Rivista Anarchica Online
Aspettando Godot - ovvero i forzati dei locali alternativi
di Fausta B. / Tiziana F.
Odissea 2001, Clinica, Frizzi e Lazzi, Derganino, Stalingrado, Quadrotto, Operetta.... Fino a
pochissimo tempo fa erano, per noi della redazione, nomi che sentivamo continuamente citare
nei discorsi dei compagni ma vuoti di significato, sapevamo solo che erano i locali "alternativi"
frequentati dai giovani di sinistra a Milano. Spesso ce ne parlava un giovane compagno, uno dei
pochi rimasti nel movimento dopo il '77 e il susseguente "svacco" che ha colpito l'area
rivoluzionaria e, ovviamente, anche il movimento anarchico, come la peste di manzoniana
memoria. Uno dei pochi, dicevamo, che continua a fare il "militonto" e che di tanto in tanto
frequenta questi locali perché sa di trovarci tutti gli ex degli ultimi anni e non vuol perdere del
tutto i contatti con loro nella speranza che prima o poi il vento cambi e a loro torni la voglia di
rimboccarsi le maniche. Così ci è venuta la curiosità di osservare da vicino un fenomeno
che riguarda ampi strati
giovanili urbani e per due serate ci siamo immerse in questo universo sconosciuto. È stata
un'esperienza decisamente interessante che ci ha permesso di capire un po' meglio le esigenze, i
rituali, i codici comportamentali dei giovani anni '80. Dalle interviste che abbiamo fatto nei
diversi locali e dalla nostra osservazione sul campo emergono alcuni dati significativi per la
comprensione del fenomeno: 1. Composizione sociale dei frequentatori. Studenti,
lavoratori-studenti, operai, lavoratori neri
per scelta (rifiuto del lavoro fisso) o per necessità, disoccupati. Per la maggior parte quelli che
lavorano non trovano nessuna soddisfazione in quello che fanno né progettano di trovare altri
lavori. Uno solo sostiene di amare il suo lavoro. 2. Età. Dai quindici ai
trent'anni, ma la fascia più numerosa e dai venti ai venticinque. 3. Motivazione
principale. Cercano rapporti umani coi loro simili, vagano come Diogene da un
locale all'altro in questa continua ricerca e aspettano, aspettano qualcosa o qualcuno che sia
capace di interessarli, di stimolarli, magari solo per una sera, qualcosa o qualcuno che li faccia
uscire dalla noia mortale in cui sono immersi. Hanno bisogno di stare insieme, anche se non si
parlano e non comunicano, forse perché nella vicinanza fisica trovano un poco di momentanea
sicurezza. Per questo frequentano anche i concerti, per trovarsi, per stare vicini, per verificare che
esistono. 4. Droga. Leggera e/o pesante è presente in tutti i locali tanto che
spesso sono costretti a chiudere
per alcuni periodi. Gli spacciatori che stazionano fissi davanti a questi locali fanno affari d'oro.
Un po' meno d'oro li fanno gli acquirenti.
odissea 2001
È la discoteca frequentata dalla sinistra, ma a noi è sembrata esattamente come tutte le altre:
luci
psichedeliche, pista circolare, musica rock anni '60 a un volume tale che risulta difficile capirsi
anche se ci si parla nell'orecchio. All'entrata quattro gorilla, nemmeno un po' camuffati. Diciamo
che vogliamo fare delle interviste, ci chiamano il direttore. Trent'anni circa, barba, un'aria un po'
ostile e un po' a disagio, vuole leggere le domande che faremo. Giurerei di averlo già visto,
secondo me è un ex di qualche organizzazione ex extra-parlamentare. Ci permettono di entrare
senza pagare. Anche in sala troviamo altri gorilla che controllano la situazione. Siamo rimaste circa mezz'ora,
ma è stato sufficiente per farci venire un gran mal di testa. I
giovani vengono qui perché con il ballo frenetico e la musica ad altissimo volume riescono,
dicono loro, a scaricarsi delle tensioni accumulate. Noi aggiungiamo un'altra motivazione frutto
di personale osservazione: i giovani maschietti vengono qui anche per chercher la femme
esattamente come facevano vent'anni fa i loro antenati nelle sale da ballo o nelle balere. È
cambiata la forma (l'approccio, l'abbigliamento, il linguaggio) ma non la sostanza.
Attilio - 20 anni circa - attualmente disoccupato - fa parte di un gruppo anarchico dell'hinterland
milanese. Sei un frequentatore abituale? No, ci vengo ogni
tanto. Perché? Per un momento di svago. Io abito a Bovisio, un paese dove
non c'è assolutamente niente. Quindi
venire qui per me significa divertirmi, uccidere le paranoie solite. Ma tu fai parte di un gruppo
anarchico abbastanza numeroso. Oltre all'attività politica,
alle riunioni, come passate il vostro tempo? Nella piazza di Bovisio a tirar
sera. Secondo te questa discoteca è diversa dalle altre? È diversa
se io voglio che lo sia. Perché se sto male a Bovisio sto male anche qui.
Carmelo - 20 anni circa - operaio - anche lui del gruppo di Bovisio. Cosa trovi in un posto come
questo? Poco. E allora perché ci vieni? Perché
a Bovisio non c'è neppure questo. Ma altri modi per passare il tempo libero non ce ne
sono? Sì, ma io vengo anche perché mi piace ballare. Cosa trovi
di diverso in questa discoteca? Perlomeno non c'è la discomusic. Secondo
te qui dentro è possibile conoscere altre persone, fare amicizia, avere rapporti
umani? No. Ci si viene per ballare e per sfogarsi e basta.
Kappa - 22 anni - elettricista - frequentatore anche di altri locali. Questa discoteca passa per
essere "di sinistra". Secondo te è vero? Non saprei, perché nelle altre discoteche
non ci sono mai andato. Non so neppure se si possa
definire "di sinistra" visto che non so più bene il significato di questa parola. Comunque qui ci
vengono dal cappellone alla fighetta. Ma tu perché ci
vieni? Perché mi piace ballare, mi piace la musica rock che fanno qui. La
sera non ti annoi mai? Ultimamente meno del solito perché ho conosciuto delle persone
abbastanza interessanti, con cui
mi trovo bene, e ho fatto diverse esperienze. Secondo te qui è possibile avere rapporti
umani? No, assolutamente. Qui la gente viene per farsi i cavoli suoi e per ballare.
clinica
È un bar qualsiasi abbastanza squallido e triste. Frequentato sino a poco tempo fa dagli anarchici
delle case occupate di Via Conchetta e di Via Torricelli, dalla sinistra in genere, da un notevole
numero di poliziotti camuffati, nonché dal public relation manager Ronald Stark &
CIA. L'ingenuità non è ancora morta evidentemente! Dopo l'ultima chiusura forzata per
droga gli anarchici si sono spostati nel locale di fianco che si
chiama "Frizzi e Lazzi". Mentre noi facciamo le interviste Dario ci aspetta fuori. Al nostro ritorno lo troviamo
chiuso in
macchina con gli occhi sbarrati: per un'ora ha dovuto rispondere al ritornello "ai la roba?"
spiegando che lui al massimo poteva offrire gauloises; per un'ora ha visto un passaggio di soldi
incredibile, giovani che vomitavano, giovani che stavano male.
Franchino - 22 anni. È uno dei gestori della Clinica ed è un teorico dei locali alternativi.
È
piccolo e mingherlino ed ha un occhio nero perché è uno dei pochi che hanno tentato di sfondare
il concerto Bob Marley. Secondo te è importante un posto di ritrovo per giovani come
può essere questo in una città
come Milano? Adesso ha un'importanza diversa rispetto a qualche anno fa. Ci vengono giovani
di tutti i tipi
legati solo dalla musica e dal fumo. Non ci sono più i posti dove si trovano i
"compagni". Ma questi giovani non solo hanno una matrice politica comune, spesso non hanno
proprio
nessuna matrice. Perché vengono qui? Perché volenti o nolenti questi sono rimasti
gli unici porti dove uno può trovare della gente. Quindi sono spinti dal desiderio di trovare
qualcuno con cui comunicare? Sì. Bene o male è una cosa che capita anche a me
quando ho del tempo libero. Tu sei qui ogni giorno e quindi hai modo di osservarli. Ti sembra che
riescano a
comunicare? Dipende. I più assidui, quelli che vengono tutte le sere, primo o poi legano.
Per gli altri venire
qui è andare in un punto di ritrovo, come potrebbe essere una via, una piazza, una chiesa. Poi ci
sono quelli che vengono per il fumo: di giorno si trovano al Castello, la sera qui davanti.
Filippo - 20 anni circa - disoccupato - frequentatore saltuario. Cos'ha questo posto di diverso
rispetto agli altri locali? Di diverso non saprei. Qui trovi della gente come te, come si usa dire. E
poi è diversa la gestione:
non c'è il cameriere che ti serve al tavolo. E l'ambiente. Che tipo di persone vengono
qui? Un po' di tutti i tipi. Al di là della diversità credi che ci sia
una matrice comune seppure vaga che li lega? Una volta forse sì c'era una matrice comune,
delle cose da fare insieme o in cui credere; oggi su
questo piano c'è molta disgregazione. Gli interessi comuni possono essere solo il fumo o la
musica.
frizzi & lazzi
È situato proprio di fianco alla Clinica ma l'ambiente è decisamente più accogliente.
Manifesti di
Marilyn e di New York alle pareti, una pianola in una stanza, un'aria più "curata". C'è anche, in
cortile, un gioco delle bocce. I frequentatori sono molto più eterogenei che in tutti gli altri locali: dagli
anziani che bevono
vino e giocano a carte, ai trentenni ai giovanissimi. Il risultato è un'atmosfera serena e rilassata. Il
bar trasmette musica rock con buona pace dei vecchietti. Mentre ci guardiamo intorno per individuare i soggetti
da intervistare sentiamo alcuni ragazzi
dietro di noi che si stanno chiedendo; "perché vivere?". Sartre ha colpito ancora!
Luca - 20 anni circa - operaio - anarchico. Sei un frequentatore
abituale? Vengo qui soprattutto il sabato sera, così come potrei andare al
cinema. Frequenti anche la Clinica, qui di fianco? No perché non mi piace
l'ambiente. Una volta era diverso, era frequentato soprattutto dai
compagni. E qui cosa c'è di diverso rispetto agli altri bar? I gestori sono
ex sessantottini che si sono messi in affari. Rappresenta un punto di ritrovo dove ci
si può trovare con gli amici, come potrebbe essere una piazza o una via o una sede. In più è
a
portata del borsellino, anche se un bicchiere di vino bianco costa 400 lire. È un posto dove si può
stare a chiacchierare tranquillamente, passare una serata. Che tipo di gente frequenta questo posto?
Esiste una matrice comune seppure in senso
lato? Direi di no. Si va dalle tavolate di figli di papà, a quelle di vecchietti del quartiere,
a quelle di
compagni del Torricelli, a quelle di galletti in cerca di ragazze. In effetti galletti in caccia ne
abbiamo visti anche all'Odissea 2001 e la cosa ci ha colpito
abbastanza. Nella nostra ingenuità credevamo che col '68 e col femminismo ci fosse stato un
certo cambiamento nel costume, nel comportamento delle nuove generazioni.
Evidentemente, visto questo ritorno a modelli culturali anni '60, ci eravamo sbagliate. Se un
cambiamento c'è stato è stato solo formale, superficiale. In realtà non è cambiato
niente,
per me come per il sessantenne. La parola sinistra è decisamente obsoleta. Tu pensi che
esista ancora una sinistra
extraistituzionale? Esiste, ma si è ridefinita rispetto agli anni precedenti. Qualche tempo
fa per sinistra si intendeva
dal Pdup ai lottarmatisti. Poi le posizioni reali si sono chiarite e oggi si può dire che nella sinistra
sono rimaste frange dell'autonomia operaia e gli anarchici. E il fenomeno del cosiddetto riflusso
come lo vedi? Riflusso in realtà non ce n'è stato. Sono semplicemente rifluiti quelli
che dovevano rifluire: i figli
di papà che hanno ripreso il loro posto nella società. Gente come me, ad esempio, ha perso i
contatti con le organizzazioni anarchiche specifiche ma trova i suoi momenti di confronto sul
lavoro, all'ufficio di collocamento, con quelli che hanno i suoi stessi problemi. In definitiva le
cose sono cambiate, ma non è detto che siano cambiati in peggio. Invidiamo sinceramente
il tuo ottimismo.
stalingrado/derganino
Sono tipici bar di quartiere diventati, con una mano di vernice, di sinistra. Sono ambedue molto
affollati dal solito tipo di persone: capelli lunghi, jeans, scarpe da tennis, gilet del nonno, ecc.;
escluse rare eccezioni si somigliano tutti. Gli ambienti sono abbastanza accoglienti ma c'è molta
gente che se ne sta fuori, si fa uno spino e aspetta. Saverio - circa 20 anni - lavora in una fotolito; anche
lui è un ex di tutto. Come mai sei qui al Derganino? Sei un frequentatore
abituale? No, sono qui perché ad Affori doveva esserci un concerto che a causa della
pioggia non è stato
fatto. Comunque di solito succede così: ci si trova con della gente, si decide cosa fare, si aspetta
che a Milano succeda qualcosa, questi locali sono i tappabuchi quando non si sa cosa fare. Secondo
te, in che cosa sono differenti questi locali pseudo-alternativi dai bar normali? Soltanto nella gente.
Negli altri locali si parla di calcio e si gioca a bigliardo, qui si parla dei
concerti: invece di andare allo stadio a vedere il Milan, vai a sentire Bob Marley, come vedi non
cambia molto.
Gianni - è un'ex militante di un gruppo anarchico milanese. Ha 24 anni e lavora in una piccola
azienda come magazziniere. Frequenti abitualmente Stalingrado? Sì,
abbastanza. Ci vengo tre-quattro volte la settimana. Che cosa ha di diverso questo locale rispetto
agli altri frequentati abitualmente dalla
sinistra milanese e dai bar normali? La differenza sta nel fatto che questo locale è uno dei
pochi di periferia, rispetto al bar Magenta
al quale fa capo tutta la sinistra milanese. Non ci si limita soltanto a bere e a passare il tempo, ma
è un punto di ritrovo e di partenza per i concerti. Secondo te, perché tutta questa
gente viene qui piuttosto che, ad esempio, starsene a casa a
leggere un libro o a sentire un disco? Per la disperazione, perché non c'è nient'altro
da fare. Una volta si stava nelle sedi politiche, c'era
la militanza che oggi non attrae più nessuno. Perché, secondo
te? Perché sono caduti tanti miti, tante illusioni, soprattutto quella di poter cambiare presto,
di poter
vedere i risultati. Oggi la militanza non diverte più, è più rischiosa, alle riunioni ci si annoia
perché non si crede più. Ma allora in che cosa credono i
giovani? In me non è cambiato niente, anche se non milito più. Il fatto è
che oggi non c'è un progetto
politico; ammetto che anche da parte mia c'è mancanza di volontà di costruire qualcosa. Penso
che queste motivazioni valgano anche per gli altri. I frequentatori di questi locali parlano tra loro
dei problemi dei giovani? Io ne parlo, ne discuto con quelli che conosco meglio, ma tutto resta
sostanzialmente a livello
individuale o all'interno del gruppo di persone che più mi è vicino.
Marco - 21 anni - odontotecnico - è frequentatore abituale di Stalingrado: ci va tutte le sere e
dopo il lavoro a bere una birra. Perché sei così affezionato a questo
posto? Vengo qui per vedere la gente, sentire il suo calore, mi trovo a mio agio. Quando non vengo
qui
vado ai concerti o a ballare all'Odissea 2001, dove mi scarico di tutte le tensioni accumulate. Ma
nelle serate in cui non fai niente di tutto questo cosa fai? Vado fuori Milano, in
giro. Non ti succede mai di aver voglia di stare in casa, da solo, a leggerti un
libro? No quasi mai. Vengo da Nino proprio perché non so cosa fare e come me c'è
tanta altra gente.
Magari ci verrà voglia di organizzarci, di fare qualcosa perché, secondo me, c'è molta
violenza
repressa, molto malcontento. Hai votato nelle ultime elezioni? No, mi sono
astenuto perché non credo che il voto sia uno strumento politico valido. Cosa pensi
dell'anarchia? Ma, secondo me, è il massimo, cioè, veramente, il massimo, non
so...
Di anarchici, nelle nostre peregrinazioni notturne, ne abbiamo incontrati molti e dappertutto. Per
la maggior parte non fanno più attività politica perché hanno perso ogni speranza di vedere
risultati immediati e non se la sentono di lavorare su tempi lunghi. Sono rimasti anarchici, ma a
livello teorico, ideale. Nella sostanza sono identici a tutti gli altri giovani forzati dei locali
alternativi. Come loro passano il tempo libero da un locale a un concerto, come loro si annoiano
mortalmente, come loro aspettano di uscire dalla noia per intervento, forse, dello spirito santo. Fino a qualche
tempo fa li incontravi tutti alle manifestazioni: urlavano slogans cattivissimi,
gesticolavano in modo forsennato, scaricavano la violenza accumulata, si sentivano forti perché
erano tanti, si sentivano protetti dalla folla intorno a loro. Oggi la rappresentazione scenica è
cambiata: al posto della piazza la pista da ballo o lo stadio, al posto degli slogans la musica rock.
L'importante è sempre scaricarsi, sentirsi uno tra i tanti, parte del tutto. Sono incapaci di
rappresentarsi a livello individuale, il loro immaginario è solo collettivo. Sembrano contenitori vuoti.
Non hanno valori né principi etici perché non accettano (e
giustamente) quelli passati ma non ne hanno neppure cercati di nuovi; leggono Herman Hesse ma
non riescono a trovare niente dentro se stessi, niente in cui credere, niente per cui combattere.
Che sia la fine dell'individuo? Eppure oggi i giovani godono di maggiore libertà (almeno formale)
rispetto al passato, anche al
passato prossimo, hanno molto tempo libero, hanno gli strumenti conoscitivi necessari a
scegliere, a capire, a pensare; nessuno pretende niente da loro che loro non vogliano. Invece,
paradossalmente, del tempo libero non sanno che farsene, gli strumenti a loro disposizione li
rifiutano, non vogliono pensare, né decidere, né assumersi alcuna responsabilità.
Sembrerebbe
quasi che le due cose siano inversamente proporzionali: più libertà = meno volontà, meno
personalità, meno capacità, meno responsabilità, meno fantasia, meno spirito di
iniziativa. Si potrebbe obiettare che la loro è una falsa libertà, la libertà senza obblighi
di una società in
avanzato stato di decomposizione. Anche questo è vero. Ma è altrettanto vero che dobbiamo
smetterla di incolpare di tutto la società. Certo, la società è responsabile, ma lo è
tanto quanto lo
è ogni singolo individuo. Non si può sfuggire alla nostra parte di responsabilità: la parola
collettività non ha senso in se stessa, non ha il valore astratto e metafisico che spesso le viene
attribuito. Ha un senso solo in quanto somma delle singole individualità (e quindi potenzialità)
che la compongono. Ma come possiamo noi, portatori di un progetto basato sull'individuo,
intervenire in questo senso, riportare in primo piano l'individuo, ridargli grinta, concretezza,
capacità di rottura?
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