Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 97
dicembre 1981 - gennaio 1982


Rivista Anarchica Online

LETTURE
a cura della Redazione

Anarchia e creatività (di Arturo Schwartz)

Anarchia e creatività è il titolo di un libro uscito recentemente per le edizioni La Salamandra (Milano 1981, pagg. 167, lire 12.000). Arturo Schwartz, autore del libro, parte dalla convinzione che esista uno strettissimo legame tra anarchia e creazione, poiché "Creare significa dar vita a ciò che prima non esisteva; inventare, creare al di fuori di ogni schema. Ogni creatore parte dalla tabula rasa e nel momento stesso in cui diviene creatore rifiuta il principio di autorità. Volente o nolente, conscio o inconscio, ogni individuo impegnato in un'attività creatrice è un anarchico, tant'è che non esiterei a scrivere che creatore e anarchico sono termini interscambiabili, perfetti sinonimi, e che è persino tautologico parlare di un creatore anarchico o di un anarchico creatore". Su queste basi Schwartz ha raccolto le risposte di numerosissimi poeti, scrittori e saggisti, artisti, filosofi, ecc. a due domande:
1) In che misura la provocazione del modello anarchico (rifiuto dell'autorità e della delega) influisce sul tuo modo di vivere e di creare?
2) Benjamin Péret ha scritto: "Il poeta si erge contro tutti, compresi i rivoluzionari che - collocandosi sul terreno della sola politica isolata arbitrariamente così dall'insieme del movimento culturale - preconizzano la sottomissione della cultura al compimento della rivoluzione sociale". Voi darci le tue ragioni di assenso o dissenso su questa posizione?
Le risposte sembrano in gran parte confermare l'esistenza di questo legame, di questa influenza anarchica che si manifesta, non a livello politico, ideologico, bensì nel modo di sentire, di concepire la vita e il mondo. Delle risposte che ci sono sembrate più stimolanti riportiamo alcuni brani.

Eugenio Battisti, storico d'arte e saggista.

La mia vita è stata un continuo scontro, non privo di rimorsi, contro autorità amichevoli, incominciando con mio padre, o nemiche; lo scontro talvolta è stato provocato da reazioni inattese, ma evidentemente giustificate, da parte degli altri, quasi mai da una efficace rivolta, cioè da un gesto intenzionale. (...) I miei rapporti con le autorità accademiche, ovviamente, sono più importanti, perché specifici, che quelli con l'autorità politica o giudiziaria; credo anzi che uno debba e possa comportarsi onestamente specialmente nell'ambito del proprio mestiere. E a questo punto, il modello anarchico è anche uno strumento perfetto di filologia. E insegna a non credere mai in nessun dato che sia riferito senza prove, a non accettare mai l'interpretazione degli altri senza averne ripercorso il ragionamento di persona, a non lasciarsi portare dalle mode, ma caso mai divenire un compartecipe, creativo, quindi critico delle mode; a risalire, sempre, alle fonti; a riproporsi, sempre, un problema daccapo. (...) La peggiore autorità, però, sta in noi stessi, è cioè la nostra continuità e la nostra inerzia. Quindi bisogna impegnarsi a cambiare idea, a perdere magari ogni concetto di dignità, cioè di stabilità e permanenza, per oscillare quanto la situazione richiede, ad essere contraddittori, altrettanto in pubblico che in privato. (...).

Heribert Becker, saggista (Germania).

(...) Indubbiamente queste idee hanno giocato per me il ruolo, più che di una causa determinante, di una conferma. Né potrebbe essere altrimenti: forse che la rivolta si impara? Riferendomi alla mia esperienza personale, posso dire che il mio primo reale contatto con le idee anarchiche non è avvenuto attraverso un contatto teorico con i "classici" dell'anarchismo, bensì attraverso il fascino esercitato da un concreto evento politico: la rivolta parigina del maggio 1968. La grandezza e i limiti di questo avvenimento, li ho ritrovati in seguito allorché mi sono occupato teoricamente delle idee anarchiche: grandezza e limiti dell'individualismo, della spontaneità, ecc. (...).

Guy Ducornet, poeta e pittore (Francia).

L'apprendistato dell'individualismo, primaria condizione dell'esperienza libertaria, si conosce molto presto, fin dalle prime resistenze al potere e all'autorità arbitrari, ai sistemi più o meno organizzati e gerarchizzati della famiglia, della religione, della scuola. E siccome non è mai facile dire no, ricordo di aver conosciuto la solitudine del non-conformismo e del "dissidente" per ben quindici anni in un convitto di studenti, anni che non hanno fatto altro che rafforzare questo tropismo libertario. (...) Quando ci si ritrova da soli, o quasi, di fronte al "capo" e a un gruppo manipolato, si acquista per sempre una diffidenza organica nei confronti sia dei lupi che delle pecore, e il senso esasperato dell'amicizia e della lealtà, il convincimento che la disciplina, se necessaria per un artista, non ha niente in comune con la repressione. (...) Mentre andavo scoprendo la mia propria "libertà" ero particolarmente sensibile a tutto quello che trovavo, alla rinfusa, in André Breton, Camus, Pannekoek, Sartre, (...) nelle battaglie contro la tortura, per lo statuto degli obiettori di coscienza con Lecoin, negli scioperi e nelle manifestazioni come il 13 maggio '58, ecc.. Ma anche qui, diffidenza delle parole d'ordine, dei gruppi, degli slogan, dei fini che giustificano tutti i mezzi. (...) Grazie a Guy Malouvier, segretario della Federazione Anarchica, e al sociologo americano Gérard De Gré, studiai seriamente i classici dell'anarchismo. In seguito ci furono altri incontri determinanti (...). Le "influenze" sono diffusissime. Si tratta più che altro di confluenze, di riconoscimenti, di scelte comuni. Dipingere, scrivere, sognare, giocare, combattere perché ci sia sempre più libertà, poesia, amore. (...).

Henry Miller, scrittore (Stati Uniti).

Sono stato anarchico, anche se non militante, si può dire, per tutta la vita. Ho cominciato a leggere gli autori anarchici all'età di 16-17 anni. A San Diego, nel 1913, ho conosciuto Emma Goldman - ha dato un corso completamente diverso alla mia esistenza. Ho spiegato queste cose nei miei libri autobiografici. Chiunque mi abbia letto con intelligenza dovrebbe sapere quali sono i miei sentimenti e come la penso. Il mio autore preferito, tra gli anarchici, è stato Kropotkin - e soprattutto il suo Pane (La conquista del pane).

Siné, disegnatore satirico (Francia).

Da sempre l'anarchismo ha influenzato ogni ora della mia vita. Ho rispettato e ammirato mio padre anarchico, a cui somigliavo fisicamente. Il mio sogno era di somigliargli moralmente. (...) È morto a casa mia a 85 anni, sempre fedele alle sue convinzioni antimilitariste, anticattoliche, anticapitaliste.... Io ho avuto le stesse convinzioni, aggiungendovi l'antirazzismo e l'anticolonialismo, che non lo preoccupavano molto.... Nell'esercito, nel 1949, feci otto mesi di prigione su dodici, e cominciai i disegni umoristici fin da quando ne uscii per saldare i miei conti. Cominciai ad aiutare gli algerini fin dal 1956, e non smisi che alla fine della guerra nel 1962. (...).

Sentieri in Utopia (di Martin Buber)

È uscita quest'anno la seconda edizione del libro di Martin Buber: Sentieri in Utopia (Edizioni di Comunità, pp. 172, L. 7.000) che segue di parecchi anni la prima. Nonostante l'età, l'edizione originale risale al 1945, il libro merita di essere letto per i suoi spunti interessanti ed attuali e per il tema, rivalutazione dell'utopia, ancora oggi negletto.
Buber rivaluta in positivo il termine utopista, tra l'altro spiegando la genesi negativa dello stesso: (...) L'appellativo "utopista" è diventato dopo di allora l'arma più poderosa nella lotta del marxismo contro il socialismo non-marxista. Non si tratta più di dimostrare di volta in volta la giustezza della propria opinione contro quella avversaria; in genere si trova nel proprio campo, per principio ed esclusivamente, la scienza e con essa la verità, in quello altrui, per principio ed esclusivamente l'utopia e con essa l'inganno. Nella nostra epoca essere "utopisti" significa non essere al passo col moderno sviluppo economico, e che cosa sia il moderno sviluppo economico, l'insegna il marxismo. Partendo da questa rivalutazione fa un excursus del pensiero socialista utopista, un particolare riguardo viene dato al pensiero anarchico di Proudhon, Kropotkin e Landauer, una critica serrata dell'ideologia marxista e un'analisi, in definitiva una rivalutazione, del sistema cooperativistico, nel senso più ampio di comunità. L'idea centrale di Buber è una società basata su comunità autonome, federate tra di loro, laboratori sperimentali di nuove forme di socialità e nello stesso tempo forgiatori dello spirito che dovrebbe permeare una società nuova, spirito comunitario di autonomia e libertà. E evidente che le posizioni di Buber sono molto vicine al pensiero anarchico, inoltre il rigore con cui affronta alcune problematiche è particolarmente interessante. Se alcuni concetti buberiani sono perlomeno ambigui, per esempio la sua distinzione tra stato necessario e stato superfluo, altri invece sono spunti fecondi, come l'analisi dei pericoli connessi con l'utopia o l'involuzione possibile nelle comunità.
Importante, per esempio, l'analisi del fallimento delle cooperative dell'ottocento. Buber individua piuttosto bene la differenza tra progetti limitati, cooperative di consumo e produzione e comuni, cooperative totali. Le prime, partendo da posizioni di necessità contingente sono legate alla realtà, spesso hanno un notevole successo, ma rischiano ad ogni passo il recupero da parte del sistema o ritornando a forme di sfruttamento o limitandosi, paghe del successo economico, senza porsi il problema del cambiamento; le seconde, partendo da un progetto globale, spesso si calano in una realtà completamente diversa senza curarsene, finendo quindi per morire o perché completamente isolate o perché travagliate dal dogmatismo interno che impedisce qualsiasi cambiamento. Interessante, a questo punto, la definizione di egoismo collettivo che dà Buber. Di solito però succede che soltanto l'egoismo collettivo, l'egoismo con la coscienza pulita, prende in una certa misura il posto dell'egoismo individuale; se questo minaccia di spezzare la coesione interna della cooperativa, quello spesso si fonde con la dogmatica, impedisce che si formi un'autentica educazione comunitaria fra una cooperativa e le altre, fra la cooperativa e il mondo.
Un altro punto molto importante è la critica del pensiero marxista: per Buber è evidente l'insanabile contraddizione tra centralismo e libertà, e la limitatezza del pensiero marxista che rifiuta la tensione utopica: (...) ma qui si rivela appunto con chiarezza storica la limitatezza della visione del mondo marxista nel suo atteggiamento verso una realtà che sta nascendo o vuole nascere: l'elemento potenziale, che per svilupparsi ha bisogno di essere assecondato dall'idea della forma sociale, rimane ignorato. Non si può certo "sapere" quale aspetto assumerà il socialismo, ma si può sapere come si vuole che si presenti, e questa conoscenza accompagnata da questa volontà, questa volontà consapevole agisce in quanto tale sul divenire; e se si è centralisti, il proprio centralismo influisce sul divenire insieme con gli altri fattori. Lo spazio simbolico in cui s'iscrivono i concetti è diverso, la scelta che precede e fonda è la scelta della libertà e se si possono usare, per ragioni tattiche le forme della libertà, queste possono essere solo stravolte, svuotate del loro significato. Ecco perché, per Buber, il pensiero marxista non è in grado di capire la Comune di Parigi, realizzazione della tensione utopica, così come non è in grado di comprendere i Consigli: queste sono le forme della libertà estranee al pensiero centralista. Indubbiamente le simpatie di Buber vanno alle comunità, soprattutto ai tentativi israeliani di questo secolo, ma il suo occhio rimane vigile, riesce anche in questo caso ad individuare pericoli e possibili involuzioni. Per questo anche se Buber non è anarchico, il suo pensiero è fonte molto interessante: i problemi che affronta Buber sono tutt'ora aperti e il suo punto di vista, inscritto nella nostra logica, seppure diverso, non può che aiutare la discussione.