Rivista Anarchica Online
Bolivia dopo il golpe
di Camillo Levi
Quando, il 17 luglio, le truppe agli ordini del generale Luis Garcia Meza hanno preso possesso
dei centri vitali della Bolivia dichiarando decaduto il governo in carica e presentandosi come i
nuovi tutori dell'ordine e della legalità, molti osservatori politici si sono precipitati a fare i conti:
nei 155 anni della sua storia (prima del 1825 era una colonia spagnola) la Bolivia ha subito 189
golpe, quest'ultimo compreso. Una bella media, non c'è che dire: più di uno all'anno. Eppure
questo golpe sembra aver colto di sorpresa molti, tutti quelli cioè che credevano nella
solidità del processo di democratizzazione in atto da un po' di tempo in Bolivia. Dopo la fine
della dittatura del generale Banzer, salito al potere con un golpe nel '71 e restatovi fino a due anni
fa, era sembrato che i generali volessero progressivamente passare le redini del potere ai civili. Il
29 giugno di quest'anno si era addirittura arrivati ad elezioni più o meno libere, i cui risultati -
pur fra brogli e relative contestazioni - avevano premiato i partiti di sinistra. Al di là degli stessi
dati elettorali, le forze di sinistra e soprattutto quelle sindacali hanno allargato molto la loro
influenza in questi ultimi anni, determinando una svolta sociale più ancora che politico-istituzionale di
grande rilevanza. In un dossier fattoci pervenire dai compagni della Coordinadora libertaria
latino-americana
(con sede a Parigi) e dedicato interamente alla situazione in Bolivia, si legge tra l'altro:
indipendentemente dal fatto che questo golpe fa parte di un piano generale nel quale giocano un
ruolo preponderante le dittature del cono meridionale dell'America Latina (e in questo caso
soprattutto l'Argentina), è fuori discussione che il suo obiettivo è la distruzione del movimento
operaio boliviano rappresentato dalla C.O.B. (Central Obrera Boliviana), la cui combattività
classista e rivoluzionaria è stata e continua ad essere considerata un pericolo permanente dai
gruppi di potere dell'oligarchia boliviana. Costituita il 17 aprile del 1952, la C.O.B. organizza
unitariamente operai, minatori e contadini. E, quantunque al suo interno coesistano tutte le
tendenze di sinistra e rivoluzionarie, la C.O.B. ha saputo difendere gelosamente la sua
indipendenza politica e sindacale, confermando costantemente la sua volontà di trasformazione
sociale. In questi ultimi tempi di fronte alle carenze ed alle gravi irresponsabilità dei settori
politici di sinistra, incapaci di dare al "processo democratico" in corso una alternativa capace
di contare, la C.O.B. è divenuta l'unica organizzazione rappresentativa delle aspirazioni
popolari. Ecco perché questo golpe ha diretto i suoi colpi fin dall'inizio contro la C.O.B. ed i
suoi militanti. Le notizie, pur inevitabilmente parziali, che ci sono pervenute in merito alle dimensioni
della
resistenza popolare al golpe da una parte e della repressione militare dall'altra parlano chiaro. I 70
mila lavoratori delle miniere di zinco sono subito scesi in sciopero bloccando le strade con
autocarri pieni di dinamite e sparando contro i soldati che volevano forzare il blocco. Alcune
radio operaie e sindacali hanno continuato clandestinamente le loro trasmissioni, incitando alla
resistenza e facendo opera di contro-informazione. Nella capitale, La Paz, ed in altre città della
Bolivia migliaia di giovani, soprattutto universitari, sono scesi in piazza. Questa volta i generali
golpisti non possono contare su quell'indifferenza (fatta di estraneità ma anche di passività) che
in molte altre occasioni ha caratterizzato l'atteggiamento popolare verso gli ultimi arrivati al
potere. Nemmeno sul piano internazionale sembra per ora, a un mese e mezzo di distanza dal golpe, che
le cose vadano meglio per il generale Garcia Meza. Nemmeno una decina di governi hanno
riconosciuto il suo governo, finora: mancano soprattutto il riconoscimento e l'appoggio decisivo
del governo U.S.A., tradizionale alleato delle oligarchie latino-americane e di quelle boliviane in
particolare. Ma i tempi dell'esplicito e decisivo appoggio di Washington, come una dozzina di
anni fa nella lotta contro i tentativi guerriglieri di Ernesto Che Guevara e nella repressione delle
lotte dei minatori, sembrano essere passati. Il fatto è che, non avendo attualmente interessi
politici ed economici da difendere in Bolivia, l'amministrazione Carter non fa fatica a scaricare i
generali ed a "difendere" le forze democratiche moderate: una pennellata in più all'immagine di
difensore dei diritti umani e della democrazia può sempre tornare utile a Carter, in vista delle
prossime elezioni presidenziali U.S.A.. Mentre, soprattutto a livello internazionale, si discutono le sorti del
potere in Bolivia, giungono
dall'interno notizie di migliaia di assassinii perpetrati dall'esercito, di prigioni stracolme, di lager,
di terribili repressioni in ogni campo. Già otto giorni dopo il golpe, la secretaria de coordinacion
exterior della C.O.B. ha emesso da Parigi (sua sede provvisoria) un comunicato, fornendo un
primo elenco parziale di suoi militanti riuniti nella sede della C.O.B. stessa il giorno in cui questa
è stata presa d'assalto dall'esercito. Si tratta di una decina di nominativi, tra i quali quello
dell'anarchico Liber Forti, responsabile culturale della C.O.B. e della federazione dei minatori. Si
tratta di un compagno nostro da moltissimi anni tra i promotori delle lotte nelle regioni minerarie
boliviane, ed in particolare responsabile della radio dei minatori, attraverso la quale è stata resa
possibile molte volte in passato - ed anche questa volta - l'immediata mobilitazione dei
lavoratori, per motivi sindacali e politici. In un recente passato Liber Forti era passato a trovarci
in redazione, troppo in fretta perché potessimo intervistarlo sulla sua ricca esperienza di lotta: era
diretto a Parigi, dai compagni della Coordinadora libertaria latino-americana, della quale è
membro fondatore. La sua sorte, come quella delle altre migliaia di militanti sindacali, di sinistra e rivoluzionari
boliviani, è in pericolo. È indispensabile che contro i militari, contro la feroce repressione che
colpisce l'opposizione boliviana, si sviluppi una forte mobilitazione internazionale. Per i
compagni che in Bolivia continuano la lotta contro l'esercito, è questione di vita o di morte.
|