Rivista Anarchica Online
I banditi rossi
di Errico Malatesta (da "Volontà" di
Ancona, N. 2 del 15 giugno 1913)
Può sembrare troppo tardi per parlarne. Ma in realtà l'argomento è
sempre di attualità,
poiché si tratta di fatti e di discussioni che, come si son ripetuti nel passato, si
ripeteranno purtroppo ancora nell'avvenire, fino a quando perdureranno le cause che li
producono. Alcuni individui hanno rubato, e per rubare hanno ucciso; ucciso a caso,
senza
discernimento, chiunque si trovava essere un inciampo tra loro ed il denaro agognato,
ucciso degli uomini a loro ignoti, dei proletari vittime quanto loro e più di loro della
cattiva organizzazione sociale. In fondo niente di più che volgare: sono i frutti amari che
maturano normalmente
sull'albero del privilegio. Quando tutta la vita sociale è maculata di violenza e di frode,
quando chi nasce povero è condannato ad ogni sorta di sofferenze e di umiliazioni,
quando il denaro è mezzo necessario per conseguire la soddisfazione dei propri bisogni
ed il rispetto della propria personalità, e per tanta gente non è possibile procurarselo
con un lavoro onesto e degno, non vi è veramente di che meravigliarsi se di tanto in tanto
sorgono dei poveri insofferenti di giogo, i quali s'ispirano alla morale dei signori, e non
potendo rubare il lavoro altrui colla protezione dei gendarmi, e non potendo, per rubare,
organizzare delle spedizioni militari o vender veleni come sostanze alimentari,
assassinano direttamente, a colpi di pugnale e di rivoltella. Ma quei "banditi" si dicevano anarchici; e
ciò ha dato ai loro attentati briganteschi
un'importanza ed un significato simbolico che per se stessi eran lungi dall'avere. La borghesia profitta
dell'impressione che quei fatti fanno sul pubblico per denigrare
l'anarchismo e consolidare il suo dominio. La polizia, che spesso ne è la sobillatrice
nascosta, se ne serve per aumentare la sua importanza, soddisfare il suo istinto di
persecuzione e di strage, e riscuote il prezzo del sangue in denaro e promozioni. E d'altra
parte molti dei nostri compagni, poiché si parlava di anarchia si son creduti obbligati a
non rinnegare chi anarchico si diceva: molti, abbacinati dal pittoresco della faccenda,
ammirati del coraggio dei protagonisti non han più visto che il fatto nudo della ribellione
alla legge, dimenticando di esaminare il perché ed il come. A me pare che per regolare la
condotta nostra e consigliare quella degli altri sia
necessario esaminare le cose con calma, giudicarle alla stregua delle nostre aspirazioni,
e non dare alle impressioni estetiche più peso ch'esse non abbiano. Coraggiosi erano certamente
quegli uomini; ed il coraggio (che poi forse non è altro che
una forma di buona salute fisica) è indubbiamente una bella e buona qualità; ma esso
può servire al bene come al male. Vi sono stati uomini coraggiosissimi tra i martiri della
libertà, come ve ne sono stati tra i più odiosi tiranni; ve ne sono tra i rivoluzionari; come
ve ne sono tra i camorristi, tra i soldati, tra i poliziotti. D'abitudine, e non a torto, si
chiamano eroi quelli che rischian la vita per fare del bene, e si chiamano prepotenti o,
nei casi più gravi, bruti insensibili e sanguinari quelli che il coraggio adoperano per fare
del male. Né negherò che quegli episodi furono pittoreschi e, in un certo senso,
esteticamente belli.
Ma riflettano un poco i poetici ammiratori del "gesto bello". Un'automobile lanciata a tutta corsa con
uomini armati di pistole automatiche, che
spargono il terrore e la morte lungo il cammino, è cosa più moderna certo, ma non più
pittoresca di un masnadiero ornato di piume ed armato di trombone che ferma e svaligia
una carovana di viandanti, o del barone vestito di ferro, su cavallo bardato, che impone
la taglia ai villani: - e non è cosa migliore. Se il governo italiano non avesse avuto che
generali da operetta ed organizzatori ignoranti e ladri, sarebbe riuscito forse a fare in
Libia una qualche bella operazione militare: ma sarebbe per questo la guerra meno
criminosa e moralmente brutta? Eppure quegli uomini non erano, o non eran tutti, dei malfattori volgari!
Tra quei "ladri" vi erano degl'idealisti disorientati; tra quegli "assassini" vi erano delle
nature di eroi, che eroi avrebbero potuto essere se fossero vissuti in altre circostanze ed
avessero ricevuto l'afflato di altre idee. Giacché è certo, per chiunque li ha conosciuti,
che quegli uomini si preoccupavano di idee, e che, se reagirono in modo feroce contro
l'ambiente ed in quel modo cercarono di soddisfare le loro passioni ed i loro bisogni, fu
in gran parte per l'influenza di una speciale concezione della vita e della lotta. Ma sono quelle le idee
anarchiche? Possono quelle idee, per quanto si voglia sforzare il senso delle parole, confondersi
coll'anarchismo, o invece sono coll'anarchismo in contraddizione evidente? Questa è la
questione. Anarchico è, per definizione, colui che non vuole essere oppresso e non vuole
essere
oppressore; colui che vuole il massimo benessere, la massima libertà, il massimo
sviluppo possibile di tutti gli esseri umani. Le sue idee, le sue volontà traggono
origine dal sentimento di simpatia, di amore, di
rispetto verso tutti gli umani: sentimento che deve essere abbastanza forte per indurlo a
volere il bene degli altri come il proprio, ed a rinunziare a quei vantaggi personali che
domandano, per essere ottenuti, il sacrifizio degli altri. Se non fosse così perché
dovrebbe egli essere nemico dell'oppressione e non cercare
invece di divenire oppressore? L'anarchico sa che l'individuo non può vivere fuori della
società, anzi non esiste, in
quanto individuo umano, se non perché porta in sé i risultati dell'opera d'innumerevoli
generazioni passate, e profitta durante tutta la sua vita del concorso dei suoi
contemporanei. Egli sa che l'attività di ciascuno influisce, diretta o indirettamente, sulla vita
di tutti, e
riconosce perciò la grande legge di solidarietà, che domina nella società come nella
natura. E siccome egli vuole la libertà di tutti, bisogna che egli voglia che l'azione di
questa necessaria solidarietà invece di essere imposta e subita, inconsciamente ed
involontariamente, invece di essere lasciata al caso e di essere sfruttata a vantaggio di
alcuni ed a danno di altri, diventi cosciente e volontaria e si esplichi quindi ad eguale
benefizio di tutti. O essere oppressi, o essere oppressori, o cooperare volontariamente al maggior bene
di
tutti. Non vi è altra alternativa possibile; e gli anarchici naturalmente sono, e non
possono non essere, per la cooperazione libera e voluta. Non ci si venga qui a fare della "filosofia" e
a parlarci di egoismo, altruismo e simili
rompicapi. Noi ne conveniamo: tutti siamo egoisti, tutti cerchiamo la nostra
soddisfazione. Ma è anarchico colui che la massima sua soddisfazione trova nel lottare
per il bene di tutti, per la realizzazione di una società in cui egli possa trovarsi, fratello
tra i fratelli, in mezzo a uomini sani, intelligenti, istruiti, felici. Chi invece può adattarsi,
contento, a vivere tra schiavi e trarre profitto dal lavoro di schiavi, non è, non può essere
anarchico. Vi sono degli individui forti, intelligenti, appassionati, con grandi bisogni materiali o
intellettuali, che essendo stati dalla sorte messi tra gli oppressi vogliono a qualunque
costo emanciparsi e non ripugnano dal diventare oppressori: individui che trovandosi
coattati nella società attuale prendono a disprezzare ed odiare ogni società, e sentendo
che sarebbe assurdo voler vivere fuori della collettività umana, vorrebbero sottoporre al
loro volere, alla soddisfazione delle loro passioni, tutta la società, gli uomini tutti.
Costoro a volte, quando sanno di letteratura, sogliono chiamarsi superuomini. Essi non
s'imbarazzano di scrupoli; essi vogliono "vivere la loro vita"; irridono alla rivoluzione e
ad ogni aspirazione avveniristica, vogliono godere oggi, a qualunque costo ed al costo di
chiunque siasi; essi sacrificherebbero tutta l'umanità per un'ora (c'è chi ha detto proprio
così) di "vita intensa". Essi sono dei ribelli; ma non sono anarchici. Essi hanno la
mentalità, i sentimenti dei
borghesi mancati e, quando riescono, diventano borghesi di fatto, e non dei meno cattivi. Noi possiamo
qualche volta, nelle vicende della lotta, trovarceli a lato; ma non
possiamo, non dobbiamo, non vogliamo confonderci con loro. Ed essi lo sanno
benissimo. Ma molti di essi amano dirsi anarchici. È vero - ed è deplorevole.
Noi non possiamo impedire che uno prenda il nome che vuole, né possiamo d'altra parte
abbandonare noi il nome che comprende le nostre idee e che logicamente e storicamente
ci appartiene. Quel che possiamo fare è di vigilare perché non vi sia confusione, o ve ne
sia il meno possibile. Indaghiamo però come è avvenuto che
individui dalle aspirazioni così opposte alle nostre
hanno preso un nome che è la negazione delle loro idee e dei loro sentimenti. Io ho accennato
più sopra a losche manovre di polizia, e mi sarebbe facile provare come
certe aberrazioni, che si son volute far passare per anarchiche, trassero la loro prima
origine dalle sentine poliziesche di Parigi, per suggestione dei capi di polizia Andrieux,
Goron e simili. Questi poliziotti, quando l'anarchismo incominciò a manifestare ed acquistare
importanza in Francia, ebbero l'idea geniale, degna davvero dei più astuti gesuiti, di
combattere il nostro movimento dal di dentro. Mandarono in mezzo agli anarchici degli
agenti provocatori che si davano l'aria di superrivoluzionari, ed abilmente travisavano le
idee anarchiche, le rendevano grottesche e ne facevano una cosa opposta a quello che
esse veramente sono. Fondarono giornali pagati dalla polizia; provocarono atti insensati
e malvagi e li valutarono qualificandoli anarchici; compromisero dei giovani ingenui che
poi, naturalmente, vendettero; e riuscirono colla compiacente complicità della stampa
borghese a persuadere una parte del pubblico che l'anarchico era quello che essi
rappresentavano. Ed i compagni francesi hanno buone ragioni per credere che queste
manovre poliziesche durino ancora, e non sieno estranee agli avvenimenti che han dato
occasione a quest'articolo. Qualche volta le cose vanno forse oltre dell'intenzione del
provocatore - ma in ogni modo la polizia ne profitta lo stesso. A queste influenze di polizia bisogna
aggiungerne altre; più pulite ma non meno nefaste.
In un momento in cui degli attentati impressionanti avevano attirato l'attenzione del
pubblico sulle idee anarchiche, dei letterati di talento, professionisti della penna sempre
alla ricerca del soggetto alla moda e del paradosso sensazionale, si misero a far
dell'anarchismo. E, siccome erano borghesi, dalla mentalità, dall'educazione, dalle
ambizioni borghesi, fecero dell'anarchismo che serviva bene per dare un brivido
voluttuoso alle signorine fantastiche ed alle signore ristucche, ma aveva poco da fare col
movimento emancipatore delle masse, che l'anarchismo vuol provocare. Erano persone
di talento, scrivevano bene, dicevano spesso cose che nessuno capiva e... furono
ammirati. O che forse non vi è stato un momento in cui in Italia si diceva che Gabriele
D'Annunzio era diventato socialista? Quegl'"intellettuali" dopo poco ritornarono quasi tutti all'ovile
borghese a godersi il
prezzo della notorietà acquistata, manifestandosi quali in realtà non avevano mai cessato
di essere, e cioè avventurieri letterari in cerca di reclame; ma il male era fatto.
Tutto questo in sostanza avrebbe prodotto poco danno se non vi fosse al mondo che gente
dalle idee chiare, che sa nettamente che cosa vuole ed agisce in conseguenza. Ma invece
vi è purtroppo un gran numero di persone dall'animo incerto, dalla mente confusa, che
oscillano continuamente da un estremo all'altro. Così vi sono quelli che si dicono e si credono
anarchici, ma quando commettono delle
cattive azioni (che sarebbero poi spesso perdonabili in considerazione del bisogno e
dell'ambiente) se ne glorificano dicendo che i borghesi fanno così e peggio. È vero; ma
perché allora si credono diversi e migliori dei borghesi? Essi attaccano i borghesi perché
rubano agli operai una buona parte del prodotto del
suo lavoro, ma non trovano nulla da opporre se uno ruba all'operaio quel poco che il
borghese gli lascia. Essi si indignano perché il padrone per aumentare il suo profitto fa lavorare
un uomo in
condizioni malsane, ma sono pieni di indulgenza per chi dà un colpo di coltello a
quell'uomo per levargli pochi soldi. Hanno schifo per l'usuraio che sottrae a un poveraccio una lira
d'interesse per dieci lire
che gli ha prestato, ma trovano commendevole o quasi che uno prenda a quello stesso
poveraccio dieci lire su dieci, che non gli ha prestate, passandogli una moneta falsa. E siccome sono
dei deboli di spirito, naturalmente si credono uomini superiori ed
ostentano un profondo disprezzo per "le masse abbrutite" e si credono nel diritto di far
male ai lavoratori, ai poveri, ai disgraziati, perché questi "non si ribellano e quindi
sostengono la società attuale". Io conosco un capitalista che si compiace, quando sta alla
birreria, di dirsi socialista e magari anarchico, ma non cessa per questo di essere nella
sua officina uno dei più abili sfruttatori: padrone duro, avaro, superbo. E non lo nega,
ma usa giustificare la sua condotta in un modo originale per un padrone. Egli dice: "I
miei operai meritano il trattamento che faccio loro, giacché vi si sottomettono; essi sono
nature di schiavi, essi sono la forza che sostiene il regime borghese, ecc ecc.". È proprio
il linguaggio di coloro che vogliono dirsi anarchici, ma non sentono simpatia e
solidarietà per gli oppressi. Ma conclusione sarebbe che i loro veri amici sono i padroni,
ed i loro nemici le masse diseredate. Ma allora perché cianciare di emancipazione e di
anarchismo? Che vadano coi borghesi,
e ci lascino in pace. Mi sono troppo allungato per un articolo di giornale, e bisogna
concludere. Concluderò dando un consiglio a coloro che "vogliono vivere la loro vita" e non
si
curano della vita degli altri. Il furto, l'assassinio sono mezzi pericolosi ed in generale poco produttivi.
Per quella via
il più delle volte si riesce solo a consumare la vita nelle carceri o a perderla sul patibolo
- specialmente se uno ha l'imprudenza di attirare su di sé l'attenzione della polizia
dicendosi anarchico e praticando gli anarchici. Come affare, gli è un affare magro! Quando si
è intelligenti, energici e senza scrupoli si può facilmente far la propria strada
in mezzo alla borghesia. Tentino dunque di diventare borghesi, col furto e coll'assassinio, s'intende, ma
legali.
Faranno un affare migliore; e, se è vero che hanno delle simpatie intellettuali per
l'anarchismo, si risparmieranno il dispiacere di far del male alla causa che è cara al loro
intelletto.
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