Rivista Anarchica Online
Medicina e potere
Cari compagni di A, Nel numero di maggio della rivista ho letto alcuni servizi
riguardanti salute e potere, entranti
nel merito di ospedali, personale infermieristico ecc., così mi è venuta l'idea di poter dare un
contributo su questi problemi, descrivendo alcune esperienze in merito a problemi di produzione
di farmaci, e al modo di far ricerca, in definitiva ad orientare ed a vendere la straboccante
produzione di farmaci nel nostro paese, come mezzo di consumo. Tutto questo come dicevo per
poter ampliare e conoscere un più vasto orizzonte in merito alle tematiche del Potere e della
Salute. Come si produce il farmaco in Italia? Nel nostro paese esistono e producono fra grandi e
piccole circa 250 industrie farmaceutiche
che danno lavoro a circa 20 mila persone. Queste industrie si rivolgono potenzialmente ad un
mercato interno di circa 55 milioni di possibili acquirenti. Come si può ben notare il rapporto
fra personale addetto alla ricerca-produzione-vendita di farmaci, ed il tessuto sociale è molto
elevato per cui la produzione commerciale del farmaco dà vendite estremamente elevate. Chi di
noi, non si ammala almeno una volta nella vita in questa società? Sinteticamente il meccanismo
di produzione è questo: ogni azienda di medie dimensioni (100-50) persone, (tutte le altre
al di sotto di tale dimensione
non producono farmaci mediante ricerche, ma copiano farmaci) hanno, dicevo, un ufficio
addetto alle ricerche di mercato che mediante indagini compiute girando ospedali, cliniche,
medici, indaga se esistono "spazi" in cui si possa in immettere un nuovo farmaco o specialità.
Tali indagini non partono da pazienti o dal sociale ma da ambiti ristretti, e partono dal concetto
che una ricerca deve essere necessariamente produttiva e deve mirare a vendere il farmaco,
costi quel che costi. Vi sono così malattie che hanno a disposizione una vasta gamma di
preparazioni medicinali e altre malattie che pur essendo presenti nel tessuto sociale non
vengono considerate, anche perché essendo pochi i portatori di questi malesseri, non conviene
commercialmente produrre farmaci che avranno una bassa produzione e quindi una bassa
vendita. Tanto per fare un esempio calzante, a mio figlio, affetto da spasticità, devo dare pillole
che gli levino durante la notte alcune piccole crisi epilettiche, ma che non risolvono il suo stato
di scoordinazione motoria. Tenete presente che in Italia abbiamo il più grosso ricettario
farmaceutico, in cui compaiono qualcosa come 16.000 specialità medicinali e ricordiamoci che i
principi attivi che hanno vera efficacia su cui si basa un farmaco in genere sono circa 220. Per
principio attivo si intende uno specifico meccanismo d'azione per cui, una volta somministrato
un farmaco a un paziente, tale farmaco produce una rigenerazione di alcuni tessuti, tale da
rimuovere parzialmente o totalmente la causa del malessere. Dall'indagine alla ricerca di qualcosa
di vecchio da rivestire a nuovo e presentabile in forma
diversa, il passo è breve. In altre parole, dopo aver individuato un "terreno malato" che offra
spazi di sicura vendita per un "nuovo-vecchio" farmaco, questi uffici di indagine passano la loro
informazione al settore ricerca il quale sintetizza il concetto dicendo ad esempio: nel settore
delle malattie di cuore si può immettere un nuovo farmaco, visto che esistono farmaci vecchi in
commercio, e visto che le malattie cardiache sono in aumento. A questo punto scatta il
meccanismo di ricerca: definito il campo di ricerca cardiaco, il tecnico ricercatore ha alcune
metodiche di lavoro, per cui somministrando ad un animale una sostanza x di cui si pensa che
possegga attività sul cuore, si possano quindi vederne le modificazioni cardiache. Ad esempio:
dando del calciocloruro in vena ad un ratto, ecco che il suo battito cardiaco si modifica, a
questo punto dopo un breve periodo gli si dà la sostanza x e si annota se queste modificazioni
scompaiono. Posto che la sostanza x abbia effetto si provvederà a sperimentare sulle persone
fisiche, dopo aver per fortuna fatto alcuni studi sulle tossicità latenti. A volte succede così, cari
compagni, che il farmaco che stanno somministrandovi in ospedale non si sappia esattamente
ancora se faccia bene o male e così si fa le cavie per il padrone del farmaco. Mi ricollego
e confermo quanto detto da Giuliana nell'articolo Le cattedrali della salute ("A" 74,
pag. 19). Una volta che in clinica il farmaco abbia dato qualche effetto, gli si dà un nome
facilmente ricordabile e via, si lancia il prodotto con tanto di campagna pubblicitaria, come le
macchine, farmaco nuovo per malattia sociale. Sono tantissime le diverse preparazioni
medicinali di pastiglie, fiale, supposte, sciroppi ecc. e tutte devono passare per una piccola
"fessura di mercato" che il medico, cioè colui che determina la vendita, prescrivendo di fatto il
farmaco. Questa "strettoia" viene unta e allargata con volantini, regali e sollecitazioni insomma
di tutti i generi onde ottenere l'effetto desiderato: la prescrizione. Tutto questo ben congegnato
meccanismo ha reso miliardi, molti troppi farmaci inutili sono
prodotti in Italia e per di più pensate che, essendo a carico delle mutue, siamo ancora noi
lavoratori che paghiamo le medicine in forma differita, tramite le trattenute in busta paga. Il
cosmofarmaco ha radici così profonde ed il medico ha un ascendente così forte sul malato che il
cerchio è praticamente eterno. Per descrivere più dettagliatamente l'intero universo
farmaceutico italiano non basterebbe un numero completo della rivista. Ho cercato di essere
sintetico, ciao e non ammalatevi mai.
Un lavoratore farmaceutico (Milano)
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