Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 97
dicembre 1981 - gennaio 1982


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Storia di un uomo semplice

Cari compagni, ho letto su "A" 94 l'intervista del compagno dell'Utopia 3 a suo figlio di dieci anni e devo ammettere che lo sbigottimento è stato grande. Ogni frase mi faceva sussultare e ho letto quell'intervista tre volte, incredulo e ancora oggi non riesco a capacitarmi. Quello è catechismo pesante dalla prima parola all'ultima.
Lungi da me l'idea di vestire i panni del Torquemada, ma non ho nessuna voglia di sentirmi nei panni di quel ragazzo. "Troppo facile dire questo" potrà obiettare qualcuno: sacrosante parole, perché io figli non ne ho mai avuti, però sono stato un figlio anch'io e mi ricordo benissimo di aver avuto simile indottrinamento da parte di mio padre. Ricordo che quando abbiamo lasciato il paesino di montagna e siamo andati ad abitare a Valle io ero disperato perché non potevo giocare con i miei nuovi amici perché non avevo giocattoli ed i loro giocattoli erano pistole, fucili e asce da indiani. Ho passato una settimana intera davanti al negozio del droghiere a contemplare una pistola che era in vetrina. Ero semplicemente stregato da quel luccichio che non avevo mai visto prima. A casa, mio padre aveva capito che qualcosa non andava per il verso giusto e così una sera ne parlammo: gli spiegai che io non avevo amici perché non avevo giocattoli. E mio padre mi tranquillizzò dicendomi che il giorno dopo saremmo andati insieme dal droghiere a fare acquisti. All'indomani io ero là con un'ora di anticipo e quando lui arrivò gli mostrai la pistola. Rimase ammutolito per un minuto e poi mi chiese se quel giocattolo era veramente indispensabile; alla mia risposta affermativa non aggiunse parole ed entrammo. Quella pistola costava 1.500 lire e tanto per fare un termine di paragone, la carne da lesso costava meno di 2.000 al chilo; il pane 90/120 lire al Kg, il latte 36/38 lire al litro; di questi dati sono sicuro.
Giocai un mese spensierato e poi la pistola si ruppe. Dopo qualche giorno era il mio compleanno e mio padre mi regalò una bicicletta da corsa; non so nemmeno quanto sia costata ma so solo che ero felicissimo e che dimenticai subito la pistola e gli indiani, anzi allora erano i miei compagni di scuola che morivano d'invidia.
A quindici anni lasciai la famiglia e andai a Pinerolo per il liceo. Volevo stare da solo perché volevo dimostrare a me stesso e agli altri che riuscivo a mantenermi da solo e così al mattino ero a scuola, il pomeriggio alla "Galup" a incartar panettoni e a tempo perso, a casa, rilegavo libri e "Il milione" della De Agostini. E intanto sul lavoro a poco a poco cominciai a pensare a mio padre, alla pistola e a tante altre cazzate che lui aveva comprato dietro mia richiesta.
Cominciai a pensare quante brente aveva dovuto trasportare per pagare tutte le mie voglie e riflessione dopo riflessione ho capito. Oggi mi sento fratello e amico con voi e con tutti quelli che come voi e me la pensano e tutto questo lo devo a mio padre, a tutte quelle parole mai dette, a tutte quelle prediche che io non ho mai sentito ma che, appunto perché mai dette, sono diventate parole vive non appena ho provato tutto sulla mia pelle. Ecco, questo è un mozzicone di storia di un uomo semplice, ma a mio avviso saggio e soprattutto il migliore dei miei amici.

Carlo L. (Milano)