Rivista Anarchica Online
I signori del massacro
di Paolo Finzi
Orrore, sgomento, impotenza. E tanta rabbia. Alle prime notizie provenienti dalla stazione di
Bologna nella tarda, afosa mattinata di quel maledetto sabato 2 agosto tutti abbiamo reagito con
lo stesso ventaglio di sentimenti. Le urla, le prime ipotesi, lo strazio dei corpi, le immagini
televisive, la morte, quella morte: morte orribile di gente normale, di povera gente. Come sempre,
avvoltoi cinici ed esperti, le autorità hanno dato il via alla loro retorica, cercando
di tirar l'acqua al loro mulino, facendosi paladini ed interpreti del "dolore del Paese". Ma le
decine di bare assenti alla cerimonia funebre ufficiale, nonostante la regia del P.C.I. e la presenza
di Pertini, hanno dato una prima ferma e dignitosa risposta alla retorica di Stato. Ancora una
volta, inoltre, la solidarietà popolare è scattata senza attendere il permesso dei potenti, ai quali
anzi - e la televisione a volte non ce l'ha fatta a nasconderlo - spesso i volontari che prestavano
soccorso hanno ostentatamente voltato le spalle, in segno di disprezzo. Chi sono i responsabili di quest'orrenda
strage? Quale può essere la matrice ideologica? A queste
domande tutti hanno cercato di dare risposta, sbizzarrendosi in congetture di ogni tipo. In
mancanza, almeno finora, di elementi oggettivi sui quali fondare le proprie congetture, i più
hanno cercato di analizzare a chi giova una strage come quella di Bologna: ma anche le risposte a
questo quesito non possono essere univoche. La versione predominante è che simili attentati
giovano ai nemici della democrazia, a chi punta sulla "destabilizzazione" delle istituzioni per
tentare chissà quali avventure. Altri, soppesando però gli effetti provocati nel Paese dalla strage
di Bologna, hanno messo in rilievo come le istituzioni, soprattutto grazie ai mass-media,
sappiano comunque trarre vantaggio dalle ondate emozionali in parte spontanee in parte
teleguidate che sempre seguono simili avvenimenti. Si sono poi fatti i nomi di Gheddafi e della
C.I.A., dei servizi segreti cecoslovacchi e di Al Fatah. Le indagini, o meglio quanto ne trapela sui
giornali, al momento in cui scrivo sembrano orientate principalmente sulla "pista nera", con
connessioni internazionali: il fascista italiano Affatigato ed il commissario delle squadre speciali
francesi (ora sospeso) Durand, attivista neonazista, sono le due figure emblematiche di questa
fase delle indagini. Ma la strage di Piazza Fontana, con tutte le sue vicende poliziesco-giudiziarie, è qui a
ricordare con quale circospezione si debbano prendere le versioni ufficiali.
Sulla base degli elementi di cui si dispone oggi, si possono solo fissare alcuni punti fermi di
carattere generale. Scartando la possibilità (in via ipotetica pur sempre ammissibile) che la strage
sia stata opera di uno o più squilibrati che avrebbero agito da soli, non resta che l'ipotesi
immediatamente fatta propria dalla gente fin dalle prime notizie dello scoppio: un attentato
lucidamente pensato, studiato ed attuato da un gruppo, un partito, un'organizzazione, uno Stato.
Ma quale? Quali forze sono oggi disposte a colpire così indiscriminatamente nel mucchio della
povera gente per i propri fini, quali essi siano? Contrariamente a quanto alcuni pensano, sono
molti: al primo posto, i nazi-fascisti. Tutta la loro storia, prima ancora che la loro mortifera
ideologia, sta a testimoniare di quali massacri si siano resi responsabili: le stragi di Marzabotto,
Sant'Anna di Stazzema, Boves, ecc. non sono state archiviate dalla memoria delle nostre genti e
resteranno a lungo testimonianza e marchio di bestialità non solo per coloro che allora ne furono
responsabili, ma anche per chi oggi le rivendica e ne prosegue la pratica del massacro. Da Reader
a Borghese, da Kappler ai vari gruppetti neo-nazisti corro un filo nero che dall'esaltazione
razzista e dal disprezzo per le "vili plebi" arriva senza fatica al massacro. Si pensi agli attentati ai
treni dell'agosto '69, di cui furono incolpati degli anarchici, tenuti in carcere per due anni e poi
scagionati; al fallito attentato contro il treno sindacale diretto alla manifestazione di Reggio
Calabria; alla strage dell'Italicus: tutti attentati indiscriminati, nel mucchio della gente, terroristici
nel pieno senso della parola. Ma non ci sono solo i nazi-fascisti a teorizzare ed a praticare il
massacro: o meglio, a teorizzarlo forse oggi, almeno qui da noi, sono rimasti solo loro. A
praticarlo, però, sono in buona compagnia. Gli Stati, tutti gli Stati, non sono mai rifuggiti di fronte
all'uso della violenza indiscriminata al di
fuori dei propri confini e, spesso, anche all'interno. Da Hitler a Stalin, da Pol-Pot a Gheddafi, il
terrorismo come strumento di governo vanta una sua tradizione che non può essere ignorata. Al
di fuori dei propri confini, poi, gli Stati non sono mai andati per il sottile in quanto a rispetto
della vita umana: con stragi fatte effettuare dai propri servizi segreti o da altri prezzolati in tempo
di "pace", per non parlare dei bombardamenti a tappeto, del napalm, ecc. in tempo di guerra
dichiarata, il potere statale attraversa millenni di storia con i suoi massacri, con i genocidi, con il
suo disprezzo della vita individuale come di quella di intere popolazioni. In base a quali
considerazioni non dovremmo considerare terrorismo - vile, assassino e rivoltante come quello
attuato il 2 agosto a Bologna - i giocattoli esplosivi lanciati oggi dall'aviazione sovietica nei
villaggi dell'Afghanistan, come ieri l'uso dei gas defolianti e del napalm che hanno ridotto alla
fame e alla morte i contadini vietnamiti? Forse perché il potere il suo terrorismo lo chiama
"guerra"?
Allo stato attuale, non possiamo sapere se i massacratori della stazione di Bologna siano stati
foraggiati da Gheddafi o da Breznev, da una multinazionale o da chissà quale altra
organizzazione: ma è indubbio che solo tra chi ha già massacrato ed è sempre pronto a farlo
può
trovarsi il cervello della strage. Il ministero degli Interni la pensa diversamente, stando a quanto
si legge su L'Espresso del 17 agosto: non che si tratti di una fonte attendibile, dal momento che il
Viminale è stato una delle centrali della strategia della tensione, come è risultato da innumerevoli
vicende politico-giudiziarie degli anni '70. Azioni di questo tipo - si sostiene al Viminale - non
fanno parte (eccezion fatta per qualche gruppo anarchico) dei metodi di lotta dell'ultra-sinistra.
Due pagine dopo, il sociologo Luciano Pellicani offre una copertura "culturale" alle tesi del
Viminale: ma la teorizzazione della necessità di ricorrere al terrore - scrive infatti - per
far
trionfare definitivamente il Bene sul Male non la si trova solo nei messaggi dei prophetae, dei
giacobini, degli anarchici e dei nazisti; la si trova anche in certa letteratura marx-leninista, o
anche negli stessi Marx ed Engels. Anche altrove siamo stati citati come possibili autori della
strage di Bologna. Ancora una volta ci si serve della potenza ed incisività dei mass-media, si sfrutta
l'ignoranza del
nostro patrimonio di pensiero e di lotte presso gran parte dell'opinione pubblica, si riscopre certa
stupida oleografia che ci vorrebbe sognatori e violenti, ingenui e pronti a tutto, per insinuare un
sospetto che ci fa rivoltare lo stomaco. Come undici anni fa, all'indomani della strage di Piazza
Fontana (non a caso passata però alla storia come la strage di Stato!), i mass-media si sono
messi
a frugare tra le pieghe della storia dell'anarchismo internazionale alla ricerca di qualche atto o di
qualche dichiarazione particolarmente violenta per fornire copertura alla montante campagna
anti-anarchica. Anche se non siamo al linciaggio di quei giorni del '69, gli infami sospetti viscidamente insinuati
contro il movimento anarchico richiedono ancora una volta una risposta chiara, che sappia
indicare in quali ambiti si annidino i signori del massacro, della guerra, del nucleare, ecc., quelli
che per i loro fini di potere sono pronti ad usare qualsiasi mezzo.
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