Rivista Anarchica Online
Un tabù per il potere
di Eduardo Colombo
Presso i discendenti dell'Ilunga Mbili, il nuovo Mulowhe (il grande capo dei
Baluba)
aveva rapporti sessuali con sua madre e le sue sorelle. Le donne e le figlie dei suoi fratelli
divenivano automaticamente sue spose. Egli proseguiva anche la tradizione di Kongolo,
che aveva dei rapporti sessuali con le sorelle. E, senza saperlo, si collocava nella
tradizione consacrata dell'incesto reale, che non si limita all'Africa nera, dal momento che
già c'erano stati gli esempi celebri dell'Egitto dei faraoni (come Tolomeo VIII Evergete II,
che non esitò a sposarsi con la regina sua sorella, vedova di suo fratello Filometore; poi
violentò la figlia di sua moglie e due volte sua nipote, con la quale più tardi si sposò. La
famosa regina Cleopatra, che era il frutto di questa lunga successione di incesti, si sposò
in tempi successivi coi suoi due fratelli Tolomeo XIII e Tolomeo XIV), dei persiani, degli
incas, dei melanesiani, ecc.. In molti di questi casi, come in tante altre ricerche
antropologiche, si tratta di incesto rituale, cioè (se ci è concesso usare questi termini) di
una trasgressione permessa e addirittura prescritta di quella legge che proibisce l'incesto.
Potremmo anche citare la tradizione clandestina dei re del Medioevo e dei papi del
Rinascimento, o la pratica frequente dell'incesto in tutte le società conosciute, nonostante
le interdizioni formali e la persecuzione legale. Ma le difficoltà iniziano quando si tratta
di comprendere quel fenomeno psicologico e sociale che noi chiamiamo incesto, nonché
il suo significato nella cultura. I differenti termini (utilizzati da
popoli diversi) che gli antropologi traducono con la
parola "incesto" sono portatori di tradizioni culturali, valori etici e pensieri che non hanno
niente in comune tra di loro e anzi, frequentemente, sono in contrasto. Nelle lingue
romanze "incesto" deriva dal latino: in (prefisso con un significato negativo) e castum
(incestus, propriamente, "non casto"). L'idea latente sarà dunque quella di un'offesa alla
purezza e alla decenza. In lingua indonesiana, tanto per fare un altro esempio, la parola
che generalmente si traduce con "incestuoso" è sumbanc, che significa anche
"sconveniente" o "ripugnante". Indica una condotta socialmente criticabile o
condannabile: dal punto di vista sessuale comprende sia l'incesto sia l'adulterio. Attualmente il dizionario ci dice che l'incesto è una relazione sessuale tra parenti
prossimi, che non hanno diritto al matrimonio. In altri termini, una relazione illecita tra
persone che sono parenti ad un grado specificato dalle leggi. Le spiegazioni avanzate
sono di tutti i colori e vanno dalla paura o dall'orrore per il sangue mestruale, passando
per gli effetti nefasti (?) della consanguineità, la ripugnanza istintiva, la rottura della
solidarietà familiare, fino agli effetti di disorganizzazione degli status gerarchici che
l'accettazione dell'incesto può produrre nella società. Ma ciò che ha affascinato gli
antropologi (tutti, sia detto di passaggio, individui più o meno socializzati della nostra
stessa cultura) è la pretesa universalità della proibizione dell'incesto. Noi faremo
riferimento a due delle teorie generali che caratterizzano il pensiero contemporaneo e
nelle quali il divieto dell'incesto svolge un ruolo primario: la teoria della parentela di
Levi-Strauss e la teoria psicanalitica di Freud. La proibizione
dell'incesto, per Levi-Strauss, svolge il ruolo privilegiato di rendere
possibile il passaggio dal dominio della natura a quello della cultura. Il comportamento
"naturale" dell'Uomo non esiste: la specie umana ha progredito attraverso la vita sociale,
la parola, l'organizzazione istituzionale. Il comportamento biologico è integrato
nell'ordine simbolico di una cultura. La "natura" è il dominio dell'eredità biologica, la
"cultura" è l'ordine della tradizione esterna. Poniamo dunque - afferma Levi-Strauss - che
tutto ciò che è universale presso l'uomo provenga dall'ordine della natura e si
caratterizzi per la sua spontaneità, mentre ciò che è attinente ad una norma appartiene
alla cultura e presenta un carattere relativo e particolare. Da questo punto di vista c'è,
nella proibizione dell'incesto, un'ambiguità che la lega a entrambi i versanti del fatto
umano, quello naturale e quello culturale: essa è universale come i fenomeni che derivano
dalla naturalezza e al contempo è una norma particolare che determina le relazioni tra i
sessi. Come non vi è generazione spontanea, il doppio fatto della filiazione e dell'alleanza
determina il quadro sociale nel quale si riproduce e si evolve la specie umana. La
consanguineità è un fatto naturale in cui si esprimono le leggi dell'ereditarietà, mentre
l'alleanza tra i sessi è un fatto culturale che determina chi si allea con chi. La natura
impone l'alleanza senza determinarla: e la cultura non l'accoglie che per definirne le
modalità. La proibizione dell'incesto è concepita così come la struttura stessa della regola
che fonda la socialità. L'elemento fondamentale della vita
sociale è dunque lo scambio, cioè lo scambio dei
beni, degli oggetti, dei valori, dei segni, delle parole, e la struttura dello scambio contiene
un principio di reciprocità. Nel caso dell'alleanza matrimoniale, vi è una relazione globale
di scambio che coinvolge il trasferimento di beni materiali, di valori sociali come i
privilegi, i diritti e gli obblighi soprattutto, evidentemente, della donna, che è considerata
come un "bene sociale". Questo tipo di prestazione totale, che caratterizza lo scambio che
regola il matrimonio, non si stabilisce tra un uomo e una donna, bensì tra un gruppo di
uomini e un altro gruppo di uomini, e la donna vi figura come uno degli oggetti dello
scambio e non come uno dei protagonisti. La reciprocità fra i differenti gruppi sociali è
assicurata dalle norme dell'esogamia che stabilisce quali sono le donne permesse: la
proibizione dell'incesto non è che l'aspetto negativo di queste regole. Non è tanto una
norma che impedisce di sposare madre, sorella o figlia, quanto una norma che obbliga a
dare madre sorella o figlia ad altri. È la regola del dono per eccellenza. Per altri autori, la proibizione dell'incesto non ha niente di universale né è legata alla
natura umana. Le limitazioni alla disponibilità di donne all'interno di un gruppo sono
legate al controllo della riproduzione dello stesso gruppo: da questo momento il controllo
matrimoniale si trasforma in uno degli elementi del potere politico. Il matrimonio
preferenziale è una strategia politica nei rapporti esterni del gruppo, e necessita della
disponibilità di un certo numero di donne come beni di scambio. Così la proibizione
dell'incesto si sviluppa come un concetto morale prodotto da un'ideologia legata
all'elaborazione del potere nelle società domestiche. Affrontiamo ora il problema da un'altra angolazione, quella della teoria psicanalitica di
Sigmund Freud: l'incesto è visto fondamentalmente alla luce dei desideri inconsci. Se
l'umanità, dai tempi primitivi, si è preoccupata di proibire e di creare tabù e castighi, miti
e istituzioni sul tema dell'incesto, è perché deve esistere un desiderio positivo teso alla
sua realizzazione. In effetti - osserva Freud - che necessità ci sarebbe di proibire ciò
che
nessuno vuol fare? Ciò che viene severamente proibito non può che essere oggetto di un
desiderio. La vita animica del bambino comincia a strutturarsi sul contrasto tra gli affetti
positivi e negativi, l'amore e l'odio, rivolti verso le persone che gli stanno attorno, i suoi
parenti prossimi, consanguinei o acquisiti. Si sviluppa così un nucleo centrale della
personalità formato da affetti ed identificazioni, che nella psicanalisi è definito
"complesso di Edipo". Per dirlo in maniera semplice e schematica (ma sappiamo che la
realtà psicologica è ben più complessa e difficile da descrivere) la prima sintesi di
desideri amorosi e ostili che sente il bambino gli si presenta come la trascrizione in
campo psicologico del mito greco di Edipo: desiderio sessuale per la persona dell'altro
sesso e impulso di morte contro il rivale, rappresentato dalla persona dello stesso sesso.
Nella sua forma positiva e nel bambino maschio, il complesso di Edipo è il desiderio
incestuoso verso la madre accompagnato dai sentimenti ostili di odio e di aggressività
diretti contro il padre. Il complesso di Edipo, che Freud situa tra il
terzo e il quinto anno di vita, culmina con il
"complesso di castrazione" (fantasma o fantasia incoscia di venir castigato con la
castrazione da parte dell'autorità paterna onnipresente), che preclude definitivamente al
bambino maschio la madre come oggetto sessuale. Il complesso di castrazione dev'essere
compreso come una parte dell'ordine culturale, con una funzione mitica di interdizione e
di normatività. Nella supposta "minaccia di castrazione", che conferma la proibizione
dell'incesto, si realizza, in un immaginario autoritario, la funzione della Legge in quanto
costitutiva dell'ordine umano, nella stessa maniera in cui (l'abbiamo visto nella teoria di
Levi-Strauss) la proibizione dell'incesto rappresenta la regola che inaugura l'ordine
simbolico e determina quello sociale. L'incesto, la sua proibizione e le istituzioni
esogamiche che gli sono collegate nell'origine mitica della società, si integrano, come
chiarisce Freud in Totem e tabù, con la "teoria" del padre primitivo che si riserva sotto la
minaccia di castrare i figli, l'uso esclusivo delle donne dell'orda. Questa ricostruzione
mitica dei tempi primitivi, per quanto probabilmente falsa come ricostruzione "storica"
delle origini, permette di mostrare una struttura simbolica che spiega il contenuto
profondo dei comportamenti umani. In questa maniera, il complesso
di Edipo e il complesso di castrazione che ne deriva non
sono riducibili ad una situazione reale, a un'esperienza particolare vissuta da ogni
individuo in seno ad una "famiglia", ma al contrario costituiscono un divieto che obbliga
ciascun individuo a definirsi come soggetto nel seno di una società gerarchica, in cui la
soddisfazione immediata è definitivamente impedita. Questa istanza, che si esprime nel
divieto dell'incesto, collega inseparabilmente il desiderio alla legge. Nella teoria espressa
da Freud in Totem e Tabù, il divieto dell'incesto non è un prodotto della famiglia
mononucleare composta dal padre, dalla madre e dai loro figli (quale noi la conosciamo
oggi), ma un'istituzione culturale propria del clan, tesa principalmente ad impedire
l'incesto del figlio con la madre, per poi estendersi successivamente, con il crescente
complicarsi della organizzazione sociale, ad altre relazioni di parentela. Per terminare questa succinta carrellata sulle teorie dell'incesto, faremo due osservazioni:
1) la pretesa universalità della proibizione dell'incesto (universalità accettata dall'80%
degli antropologi) è stata criticata per l'estrema variabilità delle proibizioni che, nelle
distinte culture, reggono lo scambio sociale. I divieti dell'incesto non costituiscono una
categoria ben definita e l'opinione di Murdock (Il tabù dell'incesto e le restrizioni
endogamiche di ogni tipo si presentano chiaramente come l'estensione dei tabù sessuali
tra padri e figli, e tra fratello e sorella nella cellula familiare) non è più che un'ipotesi
ideologica che estrapolando un elemento dalla nostra cultura (i tabù sessuali della
famiglia nucleare) lo utilizza come fattore esplicativo di tutte le proibizioni sociali. Ciò
che è valido per la nostra cultura, non lo è necessariamente per tutti i tempi e per tutte le
culture. Riassumendo diremo, con R. Needham: in ogni
società particolare noi ci troviamo in
presenza di regole esplicite (cioè di rappresentazioni collettive di ciò che si può e non si
può fare); una stessa regola definisce ciò che è permesso e, di conseguenza ciò che
è
proibito; l'accesso ai beni sociali riconosciuti è sempre regolato in una società e la regola
non esprime altro che il valore attribuitole. Dunque, l'incesto si riferisce per definizione
alle regole che si riferiscono all'accesso alle donne e non è altro che l'aspetto negativo del
controllo di questo accesso. Le proibizioni dell'incesto non hanno altro in comune tra loro
che il loro carattere di proibizione. 2) Come abbiamo visto all'inizio,
tutte le teorie che accomunano la regola e la legge al
divieto dell'incesto partono da un'asimmetria tra i sessi. Sono gli uomini quelli che
determinano lo scambio delle donne: in una società di uomini, infatti, le donne sono un
"bene sociale". Questa asimmetria non è spiegata nelle teorie se non con un vago
riferimento al fatto "naturale". La gerarchia tra i sessi, lungi dall'essere una situazione
antecedente la costituzione dell'ordine sociale, è una conseguenza delle regole di
proibizione che stanno alla base dello sviluppo del potere politico nelle società
segmentate, cosiddette primitive. Da un altro punto di vista, considerando il divieto
dell'incesto integrato con il complesso di castrazione, con la struttura edipica, dobbiamo
considerarlo come un aspetto normativo che nell'inconscio individuale permette la
riproduzione del potere politico e sanziona la "legittimità" dell'autorità sociale. La critica della dominazione sociale deve tener presente questa dimensione, al tempo
stesso inconscia e istituzionale, del tabù dell'incesto.
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