Rivista Anarchica Online
Una nostra vittoria
di Paolo Finzi
Se c'è una cosa da cui rifuggiamo, è il trionfalismo: quel pessimo
costume, assai diffuso, per cui si
"gonfiano" gli avvenimenti per poi attribuirsene il merito esclusivo. Di fronte alla sentenza di Firenze,
dunque, non abbiamo alcuna remora a cantar vittoria, ad affermare a testa alta che la scarcerazione di
Monica Giorgi è anche e soprattutto una nostra vittoria: la vittoria di chi - pochissimi davvero, all'inizio
- ha voluto combattere questa battaglia, comprendendo che, al di là della pur fondamentale
solidarietà
con Monica, erano in gioco aspetti più generali. C'era un'ignobile montatura da smascherare,
mettendo a nudo i perversi meccanismi dell'infamia di
Stato. C'era l'imbarbarimento della giustizia da denunciare, chiarendo alla gente - con gli esempi
concreti che la vicenda di Monica offriva a iosa - come il pretesto della lotta contro il terrorismo venga
utilizzato per colpire chi non si allinea al potere. C'era una perfida campagna-stampa da controbattere,
abilmente dosata con calunnie e silenzi. C'era, dal luglio scorso, la pesantissima sentenza di primo grado
da contrattaccare, denunciare, ribaltare. C'era da mettere in luce la sostanziale convergenza, dentro e
fuori il carcere, tra il disegno di uno Stato sempre più forte (in nome della democrazia) ed il folle
progetto lottarmatista (in nome del proletariato). C'era, insomma, tutta una battaglia da condurre, una
battaglia difficile, irta di ostacoli che noi per primi abbiamo sempre avuto presenti e rammentato, perché
a facili entusiasmi non seguissero nefaste disillusioni. Quando, pubblicando su "A" nell'estate '80 la prima
lettera di Monica ("Carissimi, dolcissimi
compagni"), iniziammo la campagna, per lungo tempo restarono in pochi ad agitare il caso di Monica.
Nemmeno il processo di primo grado e l'allucinante sentenza che lo concluse valsero a stimolare più
di tanto la controinformazione e la mobilitazione. Eppure quel diuturno lavoro di contatti, di
sensibilizzazione che, dai pochissimi che eravamo, fu portato avanti in quei mesi, tra scetticismo e
malcelata indifferenza, ha poi dato qualche frutto. Di fronte all'eccezionalità della battaglia,
all'importanza della posta in gioco, quanto si riusciva a fare ci sembrava sempre poco,
drammaticamente troppo poco: ma questo poco era pur sempre qualcosa, e su questo qualcosa, altro
si è andato aggiungendo. È andato aumentando il numero di coloro che scrivevano a Monica, che
davano una mano finanziariamente, sono sorti comitati pro-Giorgi, vari compagni e gruppi (quasi tutti
anarchici, comunque libertari) hanno promosso iniziative di solidarietà, di controinformazione, di lotta.
Fra i numerosi giuristi, giornalisti, politici con fama di "garantisti" che furono contattati, tra mille
silenzi e falsi assensi qualcuno ha dato segni di interessamento. E nelle ultime settimane prima del
processo, come auspicavamo sul numero di marzo (quello con la copertina "Monica libera!"), la
mobilitazione si è andata intensificando. Tutto ciò, ne siamo fermamente convinti, ha pesato sulla
sentenza - non certo direttamente. Come ha pesato sul fatto che, per esempio, "Lotta Continua" abbia
seguito il processo con un inviato, dando conto quotidianamente, con dettagliati resoconti,
dell'andamento del processo. Questa nostra attività, in piena sintonia con il comportamento dignitoso
e le lucide posizioni espresse
da Monica, ha dimostrato che è possibile vincere, anche sul piano giudiziario, battaglie di questa
portata. Di fronte alle incertezze, ai dubbi, alle disillusioni che in questa nostra epoca sono ben più
frequenti delle "vittorie", è questo un dato positivo che ha una sua grande importanza. Qualcuno, certo,
non mancherà di osservare che sentenze come questa di Firenze vengono "riciclate" dal potere per
ridarsi nuova credibilità, per convogliare su di sé nuova fiducia. Certo, anche questo è
in parte vero. Ma
sarebbe tragicamente infantile limitarsi a cogliere questo aspetto, senza comprendere che il crollo di
questa montatura politico-giudiziaria segna innanzitutto uno smacco per le istituzioni, un pesante calo
di credibilità. Ne esce per contro rafforzata quella di chi è riuscito a far affermare, anche sul
terreno
giudiziario, quella verità che abbiamo sempre continuato a sostenere, anche quando tutti - forti della
sentenza di primo grado - ci davano contro. E, al di là della stessa battaglia giudiziaria, c'è
la coscienza di aver dato un contributo positivo,
costruttivo alla nostra immagine come movimento. I pochi o tanti che si sono in qualche modo
interessati al caso Giorgi hanno ricevuto un messaggio positivo, di lotta cosciente, tenace ma al
contempo umana, che niente ha a che vedere con i metodi e le finalità di quel terrorismo cui il potere
voleva assimilare Monica per poterla così stroncare. Anche in questo caso, colpendo Monica, con il suo
passato di attiva, generosa, conosciuta militante anarchica, si è cercato di colpire più a fondo,
più in là.
Non sono più questi i tempi della campagna Valpreda, né è pensabile un
accostamento tra quella e
questa per Monica. Se però qualcosa le può accomunare, al di là della sofferta
scarcerazione del
compagno/a, è proprio un dato di fatto segnalato prima: l'averla cioè iniziata in pochi, pochissimi,
riuscendo poi - allora a macchia d'olio, oggi fra mille difficoltà - a farne in varia misura un caso di
pubblico dominio, un boomerang contro il potere per metterne a nudo bassezze e ingiustizie. Da questa
nostra battaglia vinta traiamo un nuovo stimolo per le altre battaglie che ci aspettano, nuova
speranza di poterle vincere, nel solco dell'impegno umano, costante, militante che è il segno del nostro
agire sociale.
La sentenza
Al termine del processo di Livorno, Monica era stata condannata a 12 anni e 6 mesi, dei quali 2
anni
condonati, per reati associativi nonché per il tentato rapimento dell'armatore Neri (con i tre tentati
omicidi connessi, per i tre agenti feriti durante il tentato rapimento). Ora Monica è stata assolta, per
insufficienza di prove, dall'intero affaire Neri, nonché - come già a Livorno - per
il ferimento a Pisa del
dott. Mammoli (il medico che lasciò morire in carcere l'anarchico Serantini) e per un furto d'auto a
Massa. È stata invece condannata a 2 anni per banda armata, pare (ma lo si saprà con chiarezza
solo
quando verranno pubblicate le motivazioni della sentenza) in relazione alla sua attività nel collettivo
"Niente più sbarre" (che pubblicava l'omonimo bollettino) e alla sua corrispondenza con numerosi
carcerati. La difesa di Monica ha annunciato subito di voler interporre appello, affinché la Cassazione
cancelli anche questi residui della montatura contro Monica. Sia le attività del collettivo "Niente
più
sbarre" sia l'intensa corrispondenza tenuta per anni da Monica con decine di carcerati, infatti, si sono
svolte alla luce del sole: le stesse lettere di Monica acquisite agli atti del processo sono tutte "regolari",
con tanto di visto (quando questo era applicato dalle autorità carcerarie). Questa sentenza della Corte
d'Appello di Firenze, dunque, che pure salutiamo con gioia perché segna il crollo di una montatura e
la scarcerazione di una compagna, non ha saputo andare fino in fondo nell'opera di riparazione
all'ingiustizia sancita a Livorno. La condanna a due anni per Monica, oltre che posticcia
"giustificazione" per i due anni di vita rubatile, suona insulto alla libertà di parola, di scritto e in genere
di espressione. Anche a gran parte degli altri imputati le
pene sono state sostanzialmente ridotte. Com'era
prevedibile, il p.m. Guttadauro interporrà appello perché l'ingiustizia trionfi. È il suo
mestiere.
CRONACA DEL PROCESSO
Il processo inizia
regolarmente lunedì 19 aprile, in un'aula della Corte d'Assise che una volta era una
chiesa. Ci sono tutti: i poliziotti all'esterno con il mitra, che perquisiscono con il piccolissimo metal-detector
(utilissimo per svelare la presenza di chiavi, monete e gettoni telefonici), quelli dentro sparsi
tra il pubblico (chi in divisa, chi in borghese), e poi oltre la transenna - alcune imputate a piede libero,
qualche giornalista, gli avvocati, la Corte (quasi tutti i giudici popolari sono donne), gli onnipresenti
carabinieri e infine, nella gabbia, loro, gli imputati. Una forte emozione provoca l'arrivo in gabbia di
Salvatore Cirincione: è sorretto dagli infermieri che lo adagiano in un angolo della gabbia. Il volto
sconvolto ed il sacchetto del catetere testimoniano, ben più delle tre istanze finora presentate dalla
difesa e sempre respinte, dell'urgente necessità di un suo ricovero ospedaliero: da mesi ha perso l'uso
dei reni, in seguito alle percosse subite, ed è semiparalizzato al lato sinistro. E' un imputato "minore",
condannato a pochi anni per soli reati associativi: la sua salute, comunque vada il processo per lui, è
già stata compromessa. Tra gli imputati a piede libero manca in aula solo l'avvocato anarchico Gabriele
Fuga, ma la sua posizione viene subito stralciata per un vizio di forma (la convocazione al processo gli
è stata inviata ad un recapito inesatto) e Fuga esce così definitavamente da questo processo:
sarà
processato in futuro, separatamente. La prima udienza - presenti un'ottantina tra i parenti e compagni, quasi
tutti venuti da fuori - si apre con
la relazione del giudice a latere Fusaro, cui spetta il compito di presentare una specie di riassunto del
processo di primo grado e dei motivi d'appello presentati dalla difesa e dall'accusa. Già da questa
sintetica carrellata, la figura di Enrico Paghera - intorno alle cui "rivelazioni" ruota tutto il processo -
esce distrutta, la sua credibilità praticamente nulla: qualcuno del pubblico che entra in ritardo e non sa
come funzionano i processi, crede che stia parlando un'avvocato della difesa. E invece sono solo i fatti,
nudi e crudi, a deporre a favore di Monica. La sera, nella sala socialista "L'incontro", poco distante dall'aula
del processo, la vicenda di Monica è
al centro di un dibattito promosso dal Comitato di solidarietà con Monica Giorgi, di Livorno.
Intervengono l'avvocato Nino Filastò, il giornalista Pio Baldelli (protagonista dieci anni fa di un
clamoroso processo intentatogli da Calabresi per quanto "Lotta Continua" aveva scritto in merito ala
sua responsabilità nell'assassinio di Pinelli) ed il deputato socialista Giacomo Mancini: introduce la
discussione un redattore di "A". Nonostante il dibattito sia stato organizzato all'ultimo momento ed i
manifesti di convocazione subito strappati o coperti, almeno 250 persone affollano "L'incontro". A metà
dibattito Barbara Giorgi, una delle due attivissime sorelle di Monica, è colta da malore e ricoverata
d'urgenza in ospedale: la lotta stressante contro le ingiustizie comporta anche questi costi.
Il p.m. per Monica: sedici anni e
mezzo Martedì mattina riprende il
processo con la requisitoria del pubblico Guttadauro. A sentir lui, Paghera
è una rispettabilissima persona, spinta da nobili ideali a collaborare con la giustizia perchè il bene
trionfi. Monica, invece, è colpevole di tutto, anche di ciò per cui fu assolta in primo grado:
morale,
invece di 12 anni e mezzo, bisogna dargliene 16 e mezzo. E anche agli altri imputati, già che ci siamo,
si aumentino un pò a tutti le pene. Mentre,
all'indomani, iniziano gli interventi dei numerosi difensori degli imputati, Adriano Sofri (che
quotidianamente segue il processo per "Lotta Continua") raccoglie a Roma una testimonianza del
deputato radicale Mimmo Pinto, in merito a dichiarazioni fattegli lo scorso anno da Daniela Pari, la
fidanzata di Vincenzo Oliva: in poche parole, la Pari avrebbe rivelato a Pinto che all'Oliva era stato
chiesto di confermare quanto dichiarato da Paghera, in cambio di notevoli riduzioni della pena. Una
prova in più della macchinazione che sta dietro all'istruttoria e al processo: la Corte acquisisce agli atti.
Oliva, comunque, già al processo di Livorno si era talmente contraddetto da venir buttato fuori dall'aula
dal presidente, per scomparire così definitavamente dal processo (anche se, in verità, il p.m.
Guttadauro
ha cercato disperatamente di recuperarlo, criticando perfino la decisione del presidente che a Livorno
lo aveva espulso in malo modo). Giovedì 22 la
presenza del pubblico in aula, già drasticamente calata dopo la prima udienza, si è ormai
ridotta a poche unità: un fatto negativo sul quale non si può sorvolare. Gli avvocati, intanto,
proseguono
le loro arringhe.
Le dodici menzogne di
Paghera Venerdì 23, un fatto positivo.
Finalmente la Corte concede la libertà provvisoria a Cirincione, che si
fa ricoverare e può forse sperare di recuperare parzialmente la salute così gravemente
compromessa.
Ci sono voluti mesi, ma alla fine... Sempre venerdì
inizia la sua arringa l'avv. Filastò: a sera non ha ancora terminato. Riprende lunedì
mattina e parla ancora per tre ore: tutte le cosiddette "prove" contro Monica vengono analizzate
minuziosamente e smontate. Di Paghera vengono messe in luce le 12 principali menzogne. E' un'arringa
appassionata e lucida, al termine della quale Filastò ha un collasso e viene ricoverato in ospedale.
Nell'udienza pomeridiana di lunedì 26, il p.m. Guttadauro replica ai difensori e conferma la sua fiducia
nell'attendibilità di Paghera e di Oliva: si indigna al solo sospetto che polizia e magistratura possano
aver "macchinato" contro Monica. Poliziotti, magistrati e loro collaboratori (pentiti o simili) hanno
sempre ragione, chi lo mette in dubbio offende le istituzioni. Il p.m. si scaglia contro Monica, ma nella
foga accusatoria sbaglia qualche data, si contraddice, è vistosamente impreciso. E il giudice a latere non
manca di farglielo notare.
Fine di un incubo Mercoledì 28, l'ultima udienza. Al mattino le ultime repliche degli
avvocati: Filastò (ripresosi dopo il
malore di lunedì), Menzione e Mori. "Giustizia e libertà per Monica" chiede in conclusione
Menzione
"quella stessa giustizia e quella stessa libertà per cui lei si è sempre tanto impegnata". Alle 11 la
Corte
si ritira, l'aula viene chiusa e il pubblico (una trentina tra parenti, amici, compagni) si ritrova sul
marciapiede lì davanti, nel bar, per un'attesa estenuante. "Se stanno dentro tanto, è un buon segno"
"Ma
va là, vuol dire che la vogliono stangare" "Certo, dopo l'attentato delle B.R. ieri a Napoli..." "Secondo
te quanto le danno?". Per otto ore, mentre la tensione e la stanchezza crescono, è un continuo alternarsi
di voci, previsioni, discorsi fatti così tanto per non pensare al peggio. Poi alle 7 e mezzo di sera, l'aula
viene riaperta e il pubblico riammesso, dopo i consueti controlli. Gli imputati sono già in gabbia,
Monica fa avanti e indietro, gira in tutti i sensi, la tensione le sprizza dai pori. Si aspetta l'entrata della
Corte da un attimo all'altro, ma passa quasi un'ora prima che arrivi. Le prime parole del presidente fanno
intendere a qualcuno che forse..."Non accetterò in quest'aula manifestazioni di gioia o di rabbia per
quanto dirò" premette. Poi incomincia a parlare e, come spesso durante questo processo, si sente poco
e si capisce meno. Ma quando comincia a elencare tutte le imputazioni, rispetto a cui Monica è assolta,
non c'è chi non capisca. Tra il pubblico c'è chi salta, chi piange, chi ride, chi applaude, è
la fine di un
incubo. Nella gabbia, Monica salta, urla, saluta: si arrampica su e giù come una scimmia, salta come
un grillo impazzito. Un quarto d'ora dopo si è già al reparto chirurgia dell'ospedale Santa Maria
Nuova:
Barbara (ancora ricoverata dopo il collasso avuto il giorno iniziale del processo) salta anche lei dalla
gioia. E anche in corsia, per qualche minuto, è un putiferio di abbracci, baci, pacche sulla spalla. Manca
solo Monica: deve farsi ancora due giorni di carcere.
per Monica
Nell'approssimarsi del processo, varie iniziative sono state prese in
solidarietà con Monica. La nostra
rivista e "L'Internazionale" hanno seguito regolarmente, mese dopo mese, l'evolversi del caso Giorgi,
ma anche altri giornali anarchici hanno dato spazio a notizie e scritti di Monica. I compagni ticinesi,
oltre ad inserire nel loro mensile "Azione Diretta" un volantone su Monica (ripreso dal dossier
"Rivolglio la mia libertà") , hanno effettuato venerdi pomeriggio 16 aprile un'occupazione simbolica
del Consolato Generale d'Italia a Lugano. Mentre alcuni compagni distribuivano in strada volantini
sul caso, altri sono entrati nel Consolato, hanno convocato i giornalisti e hanno consegnato un
documento alle autorità consolari, denunciando l'ingiusta detenzione di Monica ed il silenzio che
già
si preannunciava intorno al processo d'appello. Fuori del Consolato è stato affisso uno striscione
"Monica Giorgi libera". A Brescia, in vista del processo, è stata convocata una conferenza-stampa
nella sede del Centro Sociale Libertario ed è stata effettuata una trasmissione dai microfoni di Radio
Popolare. A Reggio Emilia sono stati effettuati volantinaggi, è stata allestita una mostra, sono stati
promossi due dibattiti sul caso di Monica, uno nella nuova sede del gruppo, l'altro alla Casa dello
Studente. Volantinaggi e trasmissione radio anche ad opera del Comitato pro-Monica veneto, con
sede a Venezia-Marghera. Massiccia affissione di manifesti e di adesivi (questi ultimi, soprattutto
sulle vetture della metropolitana), trasmissione a Radio Popolare, scritte sui muri e altre iniziative
a Milano. Telegrammi di protesta a Pertini sono stati inviati da anziani militanti anarchici di lingua
italiana, da decenni residenti in Nord America (alcuni di loro sono stati tra i protagonisti, sessant'anni
fa, della campagna per Sacco e Vanzetti). A Oria, un paese in provincia di Brindisi, decine di firme
sono state raccolte su di una copia del manifesto "Rivoglio la mia libertà" (affisso nel centro del
paese), per poi essere inviate a Monica. |
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