Rivista Anarchica Online
Ricordando un uomo libero
di G.
Parigi, 1947. Nel negozietto lungo il canale Saint-Martin, dove si trova dall'indomani della
Liberazione la redazione de Le libertaire, l'organo della federazione anarchica, si affaccia un
giovane ventenne. Si presenta, milita nel gruppo anarchico del 15° arrondissement: nel corso del
colloquio con i compagni presenti, viene fuori la necessità di trovare un giovane che collabori per
le spedizioni del giornale. Il ragazzo si offre. Con questo ricordo si apre il lungo articolo che Maurice Joyeux,
anziano militante della
federazione anarchica, dedica sul n. 417 de Le monde libertaire (diretta continuazione de Le
libertaire sopra citato) al cantautore Georges Brassens. Quel ragazzo, che per alcuni mesi restò
poi a lavorare con il gruppo editoriale del giornale, era infatti Brassens. Negli anni successivi,
quando ormai era diventato famoso, partecipò a numerosi gala, le feste promosse dalla
federazione anarchica per sostenere la stampa e altre iniziative: furono queste feste ad assicurare i
fondi necessari per tirare avanti. E Brassens, per un periodo, ne costituì la principale attrazione. Ma
l'anarchismo di Brassens, osserva Joyeux che ne restò amico anche quando smise di
frequentare l'ambiente anarchico, viene fuori soprattutto dai suoi testi, dalla sua musica, dalla sua
personalità. In Italia è stato Fabrizio De Andrè a farne conoscere, nella sua versione, alcuni
dei
testi più significativi, più graffianti - negli anni '60. In tempi più recenti Nanni Svampa ne
ha
proposto una sua originale versione in dialetto milanese, smussandone però la violenza verbale e
la provocatorietà espressiva. Invece no. Brassens andrebbe conosciuto nella sua integralità, senza
ritocchi o presunti abbellimenti. Perché se l'uomo è morto, la sua dolcezza e la sua rabbia sono
più che mai vive, provocanti.
Se n'è andato quasi come un personaggio delle sue canzoni, appoggiando la chitarra al muro,
senza voler disturbare nessuno. Probabilmente infastidito dal suono dei tromboni che
inevitabilmente sarebbero risuonati. I tromboni che prendevano una rivincita su anni di sberleffi,
su anni di insulti giostrati sulle corde. "Chi resta ha sempre ragione" diceva in una sua canzone. E
chi resta si trova tra le mani le sue canzoni, si trova tra le mani il suo sorriso un po' triste, i suoi
gatti, le impronte di vita che egli ha lasciato con della musica addosso. È morto un anarchico. Come gli
anarchici ha preso per il culo la vita e la morte, forse per
esorcizzarle, forse per strizzar loro l'occhio, per farsele amiche. Come gli anarchici ha cantato la
vita con il suo odore aspro, il suo alito di fiori e aglio, ha corteggiato la morte, forse senza averne
paura, forse sentendo il suo fiato sul collo. Come gli anarchici ha puntato il dito, armato solo
della spada di legno della sua chitarra, della sua cultura di uomo e non di sapiente. Armato solo
delle parole che gli suggerivano gli occhi. Come gli anarchici è stato accusato, insultato, deriso,
come gli anarchici ha accusato, insultato, deriso, avendo però dalla sua, la forza di chi non ha
nulla da perdere. La forza di chi ha perso l'unico bene per cui val la pena di lottare: la libertà, e lo
rivuole indietro. Retorica? Illusione? Forse. La stessa retorica e la stessa illusione, se così
vogliamo chiamarle, di chi crede che possa esistere una realtà migliore. Di chi lotta perché questa
realtà si... realizzi. Brassens non ha mai legato con gli altri "colleghi" quelli del maglione, del whisky
nella mano,
della sigaretta all'angolo della bocca, del conto in banca, dell'angoscia di esistere senza in realtà
vivere. Il suo sberleffo aveva il sapore di un saporito pernacchio che veniva dal profondo, non era
isterico, né angosciato, né voleva dimostrare chissà cosa, era un pernacchio e basta, fatto
in prima
fila, fatto dal balcone. Era il: "Scemi, scemi!" di uno che vive, che azzanna il sedere alla vita e
non ha tempo di fermarsi a spiegare agli altri che sono statue di sale, ma li dileggia dalla strada
passando. Erano due occhi spalancati sul mondo, con il gusto di un bambino che morsica una
mela e non ha nulla da temere. Erano due mani pronte al gestaccio, pronte a tirare il sasso, come
pronte a carezzare, come pronte a strozzare. Era una voce neanche tanto bella, ma che era fatta di
parole e non di suoni da baraccone. Era la voce che sempre corre tra la gente, che grida: "Il re è
nudo!", anche quando sembra che non ci sia più speranza, che tutto sia perduto. Era un uomo,
forse come tanti, con in più il pregio di una lingua come bisturi e di un cervello colmo fino
all'orlo di vita. Tutta da gustare, fino alla tomba, fin sotto terra a guardare le radici, ma che siano
radici di fiori. "Non lascerò chiudere la cassa, voglio passare prima dal mio barbiere", e anche
dopo morto "se mi toccano i gatti lo giuro farò il fantasma per spaventarli!". È morto un
anarchico, aveva il pregio d'aver preso la vita e la morte sottobraccio per portarle a
bere, aveva il pregio d'aver preso i potenti e i loro scagnozzi, per il sedere e per le palle, tirando
forte. Aveva il pregio di essere un uomo che voleva libertà come aria, scusate se è poco!
MORIRE PER DELLE IDEE (F. De Andrè - G. Brassens)
Morire per delle idee, l'idea è affascinante per poco io morivo senza averla mai
avuta, perché chi ce l'aveva, una folla di gente, gridando "viva la morte" proprio addosso mi
è caduta. Mi avevano convinto e la mia musa insolente abiurando i suoi errori, aderì alla
loro fede dicendomi peraltro in separata sede moriamo per delle idee, va bè, ma di morte
lenta ma di morte lenta.
Approfittando di non essere fragilissimi di cuore andiamo all'altro mondo bighellonando un
poco perché forzando il passo succede che si muore per delle idee che non hanno più corso
il giorno dopo. Ora se c'è una cosa amara, desolante è quella di capire all'ultimo
momento che l'idea giusta era un'altra, un altro movimento moriamo per delle idee, va bè, ma di
morte lenta ma di morte lenta.
Gli apostoli di turno che apprezzano il martirio lo predicano spesso per novant'anni almeno. Morire per
delle idee sarà il caso di dirlo è il loro scopo di vivere, non sanno farne a meno. E sotto ogni
bandiera li vediamo superare il buon matusalemme nella longevità per conto mio si dicono in tutta
intimità moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta va bè, ma di morte
lenta.
A chi va poi cercando verità meno fittizie ogni tipo di setta offre moventi originali e la scelta
è imbarazzante per le vittime novizie morire per delle idee è molto bello ma per quali. E
il vecchio che si porta già i fiori sulla tomba vedendole venire dietro il grande stendardo pensa
"speriamo bene che arrivi in ritardo" moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta va bè,
ma di morte lenta.
E voi gli sputafuoco, e voi i nuovi santi crepate pure per primi noi vi cediamo il passo però per
gentilezza lasciate vivere gli altri la vita è grosso modo il loro unico lusso tanto più che la
carogna è già abbastanza attenta non c'è nessun bisogno di reggerle la falce basta
con le garrote in nome della pace moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta ma di morte
lenta.
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