Rivista Anarchica Online
LETTURE
a cura della Redazione
Anarchia e creatività (di Arturo Schwartz)
Anarchia e creatività è il titolo di un libro uscito recentemente per le edizioni La
Salamandra
(Milano 1981, pagg. 167, lire 12.000). Arturo Schwartz, autore del libro, parte dalla convinzione
che esista uno strettissimo legame tra anarchia e creazione, poiché "Creare significa dar vita a
ciò che prima non esisteva; inventare, creare al di fuori di ogni schema. Ogni creatore parte
dalla tabula rasa e nel momento stesso in cui diviene creatore rifiuta il principio di autorità.
Volente o nolente, conscio o inconscio, ogni individuo impegnato in un'attività creatrice è un
anarchico, tant'è che non esiterei a scrivere che creatore e anarchico sono termini
interscambiabili, perfetti sinonimi, e che è persino tautologico parlare di un creatore anarchico
o di un anarchico creatore". Su queste basi Schwartz ha raccolto le risposte di numerosissimi
poeti, scrittori e saggisti, artisti, filosofi, ecc. a due domande: 1) In che misura la provocazione
del modello anarchico (rifiuto dell'autorità e della delega)
influisce sul tuo modo di vivere e di creare? 2) Benjamin Péret ha scritto: "Il poeta si erge
contro tutti, compresi i rivoluzionari che -
collocandosi sul terreno della sola politica isolata arbitrariamente così dall'insieme del
movimento culturale - preconizzano la sottomissione della cultura al compimento della
rivoluzione sociale". Voi darci le tue ragioni di assenso o dissenso su questa posizione? Le risposte
sembrano in gran parte confermare l'esistenza di questo legame, di questa influenza
anarchica che si manifesta, non a livello politico, ideologico, bensì nel modo di sentire, di
concepire la vita e il mondo. Delle risposte che ci sono sembrate più stimolanti riportiamo
alcuni brani.
Eugenio Battisti, storico d'arte e saggista.
La mia vita è stata un continuo scontro, non privo di rimorsi, contro autorità amichevoli,
incominciando con mio padre, o nemiche; lo scontro talvolta è stato provocato da reazioni
inattese, ma evidentemente giustificate, da parte degli altri, quasi mai da una efficace rivolta,
cioè da un gesto intenzionale. (...) I miei rapporti con le autorità accademiche, ovviamente, sono
più importanti, perché specifici, che quelli con l'autorità politica o giudiziaria; credo anzi
che
uno debba e possa comportarsi onestamente specialmente nell'ambito del proprio mestiere. E a
questo punto, il modello anarchico è anche uno strumento perfetto di filologia. E insegna a non
credere mai in nessun dato che sia riferito senza prove, a non accettare mai l'interpretazione
degli altri senza averne ripercorso il ragionamento di persona, a non lasciarsi portare dalle
mode, ma caso mai divenire un compartecipe, creativo, quindi critico delle mode; a risalire,
sempre, alle fonti; a riproporsi, sempre, un problema daccapo. (...) La peggiore autorità, però,
sta in noi stessi, è cioè la nostra continuità e la nostra inerzia. Quindi bisogna impegnarsi
a
cambiare idea, a perdere magari ogni concetto di dignità, cioè di stabilità e permanenza, per
oscillare quanto la situazione richiede, ad essere contraddittori, altrettanto in pubblico che in
privato. (...).
Heribert Becker, saggista (Germania).
(...) Indubbiamente queste idee hanno giocato per me il ruolo, più che di una causa
determinante, di una conferma. Né potrebbe essere altrimenti: forse che la rivolta si impara?
Riferendomi alla mia esperienza personale, posso dire che il mio primo reale contatto con le
idee anarchiche non è avvenuto attraverso un contatto teorico con i "classici" dell'anarchismo,
bensì attraverso il fascino esercitato da un concreto evento politico: la rivolta parigina del
maggio 1968. La grandezza e i limiti di questo avvenimento, li ho ritrovati in seguito allorché mi
sono occupato teoricamente delle idee anarchiche: grandezza e limiti dell'individualismo, della
spontaneità, ecc. (...).
Guy Ducornet, poeta e pittore (Francia).
L'apprendistato dell'individualismo, primaria condizione dell'esperienza libertaria, si conosce
molto presto, fin dalle prime resistenze al potere e all'autorità arbitrari, ai sistemi più o meno
organizzati e gerarchizzati della famiglia, della religione, della scuola. E siccome non è mai
facile dire no, ricordo di aver conosciuto la solitudine del non-conformismo e del "dissidente"
per ben quindici anni in un convitto di studenti, anni che non hanno fatto altro che rafforzare
questo tropismo libertario. (...) Quando ci si ritrova da soli, o quasi, di fronte al "capo" e a un
gruppo manipolato, si acquista per sempre una diffidenza organica nei confronti sia dei lupi che
delle pecore, e il senso esasperato dell'amicizia e della lealtà, il convincimento che la disciplina,
se necessaria per un artista, non ha niente in comune con la repressione. (...) Mentre andavo
scoprendo la mia propria "libertà" ero particolarmente sensibile a tutto quello che trovavo, alla
rinfusa, in André Breton, Camus, Pannekoek, Sartre, (...) nelle battaglie contro la tortura, per lo
statuto degli obiettori di coscienza con Lecoin, negli scioperi e nelle manifestazioni come il 13
maggio '58, ecc.. Ma anche qui, diffidenza delle parole d'ordine, dei gruppi, degli slogan, dei fini
che giustificano tutti i mezzi. (...) Grazie a Guy Malouvier, segretario della Federazione
Anarchica, e al sociologo americano Gérard De Gré, studiai seriamente i classici
dell'anarchismo. In seguito ci furono altri incontri determinanti (...). Le "influenze" sono
diffusissime. Si tratta più che altro di confluenze, di riconoscimenti, di scelte comuni.
Dipingere,
scrivere, sognare, giocare, combattere perché ci sia sempre più libertà, poesia, amore.
(...).
Henry Miller, scrittore (Stati Uniti).
Sono stato anarchico, anche se non militante, si può dire, per tutta la vita. Ho cominciato a
leggere gli autori anarchici all'età di 16-17 anni. A San Diego, nel 1913, ho conosciuto Emma
Goldman - ha dato un corso completamente diverso alla mia esistenza. Ho spiegato queste cose
nei miei libri autobiografici. Chiunque mi abbia letto con intelligenza dovrebbe sapere quali
sono i miei sentimenti e come la penso. Il mio autore preferito, tra gli anarchici, è stato
Kropotkin - e soprattutto il suo Pane (La conquista del pane).
Siné, disegnatore satirico (Francia).
Da sempre l'anarchismo ha influenzato ogni ora della mia vita. Ho rispettato e ammirato mio
padre anarchico, a cui somigliavo fisicamente. Il mio sogno era di somigliargli moralmente. (...)
È morto a casa mia a 85 anni, sempre fedele alle sue convinzioni antimilitariste, anticattoliche,
anticapitaliste.... Io ho avuto le stesse convinzioni, aggiungendovi l'antirazzismo e
l'anticolonialismo, che non lo preoccupavano molto.... Nell'esercito, nel 1949, feci otto mesi di
prigione su dodici, e cominciai i disegni umoristici fin da quando ne uscii per saldare i miei
conti. Cominciai ad aiutare gli algerini fin dal 1956, e non smisi che alla fine della guerra nel
1962. (...).
Sentieri in Utopia (di Martin Buber)
È uscita quest'anno la seconda edizione del libro di Martin Buber: Sentieri in Utopia
(Edizioni
di Comunità, pp. 172, L. 7.000) che segue di parecchi anni la prima. Nonostante l'età, l'edizione
originale risale al 1945, il libro merita di essere letto per i suoi spunti interessanti ed attuali e
per il tema, rivalutazione dell'utopia, ancora oggi negletto. Buber rivaluta in positivo il termine
utopista, tra l'altro spiegando la genesi negativa dello
stesso: (...) L'appellativo "utopista" è diventato dopo di allora l'arma più poderosa nella lotta
del
marxismo contro il socialismo non-marxista. Non si tratta più di dimostrare di volta in volta la
giustezza della propria opinione contro quella avversaria; in genere si trova nel proprio campo,
per principio ed esclusivamente, la scienza e con essa la verità, in quello altrui, per principio ed
esclusivamente l'utopia e con essa l'inganno. Nella nostra epoca essere "utopisti" significa non
essere al passo col moderno sviluppo economico, e che cosa sia il moderno sviluppo economico,
l'insegna il marxismo. Partendo da questa rivalutazione fa un excursus del pensiero socialista
utopista, un particolare riguardo viene dato al pensiero anarchico di Proudhon, Kropotkin e
Landauer, una critica serrata dell'ideologia marxista e un'analisi, in definitiva una
rivalutazione, del sistema cooperativistico, nel senso più ampio di comunità. L'idea centrale di
Buber è una società basata su comunità autonome, federate tra di loro, laboratori
sperimentali
di nuove forme di socialità e nello stesso tempo forgiatori dello spirito che dovrebbe permeare
una società nuova, spirito comunitario di autonomia e libertà. E evidente che le posizioni di
Buber sono molto vicine al pensiero anarchico, inoltre il rigore con cui affronta alcune
problematiche è particolarmente interessante. Se alcuni concetti buberiani sono perlomeno
ambigui, per esempio la sua distinzione tra stato necessario e stato superfluo, altri invece sono
spunti fecondi, come l'analisi dei pericoli connessi con l'utopia o l'involuzione possibile nelle
comunità. Importante, per esempio, l'analisi del fallimento delle cooperative dell'ottocento.
Buber
individua piuttosto bene la differenza tra progetti limitati, cooperative di consumo e produzione
e comuni, cooperative totali. Le prime, partendo da posizioni di necessità contingente sono
legate alla realtà, spesso hanno un notevole successo, ma rischiano ad ogni passo il recupero da
parte del sistema o ritornando a forme di sfruttamento o limitandosi, paghe del successo
economico, senza porsi il problema del cambiamento; le seconde, partendo da un progetto
globale, spesso si calano in una realtà completamente diversa senza curarsene, finendo quindi
per morire o perché completamente isolate o perché travagliate dal dogmatismo interno che
impedisce qualsiasi cambiamento. Interessante, a questo punto, la definizione di egoismo
collettivo che dà Buber. Di solito però succede che soltanto l'egoismo collettivo, l'egoismo
con la
coscienza pulita, prende in una certa misura il posto dell'egoismo individuale; se questo minaccia
di spezzare la coesione interna della cooperativa, quello spesso si fonde con la dogmatica,
impedisce che si formi un'autentica educazione comunitaria fra una cooperativa e le altre, fra la
cooperativa e il mondo. Un altro punto molto importante è la critica del pensiero marxista: per
Buber è evidente
l'insanabile contraddizione tra centralismo e libertà, e la limitatezza del pensiero marxista che
rifiuta la tensione utopica: (...) ma qui si rivela appunto con chiarezza storica la limitatezza della
visione del mondo marxista nel suo atteggiamento verso una realtà che sta nascendo o vuole
nascere: l'elemento potenziale, che per svilupparsi ha bisogno di essere assecondato dall'idea
della forma sociale, rimane ignorato. Non si può certo "sapere" quale aspetto assumerà il
socialismo, ma si può sapere come si vuole che si presenti, e questa conoscenza accompagnata da
questa volontà, questa volontà consapevole agisce in quanto tale sul divenire; e se si è
centralisti,
il proprio centralismo influisce sul divenire insieme con gli altri fattori. Lo spazio simbolico in
cui s'iscrivono i concetti è diverso, la scelta che precede e fonda è la scelta della libertà e
se si
possono usare, per ragioni tattiche le forme della libertà, queste possono essere solo stravolte,
svuotate del loro significato. Ecco perché, per Buber, il pensiero marxista non è in grado di
capire la Comune di Parigi, realizzazione della tensione utopica, così come non è in grado di
comprendere i Consigli: queste sono le forme della libertà estranee al pensiero centralista.
Indubbiamente le simpatie di Buber vanno alle comunità, soprattutto ai tentativi israeliani di
questo secolo, ma il suo occhio rimane vigile, riesce anche in questo caso ad individuare pericoli
e possibili involuzioni. Per questo anche se Buber non è anarchico, il suo pensiero è fonte molto
interessante: i problemi che affronta Buber sono tutt'ora aperti e il suo punto di vista, inscritto
nella nostra logica, seppure diverso, non può che aiutare la discussione.
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