Rivista Anarchica Online
Storia di un uomo semplice
Cari compagni, ho letto su "A" 94 l'intervista del compagno dell'Utopia 3 a suo figlio di dieci
anni e devo ammettere che lo sbigottimento è stato grande. Ogni frase mi faceva sussultare e ho
letto quell'intervista tre volte, incredulo e ancora oggi non riesco a capacitarmi. Quello è
catechismo pesante dalla prima parola all'ultima. Lungi da me l'idea di vestire i panni del
Torquemada, ma non ho nessuna voglia di sentirmi nei
panni di quel ragazzo. "Troppo facile dire questo" potrà obiettare qualcuno: sacrosante parole,
perché io figli non ne ho mai avuti, però sono stato un figlio anch'io e mi ricordo benissimo di
aver avuto simile indottrinamento da parte di mio padre. Ricordo che quando abbiamo lasciato
il paesino di montagna e siamo andati ad abitare a Valle io ero disperato perché non potevo
giocare con i miei nuovi amici perché non avevo giocattoli ed i loro giocattoli erano pistole,
fucili e asce da indiani. Ho passato una settimana intera davanti al negozio del droghiere a
contemplare una pistola che era in vetrina. Ero semplicemente stregato da quel luccichio che
non avevo mai visto prima. A casa, mio padre aveva capito che qualcosa non andava per il verso
giusto e così una sera ne parlammo: gli spiegai che io non avevo amici perché non avevo
giocattoli. E mio padre mi tranquillizzò dicendomi che il giorno dopo saremmo andati insieme
dal droghiere a fare acquisti. All'indomani io ero là con un'ora di anticipo e quando lui arrivò
gli mostrai la pistola. Rimase ammutolito per un minuto e poi mi chiese se quel giocattolo era
veramente indispensabile; alla mia risposta affermativa non aggiunse parole ed entrammo.
Quella pistola costava 1.500 lire e tanto per fare un termine di paragone, la carne da lesso
costava meno di 2.000 al chilo; il pane 90/120 lire al Kg, il latte 36/38 lire al litro; di questi dati
sono sicuro. Giocai un mese spensierato e poi la pistola si ruppe. Dopo qualche giorno era il mio
compleanno e mio padre mi regalò una bicicletta da corsa; non so nemmeno quanto sia costata
ma so solo che ero felicissimo e che dimenticai subito la pistola e gli indiani, anzi allora erano i
miei compagni di scuola che morivano d'invidia. A quindici anni lasciai la famiglia e andai a
Pinerolo per il liceo. Volevo stare da solo perché
volevo dimostrare a me stesso e agli altri che riuscivo a mantenermi da solo e così al mattino
ero a scuola, il pomeriggio alla "Galup" a incartar panettoni e a tempo perso, a casa, rilegavo
libri e "Il milione" della De Agostini. E intanto sul lavoro a poco a poco cominciai a pensare a
mio padre, alla pistola e a tante altre cazzate che lui aveva comprato dietro mia
richiesta. Cominciai a pensare quante brente aveva dovuto trasportare per pagare tutte le mie voglie
e
riflessione dopo riflessione ho capito. Oggi mi sento fratello e amico con voi e con tutti quelli
che come voi e me la pensano e tutto questo lo devo a mio padre, a tutte quelle parole mai dette,
a tutte quelle prediche che io non ho mai sentito ma che, appunto perché mai dette, sono
diventate parole vive non appena ho provato tutto sulla mia pelle. Ecco, questo è un mozzicone
di storia di un uomo semplice, ma a mio avviso saggio e soprattutto il migliore dei miei amici.
Carlo L. (Milano)
|