Rivista Anarchica Online
Oltre l'anarco-femminismo
a cura della Redazione
Tumultuoso nella sua crescita, variegato nelle sue tendenze spesso tra loro in contraddizione,
lacerato da una crisi d'identità che a molti ha già fatto proclamare il suo declino, il femminismo
resta comunque il fenomeno ed il movimento che, su scala davvero internazionale,
maggiormente ha contribuito a rimescolare le carte del dibattito politico-ideologico negli anni
'70. Il suo pungolo spesso doloroso non ha risparmiato alcun movimento o partito, anche se
nella maggioranza dei casi è stato riassorbito senza traumi eccessivi. Più che a livello
"istituzionale", comunque, è nella vita quotidiana di milioni di donne e anche di uomini che si
possono raccogliere i segnali più indicativi dell'avvenuto passaggio del "ciclone femminismo".
Non sono mancate né mancano notevoli zone d'ombra, dovute per esempio alla
spettacolarizzazione e conseguente commercializzazione del femminismo, come dimostra in
modo lampante il mondo pubblicitario; e soprattutto, in campo "sinistrese", la vacua ripetizione
di stereotipi "femministi" vissuti in maniera passiva, gregaria, manichea. Un discorso sul
femminismo, ora che certi strumentali clamori sull'argomento sono passati, può essere molto
fecondo per tutte le forze che si richiamano alla sinistra anti-autoritaria. È quanto fanno
due compagne americane, Kytha Kurin e Elaine Leeder, nei due articoli che
hanno recentemente pubblicato rispettivamente su Open Road (con il titolo: "Anarcha-
femminismo: perché il trattino?") e su Social anarchism ("Il femminismo come processo
anarchico"). Entrambi si situano naturalmente nel contesto sociale nord-americano, così diverso
dal nostro italiano: un contesto nel quale il femminismo, o meglio certe sue pratiche libertarie,
ha di fatto occupato quegli spazi che l'assenza completa di un movimento anarchico nel senso
proprio del termine (come lo intendiamo qui in Italia) lasciava forzatamente vuoti. Da qui la
nascita di quel movimento anarco-femminista ("anarcha-feminist" è la significativa dizione
esatta) che costituisce il punto di partenza e l'oggetto della riflessione dei due articoli che
pubblichiamo in queste pagine. Al di là delle citate differenze "ambientali" che si riflettono
sull'impostazione ed anche a volte sulla terminologia usata, a noi della redazione sembra che
questi due contributi - soprattutto quello di Kytha Kurin - possano stimolare anche sulle pagine
di "A" una proficua riflessione/dibattito tra le nostre lettrici (e lettori).
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