Rivista Anarchica Online
Ma quale autogestione
di Albert Meister
Finisco ora di leggere questi testi sulla Iugoslavia e, in un accesso di rabbia, mi chiedo se non
sarebbe meglio proporre al nostro comitato di redazione di non pubblicare più nulla sulla
Iugoslavia, di por termine una volta per tutte a questa mitica autogestione iugoslava. So
perfettamente che una proposta simile potrebbe parere eccessiva, ma, in fin dei conti, non risulta
forse chiaramente dai testi raccolti da Jean-Louis Laville: 1) che le uniche manifestazioni di vita
dell'autogestione nelle imprese iugoslave sono gli
scioperi; scioperi che vengono fatti contro i nuovi padroni impersonati dagli inamovibili delegati
sindacali, del Partito e dei tecnocrati, oltre, naturalmente, per i privilegi, da qualche operaio
affamato di promozione gerarchica? E allora è davvero necessario andare fino in Iugoslavia per
studiare degli scioperi e le esperienze autentiche di autogestione che avvengono all'interno dei
comitati di sciopero: che si studino tali problemi proprio qui, nelle imprese di questo paese,
giacché le lotte sono poi in fondo le stesse; che, in entrambi i casi, i dominati vogliono una fetta
più grossa della torta e quelli che hanno dei buoni pasti non vogliono mollare niente; che nei
nostri paesi occidentali le cose sono, in ogni caso, più chiare in quanto non sono confuse (o
almeno, si spera, non ancora!) dal gergo autogestionario; e, infine, perché qui si può almeno
parlare di queste cose senza farsi espellere da una università o farsi ritirare il passaporto; 2) che
l'autogestione che la Lega intendeva estendere a tutti i campi della vita sociale non esiste;
che, ad esempio, non esiste alcuna politica culturale autogestionaria e che le avanguardie
artistiche si scontrano in Iugoslavia colla stessa indifferenza della gente e colla stessa mediocrità
dei consumi e delle aspirazioni culturali dei nostri paesi cosiddetti capitalisti; che, dappertutto, il
preconfezionato, il predigerito culturale e lo "stile" grandi magazzini rappresentano gli unici
orizzonti culturali di massa e che quindi non c'è bisogno di andare tanto lontano all'estero per
tentare di capire quali sono le condizioni di accettazione delle nuove mode artistiche; che
conviene, a conti fatti, rimanere qui tanto più che, francamente, il mondo culturale e artistico è
meno grigio, meno lugubre e, ancora, si può parlare di realismo socialista senza temere di averne
paura; 3) che è altrettanto inutile andare in Iugoslavia per osservare come sono trattati i devianti che,
ad
esempio, vogliono occupare case vuote e che conviene guardare come ce la caviamo noi, tanto
più che le nostre polizie occidentali sono in genere meglio attrezzate e che quelle dell'Est copiano
le loro attrezzature con molto ritardo; tanto vale quindi osservare le cose nella loro più
smagliante modernità; 4) che il maschilismo, la fallocrazia e l'antifemminismo sono diffusi tanto nelle
organizzazioni
che incarnano il potere nella società del "socialismo reale" quanto nella pratica quotidiana delle
organizzazioni operaie, dei partiti di sinistra e dei sindacati delle nostre società occidentali; che i
movimenti femministi hanno a che fare con il medesimo scetticismo e la stessa cortese
grossolanità dalle due parti della frontiera ideologica; 5) che le riviste ed i gruppi di intellettuali
iugoslavi d'opposizione si trovano nelle stesse
condizioni di oppressione e di repressione che nel resto degli altri paesi del "socialismo reale".
Così come non si vede perché le cose debbano cambiare rapidamente quando poi durano così
da
trent'anni e, invece, non fanno che peggiorare dalla morte di Tito e colle rivalità per la sua
successione, non si vede dunque perché privilegiare lo studio della repressione iugoslava rispetto
a quella degli altri paesi dell'Est, col pretesto dell'esistenza di un vocabolario e di un apparato
burocratico-giuridico autogestionario; 6) che l'unica cosa che potremmo fare di utile per gli universitari
dissidenti iugoslavi è di
preparar loro, qui in occidente, le strutture per accoglierli quando la situazione diverrà
assolutamente intollerabile per loro e quando dovranno fuggire; 7) e, infine, che se noi vogliamo essere
più utili ancora alla causa dell'autogestione, proviamo a
smettere di partecipare a convegni, congressi e seminari organizzati periodicamente dalle
organizzazioni popolari, dai sindacati e da altri elementi della catena e a cui quelli ci invitano
allo scopo sempre meno nascosto di portare consenso al loro dominio? D'ora in poi non andiamo
in Iugoslavia che come turisti e, se vogliamo davvero osservare, l'autogestione, limitiamoci a
quelle innumerevoli micro-esperienze che fioriscono attorno a noi; non trangugeremo tanti calici
di slibowitza ma neppure tante falsità. Se il dossier curato da Jean-Louis Laville ha permesso di portare
in luce questi fenomeni, di
mostrare l'altra faccia dell'aspetto autogestionario, non sarà stato inutile. Del resto, il fatto stesso
che esso si occupasse di altri campi (rispetto al campo chiuso dell'autogestione nelle imprese) - la
cultura, l'università, le riviste, i movimenti sociali - mette in evidenza che l'autogestione non è
mai uscita dai muri dell'impresa, che non è stato che un modo per organizzare la produzione e per
gestire i produttori all'indomani della guerra e nelle circostanze della ricostruzione del paese, ma
che essa non si è, contrariamente a tutte le speranze e le dichiarazioni, mai diffusa negli altri
campi della vita; e, ancor più (alla maniera del catechismo marxista servito in tutte le scuole), che
la semplice menzione dell'introduzione dell'autogestione in altri settori che non fossero quello del
ghetto del lavoro è attualmente accolta dagli iugoslavi stessi, nel migliore dei casi, come una
battuta di spirito e in genere come una minaccia. Certo tutto ciò non è affatto nuovo, ma quel che
l'inchiesta di Laville fa temere è che il ronfare autogestionario degli uomini dell'apparato di ogni
genere, arrivati al potere grazie all'autogestione di cui essi erano stati fino a poco tempo prima i
militanti, non divenga oggi, dopo la scomparsa di Tito, il linguaggio che giustificherà il colpo di
freni che pur dovrà avvenire inevitabilmente, tanto nelle imprese minacciate dalla recessione
quanto nelle istituzioni e nella vita quotidiana minacciate dai nazionalismi e dai separatismi. Che
questa ripresa dell'autoritarismo sia risultato dell'iniziativa dei dirigenti politici delle Repubbliche
più ricche e più potenti o, come altrove (e perché no?) (1) manu militari,
importa poco. La morte
di Tito dimostra più che mai che non esiste alcun contropotere istituzionalizzato e che si deve ora
temere che la Iugoslavia non conserverà il suo posto, tanto invidiato all'Est, di paese meno
dittatoriale tra i paesi del socialismo reale. La repressione che in questo momento si abbatte sugli
universitari e intellettuali indipendenti e, più in generale, su tutti i devianti e gli oppositori, fa
pensare che il processo sia ormai ben in moto. Ed è triste constatare che è in nome del
rafforzamento della società autogestionaria che si fa tutto questo. L'autogestione diventa così
sempre più nettamente il vocabolario della repressione. Ma non dovevamo aspettarcelo?
Dopotutto, sono trent'anni che ci assicurano che le università sono autogestite e ci son voluti
parecchi anni prima che potessimo constatare che non era affatto vero. Quando le prigioni e i
campi saranno a loro volta definiti come autogestiti, ci vorrà altrettanto per aprire gli occhi?
(1) Questo timore di un intervento sempre possibile dei militari mi fa pensare alla Spagna. Mi si
passi il parallelo iconoclasta, ma si rifletta un momento a qualcuna delle numerose
rassomiglianze tra i due paesi: il livello di sviluppo, il recente processo di industrializzazione, i
separatismi e nazionalismi regionali, il massiccio ricorso all'emigrazione della forza lavoro, la
lunga permanenza al potere di dittatori prestigiosi e innovatori (proprio così; è il caso anche di
Franco), l'emergere di classi medie al riparo del regime autoritario, ecc.. Naturalmente, il
paragone non ha altri significati, ma mi si darà ragione se osservo che i comunisti iugoslavi
troveranno rapidamente il loro Juan Carlos che, nel caso, li proteggerà dai loro militari...
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