Rivista Anarchica Online
Intervista a Bookchin
di Paolo Finzi
Con Murray Bookchin ho registrato molte ore di colloquio, nel corso della sua permanenza a
Milano a fine aprile su invito del Centro Studi Libertari "G. Pinelli". Gli ho poi chiesto di
rispondere per iscritto ad alcune domande. Mi sono letto (e in parte riletto) i suoi scritti, solo in
parte editi anche in italiano. Insomma, c'erano tutte le premesse per buttar giù il testo di
un'intervista che - speravo - potesse affrontare almeno i temi principali del suo pensiero e
chiarirne pur brevemente le linee essenziali. Questa era la mia intenzione. Pia illusione,
però, perché una volta messomi all'opera mi sono dovuto render conto che è
impossibile comprimere in 15-20 cartelle un colloquio durato ore ed ore, nel corso del quale si è
parlato praticamente di tutto: dalla sociobiologia alle lotte del movimento dei neri, dalla
politica estera USA alle impressioni del suo viaggio in Europa, dalla questione organizzativa al
ministerialismo spagnolo del '36, dall'ecologia sociale alla condizione degli indiani, ecc..
Impossibile farci stare tutto, seppur superficialmente, nello spazio previsto su "A". In queste
pagine, dunque, il lettore, oltre ad una vivace scheda autobiografica, troverà solo una
piccola parte del chilometrico colloquio con Bookchin. Tantissimi temi, anche significativi, non
sono nemmeno accennati. Ci ripromettiamo, comunque, in un prossimo futuro, di riprendere il
discorso, traducendo alcuni dei suoi scritti più recenti. Nel frattempo rimandiamo gli interessati
alla lettura di Post-scarcity anarchism (Edizioni La Salamandra, 1980) e di quegli scritti di
Bookchin che sono stati ripresi da Interrogations, Volontà, An. Archos e naturalmente dalla
nostra rivista (che per prima, nel '74, fece conoscere Bookchin in Italia e che sul n. 85 ne ha
pubblicato l'interessantissima "Lettera aperta al movimento ecologista"). Hanno collaborato per
la scheda sull'ecologia sociale Maria Teresa Romiti e per la traduzione
Gianfilippo Pietra.
Qual è la situazione del movimento libertario negli USA? Dobbiamo
andar molto cauti nell'usare il termine "libertario" negli USA, soprattutto da quando è
stato fatto proprio da quelli che in Europa chiamate gli anarco-capitalisti. Usando indistintamente
il termine "libertario", molti in America penserebbero appunto subito agli anarco-capitalisti, agli
anarchici del "laissez-faire". Per cui è meglio e più comune e usare il termine anarchico oppure
libertario, solo se unito ad un'altra specificazione, quale socialista libertario, comunista libertario,
ecc.. Per quel che riguarda il movimento anarchico negli USA, io direi innanzitutto che non esiste un
vero e proprio movimento anarchico organizzato, nonostante vi siano tendenze anarchiche e
libertarie abbastanza diffuse tra la gente. Vi sono gruppi, alcuni dei quali amano definirsi
confederazioni o organizzazioni, ma in realtà si tratta solo di gruppi, spesso slegati del tutto gli
uni dagli altri. Ci sono al giorno d'oggi più numerosi radical che in passato che si ritengono
più
vicini all'anarchismo che a qualsiasi altra tendenza rivoluzionaria. Gli altri movimenti poi sono in
crisi: il movimento socialista, così come il partito socialista, sono praticamente morti; i
socialdemocratici sono sempre più vicini ai liberals; il partito comunista è così
piccolo che
veramente non conta un bel niente. Così quando si parla della sinistra americana oggi, si parla in
buona misura degli anarchici e delle varie tendenze socialiste libertarie. Ci sono in effetti gruppi che si sono uniti
per formare delle federazioni anarchiche: per esempio,
la North American Anarchist Federation (che esiste negli USA e in Canada), ma a mio avviso si
tratta di un'organizzazione molto, molto piccola e con un'influenza ridottissima. C'è poi la New
England Anarchist Conference, in pieno fermento per definirsi con precisione, è certo molto
più
grossa in quanto a militanti ma deve ancora darsi una chiara prospettiva anarchica. Questo
gruppo è composto in gran parte di persone attive nelle varie alleanze antinucleari (prima fra
tutte, la Clamshell Alliance) presenti negli USA. Queste sono organizzate non su basi locali, ma
su basi d'affinità; va poi precisato che non si riconoscono nell'anarco-sindacalismo. C'è poi la
Socialist Revolutionary Anarchist Federation, che pubblica l'omonimo bollettino (SRAF), ma
francamente non so nemmeno se esiste ancora, tanto non la si sente. Non vanno trascurate le
relazioni tra gli anarchici del Canada, soprattutto nel Quebec e nella British Columbia, con quelli
degli USA. In definitiva, ci sono molti giovani, sempre più numerosi, che si riconoscono - con
diversi livelli di coscienza - nell'anarchismo; gruppi un po' dovunque che si definiscono
anarchici, una piccola parte dei quali formano delle confederazioni; alcuni di questi sono
maggiormente orientati verso la tradizione anarco-comunista e anarco-sindacalista del
movimento, altri - tra i quali la N.E.A.C. alla quale aderisco - sono più impegnati sul fronte delle
lotte ecologiche, delle tematiche femministe e localiste. Alle origini il movimento anarchico negli
USA è stato prevalentemente "importato". Quali
sono oggi le relazioni tra i movimenti anarchici "stranieri" (ormai in calando) e quello
americano? Questo è indubbiamente uno dei problemi principali che si pongono al
movimento anarchico
negli USA. Non solo l'anarchismo, ma anche l'intero socialismo è arrivato qui dall'Europa: fino
agli anni '40 ed anche '50 c'è stata una solida presenza "europea" nel socialismo e
nell'anarchismo, strettamente legata ad un'impostazione "europea" dei problemi del movimento
operaio. D'altra parte, qui in America, tornando indietro di tre secoli alla rivoluzione americana,
si ritrova una tradizione libertaria, che è stata anarchica nel suo spirito. Gli USA, come la
Svizzera, esaltavano alle origini la loro natura confederale, con molti diritti per le comunità
locali: oggi noi anarchici americani, nel ricreare una nostra presenza libertaria, vogliamo
ricollegarci anche a quella tradizione libertaria nella nostra storia. Noi cerchiamo così di prendere
il meglio della tradizione europea e della nostra storia: siamo infatti convinti che si debba avere
una prospettiva americana, una sensibilità americana per sviluppare un forte movimento
anarchico che incida davvero sulla realtà sociale. Per me questo è della massima importanza,
anche se ho la sensazione che in Europa ciò sia sottovalutato: gli americani credono molto
nell'autonomia individuale, nei diritti dell'individuo, credono insomma che meno governo c'è,
meglio è. Anche l'opinione corrente in merito alla proprietà è molto interessante: per molta
gente
la proprietà è importante non perché ti fa diventare ricco, bensì perché
assicura la tua
indipendenza innanzitutto davanti allo Stato. Per questo io ritengo che vi sia una forte tradizione
negli USA di carattere antiautoritario. Ed è da qui che io ed i compagni del New England - dove
questa tradizione ha radici più forti che altrove negli USA - pensiamo si debba partire per
ricreare un forte movimento anarchico americano. Ti potrei citare, per esempio, le assemblee
generali che tradizionalmente ancora si svolgono in alcune località del New England per decidere
delle questioni più importanti che riguardano la comunità. Certo, a volte sono ridotte a poco
più
di un rito: ma noi pensiamo che si debba operare per rivitalizzarle, esaltando il controllo locale,
l'azione diretta e al contempo denunciando i misfatti della burocrazia, i pericoli insiti nello Stato
di polizia e più in generale nello Stato stesso. Questo, naturalmente, in tutte quelle località dove
queste assemblee ancora si tengono. Qual è la situazione legale degli anarchici e
dell'anarchismo oggi negli USA? Non è male, francamente, niente a che vedere con quel
che accade per esempio in Germania. La
parola "anarchia" non provoca terrore, anche perché numerose personalità negli USA si sono
dette pubblicamente anarchiche (Lewis Mumford, Paul Goodman, Ted Rojak, ecc.). C'è stata poi
una lunga tradizione di Scuole Ferrer, che ha ulteriormente fatto conoscere in positivo il termine
"anarchia". E poi c'è Emma Goldman, oggi conosciutissima, soprattutto in tutto il vastissimo
movimento femminista. I suoi libri sono diffusissimi. Io stesso collaboro a quotidiani e periodici
vari sui quali scrivo da anarchico, dichiarandomi esplicitamente anarchico. E francamente non ho
incontrato ostacoli. Che cosa pensi del recente attentato a Reagan? Bisogna
affrontare innanzitutto alcune questioni di carattere generale. A prescindere dalla buona
fede e dal coraggio che gli attentatori possono avere, come non vedere innanzitutto che il potere
si è venuto sempre più spersonalizzando? I tempi di Giulio Cesare o di Napoleone sono
tramontati. Per quel che riguarda più specificamente gli USA, tieni presente che - per esempio -
se Nixon fosse stato assassinato, gli sarebbe succeduto Agnew... ed è tutto dire. Io sono convinto
che il terrorismo sia decisamente controproducente. Sempre riferendomi agli USA, c'è poi da
osservare che la dose quotidiana di violenza (assalti, rapine, furti, scippi, stupri, ecc.) è talmente
elevata per il cittadino medio americano che è praticamente impossibile pensare che la gente
riesca a cogliere eventuali differenze tra violenza e violenza. Lotte violente per ragioni politiche
si confonderebbero facilmente con scontri tra gangster. Abbiamo un tale livello di violenza
quotidiana che la violenza, qualsiasi violenza, risulta tutto sommato controproducente. E, sia
chiaro, io non mi considero un pacifista: semplicemente privilegio la nonviolenza perché a mio
avviso più producente. La forza che scaturisce dalla nonviolenza è nella grande maggioranza dei
casi maggiore, più efficace per i nostri fini, di quella derivante da scontri violenti di piazza, per
non parlare del terrorismo. E la droga? Che ruolo ha giocato nel movimento d'opposizione in questi
anni? E tu che ne
pensi? Naturalmente bisogna partire dal fatto che ci sono diversi tipi di droga, da quelle leggere
a quelle
pesanti. Per quel che mi riguarda, io sto alla larga da qualsiasi tipo di droga: ci ho messo 60 anni
a cercare di costruirmi una mia testa e non voglio buttar tutto a mare solo per farmi dei buchi nel
cervello. Non ho alcuna obiezione a che altri fumino la marijuana e trovo ridicolo che ne sia
vietato per legge l'uso. Ma personalmente le rifiuto. Nel movimento invece non c'è attualmente
una posizione precisa, decisa riguardo alle droghe. Nel movimento dei neri, in particolare, sono
diffusissime le droghe pesanti, che a loro volta diventano fonte dell'alto tasso di criminalità nei
ghetti. Moltissimi vi ricorrono per sfuggire alle ansie, alle paure, alle incertezze. E il discorso
inevitabilmente si allarga ad altri prodotti che ufficialmente non sono classificati come droghe,
ma che lo sono a tutti gli effetti: parlo dei tranquillanti (il Valium, per esempio), di cui gli
americani ingeriscono ogni anno miliardi di pillole. Vi è poi anche il problema dell'alcolismo,
che sta ritornando drammatico. Nel recensire sulla nostra rivista l'edizione italiana di
Post-scarcity anarchism, scrivevamo
che a distanza di vari anni dalla sua uscita, e soprattutto dopo la crisi energetica del '73,
sarebbe stato opportuno tener presenti questi fatti. A mio avviso, insomma, c'è qualcosa da
rivedere, oggi come oggi. Sei d'accordo? No. Negli USA quasi tutte le stime sulle riserve di
petrolio sono fornite dalle grandi aziende e
spesso mentono di proposito per sostenere la domanda di prezzi più elevati. Nella mia critica al
lavoro dei Gorz Ecologia e politica, io passo in rassegna un certo numero di dati e di
dichiarazioni di esperti abbastanza imparziali, per dimostrare che probabilmente noi abbiamo
molte più risorse di quelle che pensiamo: in alcuni casi potranno durare per delle generazioni, e
potranno soddisfare i bisogni del mondo intero ai livelli del consumo attuale. La crisi viene
prodotta oggi: la vera scarsità è il risultato non di difficoltà naturali ma dei cambiamenti
strutturali nel capitalismo delle grandi corporazioni. Le grandi aziende multinazionali oggi hanno
un controllo sulle strutture del mercato e sui prezzi molto maggiore di quello avuto in altri
periodi del capitalismo. Possono alzare i prezzi quando vogliono e lo fanno con vergognosa
impunità. Controllano i mercati chiave e i sistemi di distribuzione di tutto il mondo. Pensa alle
straordinarie caratteristiche delle nuove "crisi economiche" che caratterizzano la
nostra era. In un periodo di massiccia disoccupazione e di riduzioni di produzione, i prezzi
continuano a salire invece di diminuire. Lo stesso succede per i saggi di interesse e per il costo
della vita. Al tempo stesso, soprattutto nel settore dell'industria energetica, i profitti raggiungono
vette inaudite. Non abbiamo mai avuto questo tipo di "crisi economiche" prima. Io ricordo il
1930, quando la Grande Depressione causò la caduta di tutto, inclusi i profitti. E lo stesso
avvenne nelle crisi successive. Adesso abbiamo invece prezzi, profitti, interessi, inflazione alle
stelle e al tempo stesso disoccupazione, livelli di vita in declino, minor potere d'acquisto. Posso
solo concludere che le grandi corporazioni hanno ora il completo controllo dell'economia - dalla
produzione alla vendita al minuto - e possono fare enormi profitti producendo meno ma
chiedendo un prezzo molto maggiore per ciascun prodotto, realizzando così profitti mai prima
raggiunti. Il mito della "scarsità" fornisce una perfetta scusa ideologica per questo processo di
estorsione e di saccheggio del povero. E, mi vergogno a dirlo, molti ecologi americani hanno
dato avallo, molto ingenuamente, a questa ideologia. Infine, voglio che sia ben chiaro che la parola
"post-scarcity" non significa insensata abbondanza.
Sarebbe da folli se noi diventassimo consumatori di enormi quantità di beni, trascorrendo la vita
in bovina incoscienza incollati alla televisione, ingozzando coca-cola e cibo fino alla nostra
tomba. Il capitalismo ha prodotto una maledizione: il mito di una natura avara con poche risorse
che devono soddisfare bisogni illimitati. Sfortunatamente perfino Marx nel lodare il capitalismo
per le sue realizzazioni tecnologiche e per la sua capacità di produrre "bisogni", è divenuto
vittima di questo mito. "Post-scarcity" non è un tentativo di proporre le meraviglie
dell'abbondanza. È piuttosto il tentativo di esorcizzare questo mito, di eliminare finalmente
questa tirannia ideologica col mostrare che c'è ora più di quel che basta per ciascuno per potere
godere abbondanza materiale con il minimo di fatica. La gente può ora scegliere il tipo di vita
che vuole, un tipo di vita che sia più semplice e che richieda una maggiore attività fisica come il
giardinaggio per esempio, piuttosto che starsene seduti e ammalarsi spiritualmente e fisicamente
consumando passivamente una ininterrotta serie di beni bacati in una società "anarchica".
Secondo me, "Post-scarcity anarchism" significa il diritto di scegliere, non significa la "scelta"
rituale di una vita stupida e malata, affogata nell'abbondanza. Ora questa possibilità dev'essere
concretizzata, altrimenti la "lotta" per ottenere abbondanza impedirà sempre di attuare una
società libera.
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