Rivista Anarchica Online
Cinque domande a...
a cura della Redazione
1. Che lavoro fai? 2. Lavori solo per guadagnarti di che vivere o il tuo lavoro ha un senso anche al di là del
denaro? Quale? 3. Ti ha arricchito in qualche modo? Ha ampliato le tue capacità e le tue
conoscenze? 4. Ti è mai capitato di sentirti sdoppiato: una persona che vegeta durante le ore di lavoro
e
un'altra persona all'uscita dal lavoro? 5. Ti piacerebbe cambiare lavoro o pensi che tanto non cambierebbe niente? Cosa ti
piacerebbe fare?
franco
1) Il panettiere. In un piccolo panificio in cui, alla lavorazione del pane, oltre al sottoscritto c'è il
solo datore di lavoro o se vogliamo il padrone. Il lavoro si svolge di notte come del resto in tutti i
laboratori artigianali i cui lavoranti producono prevalentemente per l'attiguo negozio. 2) Non lavoro solo per
guadagnarmi da vivere, mi sembra ovvio, se così fosse cercherei di fare
qualcosa d'altro o vivere "lavoricchiando" alla giornata, ma penso che un senso al di là del denaro
l'avrebbe se lavorassi per me stesso, cioè se non fossi sotto padrone. Ciò naturalmente vale anche
per qualsiasi altro tipo di lavoro o quasi ma a questo annetto più di molti altri una certa utilità
sociale e sta qui il senso che al di là di tutto potrebbe avere e che in parte ha. Se poi non mi
entusiasma nemmeno l'ipotetico mettermi in proprio in questo lavoro, che di soddisfazioni ne
darebbe, è perché, a mia volta, dovrei diventare un "padroncino" considerato che fra laboratorio
dove si produce il pane e negozio dove si vende bisogna essere minimo in 4 persone.
L'associarmi con altri potrebbe essere una soluzione ma se teniamo conto che sono un anarchico
che fa dell'attività, di cui non farei a meno, vorrebbe dire che queste altre persone dovrebbero
essere compagni con cui oltre all'interesse comune del lavoro ci dovrebbe essere quello
dell'attività sociale e/o politica e una certa affinità caratteriale. E oggi come oggi è
già difficile
trovare altri compagni che facciano questo tipo di lavoro. 3) È ovvio che questo lavoro ha ampliato le
mie capacità e conoscenze ma debbo anche
aggiungere d'avere iniziato a 13 anni come garzone, da allora ho cambiato diversi posti
facendomi le mie esperienze, sia positive che negative (specie tenendo conto dello sfruttamento a
cui si è sottoposti in giovane età). 4) Non penso mi sia mai capitato di sentirmi sdoppiato anche
perché durante il lavoro non vegeto
e neppure all'uscita. La non soddisfazione ha altre cause che ho già cercato di spiegare prima che
non il lavoro stesso. 5) Cambierei anche tipo di lavoro visto il neo della notte e della poca disponibilità
di tempo
libero che questo mi dà, ma penso non cambierebbe niente a livello di soddisfazione personale.
Penso altresì che fino a quando sussisterà questo tipo di società non ci sarà lavoro
che soddisferà
le aspirazioni individuali. Cosa mi piacerebbe fare? Il meno possibile di qualsiasi tipo di lavoro che mi soddisfi
o diciamo
il minimo indispensabile per vivere come ci ha insegnato Thoreau nel suo libro "WALDEN
ovvero la vita nei boschi".
patrizio
1) Sono operaio e lavoro in un'azienda elettromeccanica. Il lavoro che svolgo viene definito di
aggiustaggio e consiste nel fare tutte quelle lavorazioni che non si possono fare con le macchine
utensili, ad esempio forature con trapani ad aria compressa, maschiature, molature e sbavature.
Devo dire che il tutto, da un punto di vista professionale, è scarsamente gratificante. 2) Quello che mi
spinse ad andare a lavorare abbastanza giovane fu soprattutto il non voler
dipendere più dal punto di vista economico dalla famiglia. Sulla scelta del mestiere, invece,
giocarono i miti allora in voga: l'autunno caldo appena finito e la visione di una classe operaia
come principale artefice di un cambiamento radicale. Oggi che i miei miti sono crollati l'unico
motivo per cui faccio questo lavoro è quello di guadagnarmi da vivere. 3) A differenza dell'artigiano
che segue il suo lavoro dalla A alla Z, l'operaio esegue solo una
piccolissima parte del lavoro e di conseguenza non ha una visione di insieme del pezzo finito.
Quindi le uniche conoscenze acquisibili riguardano il piccolo ambito della lavorazione a cui
viene adibito ciascun operaio. 4) Più che sdoppiato mi sento angosciato e irritato. Angosciato
perché devo vivere per otto
lunghe ore in un ambiente schifoso pieno di rumore, di odori e di fumo. Irritato perché il tempo
che butto via per arricchire qualcuno potrei impiegarlo in modo diverso. 5) Non ho in mente un lavoro preciso
che mi piacerebbe. Trovarne uno che mi lasci abbastanza
tempo libero e dove non ci siano capi e capetti a rompere i coglioni sarebbe per me un passo
avanti.
tiziana
1) Mi occupo dell'impaginazione di tutta la parte pubblicitaria di due riviste appartenenti a un
gruppo editoriale americano. Il mio lavoro consiste nel reperimento degli originali da riprodurre
presso il cliente o l'agenzia di pubblicità, nella scelta e nei tagli dei fotocolors; discuto quindi con
uno staff grafico l'impostazione della pagina che poi loro eseguono. Una volta realizzate le
pellicole definitive che serviranno per stampare impagino la rivista decidendo posizioni
particolari, accostamenti tra pagina e pagina, ecc. il lavoro si conclude quando "visto" la ciano
dello stampatore, dando così il via alla stampa. 2) Lavoro esclusivamente per guadagnarmi da vivere,
anche se devo confessare che dovendo
scegliere tra fare la segretaria o la contabile e quello che faccio realmente, preferisco questo tipo
di lavoro. Non nascondo che sotto sotto c'è una certa soddisfazione nel vedere uscire una rivista
che ho seguito dall'inizio della lavorazione fino a prodotto finito: questo credo che sia il rischio
che si corre nel fare un lavoro in un certo senso "creativo", anche se mi sento completamente al
di fuori dell'ambiente che circonda questo tipo di riviste. 3) Durante le ore di lavoro non sento di vegetare, forse
anche grazie al mio carattere che mi porta
ad essere sempre in movimento e responsabile di quello che faccio, anche se ideologicamente
contraria alla pubblicità e a tutto quello che produce. 4) Non mi è nemmeno mai capitato di
sentirmi sdoppiata in modo intollerabile: cerco di essere
me stessa anche sul lavoro; i miei colleghi sanno che sono anarchica e che faccio militanza.
Certo, durante le otto ore di ufficio sto con persone molto diverse da me nelle idee, negli
interessi, nel carattere e dopo aver timbrato il cartellino faccio finalmente con i compagni le cose
che più mi interessano. 5) Naturalmente vorrei cambiare lavoro! Se riuscirò (è un
obiettivo che mi prefiggo) mi
piacerebbe restare nel campo "grafico-fotografico", ma per conto mio, o comunque in un
ambiente di lavoro che mi permetta di avere più tempo libero per poter fare meglio quello che già
faccio per l'"idea".
pio
Nella tua vita, molto avventurosa e movimentata, tu hai sempre lavorato. Che lavoro
facevi? Ho sempre fatto il muratore. E ti dirò di più, ho sempre trovato il modo di
lavorare, anche in
situazioni difficili. Ad esempio, quando mi fermai in Marocco (dopo la sconfitta della
rivoluzione spagnola del 1936 - n.d.r.) in attesa di andare in Messico, ero insieme a dei compagni
dei gruppi libertari. Loro avevano un sussidio, ma io lo rifiutai e riuscii a trovare lavoro come
muratore pur essendo clandestino. La stessa cosa a Parigi e in tutti gli altri posti in cui sono
andato.
Il tuo lavoro cosa significa per te?
Certuni l'andare a lavorare lo consideravano una condanna, ma per me lavorare è sempre stato un
piacere. Anche se si vive in una società ingiusta determinate cose sono necessarie e utili per la
vita degli uomini e creare queste cose utili, nel miglior modo possibile, mi ha sempre dato grande
soddisfazione, anche se il mio era un lavoro umile. Non credo si possa combattere la società e i
padroni rifiutando il lavoro. Ricordo che ad un convegno nel 1969 intervenne un compagno per
dire che si stava avvicinando l'autunno caldo e che saremmo dovuti andare a Torino alla Fiat e
colpire Agnelli distruggendo le catene di montaggio. Poi intervenni io e dissi che durante
l'occupazione delle fabbriche nel 1920 Malatesta correva come un matto da una fabbrica all'altra
del triangolo industriale raccomandando agli operai non di distruggere le macchine ma di tenerle
in perfetto stato in modo da essere pronti a ricominciare la produzione in modo autogestito. Quel
compagno mi faceva ridere. Agnelli avrebbe continuato a fare la bella vita e chi ci avrebbe
rimesso sarebbero stati gli operai che non avrebbero potuto portare a casa lo stipendio: non si
tratta, evidentemente, di difendere la catena di montaggio in sé (che evidentemente andrà abolita,
come ogni forma disumana di lavoro).
Lavoravi sotto padrone o per conto tuo?
Quasi sempre sotto padrone. Per un anno ho lavorato per conto mio in Francia e per 5/6 anni,
sempre in Francia ho lavorato con un gruppo di friulani e bolognesi. Ci eravamo specializzati nel
rifacimento delle facciate e in questo modo ho girato tutte le città d'acqua della Francia. È stato
un periodo molto bello. Nel 1951 l'impresario per cui lavoravo mi voleva mandare a costruire una chiesa ma io
rifiutai (i
comunisti però ci andarono) e poiché era un periodo in cui le condizioni di lavoro erano pessime,
preferii andare a lavorare in Svizzera dove rimasi per 3 anni.
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