltre il più politico dei miei libri, e quindi anche il più satirico.
Alcune compagne si sono dispiaciute che il protagonista sia un uomo.
Non è stata una scelta deliberata. Shevek proviene dal mio inconscio: se è un uomo, che posso farci? Pensa poi che all'inizio io credevo che Odo, la fondatrice del movimento, fosse un uomo, e ciò per pura e semplice abitudine. È stato necessario che io la guardassi più da vicino, per accorgermi invece che era una donna. E se ora mi chiedete se per me vi sono rapporti tra l'androgenia e l'anarchia, io vi rispondo che vanno di pari passo.
Nel movimento anarchico molti apprezzano i tuoi libri e stasera, per esempio, quasi tutte le 300 persone presenti avevano I reietti in mano. Quali sono i tuoi rapporti con il movimento?
Dopo la pubblicazione di questo libro, molti mi hanno scritto. Tutto il lavoro precedente di ricerca e di comprensione io me l'ero fatto da sola. In questi tempi sto lavorando ad un progetto diverso. A volte mi sento un po' in colpa, ma non ho alcuna intenzione di mettermi al servizio di chicchessia. La mia vera vita è sulla carta, e quando vado a qualche manifestazione, tutto mi sembra un po' teatrale. E così, mentre durante la guerra del Vietnam io mi trovavo in Inghilterra, è stato duro per me non poter far niente, non firmar niente, non manifestare mai. E allora ho scritto un romanzo, The word for world is forest. Un libro sul Vietnam.