Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 90
marzo 1981


Rivista Anarchica Online

Le lotte abortite
di Maria Teresa Romiti

"D'ora in poi decido io - anticoncezionali per non abortire - aborto libero per non morire"; "Aborto libero, gratuito e assistito"; solo qualche anno fa questi erano alcuni degli slogan su cui si riunivano le donne, non solo le "femministe arrabbiate", ma anche le casalinghe, le donne che di politica non parlavano mai, che però avevano vissuto sulla propria pelle la dilaniante contraddizione tra un'educazione cattolica, il ruolo materno obbligato e la necessità di abortire, spesso in condizioni a dir poco rischiose. Oggi c'è solo il silenzio a fare da cornice al problema dell'aborto, rimesso sul tappeto, si fa per dire, da due referendum.
L'aborto è stato il problema centrale intorno al quale si è riunito il movimento femminista e non solo quello. È stata la partenza verso altri temi che hanno coinvolto molte donne e uomini. È parlando di aborto, cercando di riappropriarsi del proprio corpo e della propria salute che le donne si sono rese conto di alcune contraddizioni che vivevano, del ruolo in cui erano costrette. Parlare di aborto voleva dire parlare di contraccezione, di maternità cosciente, di sessualità più libera, meno frustrante, di educazione libertaria. Era capire che anche sul corpo delle donne passava il potere, l'autorità, cercare di far saltare le contraddizioni che venivano alla luce. Era scoprire la scienza come mito e potere, cercare di socializzare le proprie conoscenze. Naturalmente non voglio mitizzare, non intendo dire che tutto fosse bello o perfetto, anzi le esperienze erano diverse e contraddittorie, spesso settarie e in tutte si accumulavano diversi errori. Ciò che voglio ribadire è l'importanza che risiede nelle esperienze stesse, nel fatto che alcune persone sentivano il bisogno di agire direttamente, di non delegare, di discutere insieme ciò che via via facevano. Nascevano con queste esperienze, con tutti i loro errori, esigenze di libertà e autogestione. Donne che non avevano deciso nulla fino ad allora cercavano di capire, toglievano al potere medico il suo alone magico per riappropriarsi della gestione della propria salute, per non delegare ad altri la loro vita. Imparavano a socializzare le proprie conoscenze ed esperienze, scoprivano la dimensione del collettivo.
Per quanto queste esperienze oggi siano, per la maggior parte, fallite, in esse c'era ansia di libertà, autogestione, ribellione spontanea. Oggi cosa resta di quelle esperienze: dei consultori autogestiti, delle pratiche di Self-help, del C.I.S.A., degli aborti con il metodo Karman? Nulla, solo il silenzio e la risposta ad una legge che va avanti zoppicando, attraverso strutture fatiscenti. L'operazione viene vissuta nelle corsie degli ospedali, ridelegando al medico la decisione sui tempi e metodi, mentre la donna ritornata oggetto, spesso umiliata dai tecnici, perde la possibilità di decidere in prima persona, perde il diritto di avere la solidarietà, l'aiuto degli altri in un momento difficile della propria vita. Questa è la parte importante di una storia che sa quasi di mistero; come mai un movimento spontaneo, vivo, che si era coagulato intorno ad un problema coinvolgente sia riuscito a morire di morte naturale in pochi anni.
Se in parte il problema va inserito in un'analisi più generale, in un cambiamento del clima sociale che ha molteplici cause, nondimeno la morte di tutte le esperienze nate con l'aborto ha, secondo me, una sua causa primaria. Le forze di chi in quel periodo si è mosso sul problema dell'aborto, sono state deviate verso il referendum, verso la richiesta istituzionale. Invece di continuare pratiche difficoltose e contraddittorie, le donne si sono buttate sulla lotta istituzionale: richiedere il referendum o una legge sull'aborto. Cancellato il referendum, ottenuta la legge ci si è considerate soddisfatte o al massimo si è continuata la lotta per cambiare la legge, non si è cercato di continuare le proprie esperienze. La lotta istituzionale può essere eclatante, certamente è più facile da gestire, non fa continuamente esplodere contraddizioni, non richiede, a differenza dell'autogestione, di risolvere problemi e difficoltà sempre nuove. Ecco perché, per forza di cose, la lotta istituzionale uccide le esperienze autogestite: le forze che si muovevano in queste esperienze vengono riassorbite nel letto istituzionale eliminando le problematiche, la cultura che stava nascendo da quelle esperienze; morte lenta per auto-soffocamento che non fa storia e non crea problemi.

Oggi, dove, tanto per gradire, i referendum sull'aborto sono due, noi non possiamo che ribadire la nostra estraneità a questa lotta, non perché siamo fautori del tanto peggio, tanto meglio o perché non c'importi della legge, (anche se siamo contro lo Stato i conti con le leggi dobbiamo farli tutti i giorni, non fosse che per opporci) ma perché siamo profondamente convinti che questo tipo di lotte, puntando sulla forza spettacolare delle istituzioni e sul coinvolgimento acritico e emotivo è in definitiva funzionale allo Stato. Finché la gente sprecherà le proprie forze per poter ottenere il diritto di dire sì o no su una scheda, l'istituzione sarà salva. Se è vero che non è una legge che elimina o meno una pratica, è vero anche che tutto il tessuto nato insieme dalla ricerca dei centri autogestiti è morto. Era quella la parte più importante: la decisione di non delegare ad un tecnico la propria salute, di agire in prima persona, di cercare la strada da soli tra mille difficoltà. Questa area che faceva esperienza autogestita, che incideva nel tessuto dell'istituzione era quella che andava chiusa, possibilmente cancellata dalla memoria collettiva; perché questa era il vero pericolo con la sua spinta autogestionaria, la sua carica di libertà.