Rivista Anarchica Online
Ma quale verità?
di Andrea Papi
Ho letto con piacere sul penultimo numero di "A" (n. 99) il lungo
articolo-documento dal titolo "Un
po' di chiarezza". MI è apparso lucido e ammantato di buon senso, cosa che non guasta mai e che in
genere difetta in chi affronta le questioni dei massimi sistemi. Ne condivido l'impostazione e la sostanza
del discorso che, condiviso o no, in effetti aiuta a fare un poco di chiarezza o, perlomeno, stimola senza
dubbio in quel senso. Per cui trovo utile e meritevole che i compagni del circolo anarchico Ponte della
Ghisolfa e del collettivo Anarres, con tale documento, abbiano proposto il loro sforzo di riflessione su
temi scottanti dell'attuale situazione politica italiana. Ciò su cui vorrei soffermarmi è il
discorso introduttivo, in particolare le affermazioni contenute a
proposito della verità, le quali mi hanno notevolmente stimolato e spinto a riflettere sull'accezione di
verità ivi contenute. Cito la parte del discorso con cui mi interessa fare un po' di polemica: "Il metodo
da noi prescelto per approfondire l'analisi considera la "verità storica" come uno strumento
fondamentale della rivoluzione libertaria. Vale a dire che a nostro parere ha validità solo e soltanto la
"verità storica" e contestiamo l'utilizzo di "verità politiche", cioè di "verità" che
vengono ritenute utili
ad un progetto, a una strategia politica, ma che non rispecchiano la realtà delle cose o degli
avvenimenti". Prima di affrontare la polemica vorrei distinguere tra due momenti entrambi importanti, ma
diversi per
qualità; il momento della intenzione che precede la valutazione, e il momento della formulazione che
viene dopo la valutazione stessa. Le intenzioni che stanno dietro la formulazione in questione, che in
quanto tali sono espressione etica nell'approccio con la realtà, mi trovano concorde ed in esse mi
riconosco. Se ho interpretato giustamente, i compagni sono alla ricerca di un criterio non ideologico,
non sorretto da nessuna sudditanza su una dottrina preconcetta, al fine di riuscire a leggere e interpretare
i fatti e la loro successione storica. Giustamente rifiutano di porsi dall'alto di una fede dottrinale per
considerare e giudicare ciò che si manifesta nell'ambito reale. L'intenzione è di vivere un rapporto
dinamico tra le proprie scelte ed esigenze etiche e le manifestazioni della realtà, con cui tali scelte ed
esigenze si debbono confrontare. Il momento della formulazione, che è quello a noi pervenuto
perché apprendiamo il risultato delle
valutazioni e delle riflessioni per mezzo del modo in cui vengono formulate, non rispecchia a mio
avviso le intenzioni sopra descritte, presumo per involontaria incoerenza tra i due momenti. Così, date
per buone le intenzioni che hanno spinto i compagni allo sforzo teorico la cui espressione manifestata
è l'articolo di cui stiamo parlando, la nostra polemica si rivolgerà alla formulazione del loro
sforzo, cioè
alle cose scritte, in particolare alle frasi sopra citate
* * *
Il problema della verità è un campo minato, in cui facilmente si rischia
di soccombere. Tutta la filosofia
e la storia dell'uomo, da quando si ha testimonianza di un'attività umana pensante, è impregnata
di
questo problema e protesa alla sua risoluzione. Molto si è detto, si continua e probabilmente si
continuerà a dire sulla verità. Senza ombra di dubbio il problema è aperto a tutti gli
effetti. E' necessario
stare molto attenti a non cadere nelle facili affermazioni, soprattutto in quelle che, perché quasi
lapalissiane, sembrano veritiere ad un'apparenza immediata. E' il caso a mio avviso dell'affermazione
"verità storica", in particolare quando non è solo "storica", ma è soprattutto unica. Infatti
cito: "A nostro
parere non è neppure vero che esistano più verità. Possono esistere ed esistono diverse
interpretazioni
di un determinato fatto, ma riteniamo che la verità abbia una sua oggettività che supera il
momento
interpretativo". Questa serie di affermazioni porta all'assunzione di un problema classico della metafisica:
l'unicità della
verità. Essendo unica la verità non ammette altro al di fuori di sé. Non ammettendo altro
al di fuori di
sé, per impossibilità di questo altro ad esistere, è necessariamente assoluta. L'essere
assoluta la porta
a coprire il tutto, ad essere sopra il tutto e a farlo dipendere da sé. Come tutti gli assoluti è un
elemento
di dominio, perché ha insito in sé la caratteristica della totalità. Ecco aprirsi una prima
crepa; la verità di cui stiamo parlando non è sufficiente ad autodefinirsi, perché
per essere definita necessita di un aggettivo, cioè è storica. Gli aggettivi, proprio perché
tali, servono
a definire una qualificazione particolare che distingue l'oggetto da altre qualificazioni particolari.
L'aggettivo è la definizione di una parzialità che qualifica l'oggetto per distinguerlo da altri oggetti
come
lui, però parzialmente diversi. Per cui non è più unico, se non come individuo. E' come
dire che ci sono
più uomini ognuno diverso dall'altro, c'è chi è alto, chi basso, chi magro, chi giallo, ecc...
Ognuno è
unico per le caratteristiche individuali che lo distinguono, ma sono tutti uomini. Per cui quel tale uomo
è unico come singolo, ma non è assolutamente unico come uomo. Nel caso specifico abbiamo
una verità storica, ma non unica come verità. Il fatto stesso di aver sentito
la necessità di definire quella prescelta come storica, col fine dichiarato di distinguerla da altre
verità,
tipo quella politica o quella ideologica, denota almeno la consapevolezza dell'esistenza possibile di
diverse verità. La scelta è legittima e non contestata; ciò che contestiamo è il
voler caratterizzare la
propria scelta con la qualifica dell'unicità. Per quale ragione, viene da chiedersi, solo la verità da
me
prescelta può essere oggettiva, come si sostiene nel passo citato dell'introduzione? Forse perché
l'ho
scelta io e, come tutti gli esseri umani, sono convinto di essere nel giusto? Dal punto di vista logico è
un argomento chiaramente non sostenibile, perché cade in contraddizione. La questione a mio avviso
cambierebbe di poco se il problema fosse posto in termini diversi. Nel caso
per esempio che fosse stato scritto che la verità è unica e per essere tale deve essere storica. Anche
in
questo caso la verità ha bisogno di trovare una qualificazione parziale, quella storica appunto, per
riuscire ad essere unica. Ma per essere unici non si può essere legati a momenti di parzialità,
perché le
altre parti non possono che rientrare nel tutto, il quale solo può essere unico. Così c'è una
sola verità
storica, quella appunto definibile come storica, mentre esistono più verità, tra le quali ha senza
dubbio
un posto importante quella storica, ma è illogico sostenere che sia l'unica verità
possibile.
* * *
E veniamo al
problema della storia che, secondo il documento in questione, permetterebbe alla verità
di diventare oggettiva. Per poter estendere il carattere di oggettività è necessario che questo sia
contenuto nella storia stessa, altrimenti non potrebbe emanarlo in quanto non lo contiene. Dobbiamo risalire
al contenuto del concetto di storia. E' possibile definire con una certa esattezza che
cosa esprime tale concetto? Dal nostro punto di vista è impossibile l'esattezza, mentre sono possibili
più approssimazioni. La parola storia deriva dal greco e indica indagine, narrazione, informazione,
resoconto dei fatti riguardanti gli esseri umani. Non è pura e semplice esposizione, ma vuole anche
capire le cause, i motivi sociali, politici e psicologici che hanno portato all'esplicarsi di uno o più
determinati avvenimenti. Secondo tutti coloro che trattano storia non può essere mera cronaca
enucleativa dei fatti, anche perché ciò è praticamente impossibile. Di conseguenza la
storia non può
prescindere dall'interpretazione, la quale in quanto tale è soggettiva. L'unica cosa certa nella storia
è che
tratta di avvenimenti umani che sono avvenuti, ma il come e il perché, che pure fanno parte della storia,
sono affidati totalmente alle interpretazione di chi, singolo o equipe, svolge la ricerca storica. Questa
si avvale di testimonianze e documenti e sia le une che gli altri sono produzioni di singoli esseri umani,
condizionati nell'esposizione dalla propria cultura, emotività e psicologia. Il ricercatore a sua volta
è
soggetto agli stessi condizionamenti. L'opera che scaturisce dalla ricerca in questo modo non può
che essere un'interpretazione soggettiva che
si avvale di interpretazioni soggettive. In definitiva la storia è il filtro, estremamente parziale, con cui
vengono tramandati e memorizzati i fatti che ci hanno preceduto e che hanno determinato le possibilità
per il presente in cui viviamo. La storia, per le caratteristiche sopra descritte, non è mai unica e
inoppugnabile. Gli avvenimenti che
la compongono, proprio perché frutto di molteplici tensioni e cause contrastanti, sono sempre oggetto
di polemiche destinate a perdurare nel tempo. Prendiamo ad esempio un avvenimento così complesso
come la rivoluzione spagnola del 1936. Al di là della stilizzatissima cronaca, per cui nacque come
rivolta popolare contro i militari che, ribelli al governo repubblicano, attuarono un colpo di stato
fascista, è un avvenimento ricchissimo di documentazione di ogni tipo. A tutt'oggi continuano le
polemiche irrisolte sugli stessi fatti e documenti. Gli stalinisti danno un'interpretazione, i liberali alla
Thomas un'altra, i trotskisti un'altra ancora, gli anarchici a tutt'oggi, oltre a polemizzare e condannare
giustamente tutti gli altri, polemizzano al loro interno citando ognuno fatti, testimonianze e documenti.
Ognuno sceglie in base ai propri sentimenti e alle proprie scelte politiche ed etiche, non certamente in
base all'oggettività della storia. Gli stalinisti restano tali, i liberali pure, gli anarchici ovviamente.
Eppure la rivoluzione spagnola è recente ed evidente nel suo essersi manifestata così come
è avvenuta. Ne consegue che l'esposizione storica non può essere oggettiva e soprattutto non
può essere garante di
un giudizio inderogabile per una dimostrazione scientifica dei fatti. Non è vero che i fatti parlano da
soli. Bensì è spesso vero il contrario, che si fa dire ai fatti ciò che a noi interessa, ed
è tanto più vero
proprio in riferimento alla tanto conclamata storia. Se i compagni, nell'appellarsi a una presunta
oggettività della "verità storica", si sono illusi di aver trovato il criterio oggettivo per esprimere
il
giudizio inconfutabile sugli avvenimenti che stanno a cuore, al fine di poterlo poi assurgere a verità
universale, hanno commesso a mio avviso una grossa ingenuità e un grossolano errore logico. E nelle
dimostrazioni non si può prescindere dalla logica.
* *
*
Ho l'impressione che affermando che "ha validità solo
e soltanto la verità storica" i compagni siano
spinti da una preoccupazione più o meno inconscia. Ci sia cioè il bisogno direi quasi ancestrale,
di
essere sorretti, nelle proprie affermazioni, da una specie di supervisore al di sopra delle parti. E' quasi
un bisogno religioso di essere giustificati da una volontà superiore nelle scelte che facciamo. Un sentire
di non essere sufficienti a se stessi. Lo stesso meccanismo portò a deificare la ragione per sostituirla a
dio, oppure ad erigere la scienza ad unica foriera di verità. Eppure la ragione si è dimostrata
completamente incapace di rendere gli uomini ragionevoli, com'era nei sogni degli illuministi. Eppure
moltissime verità scientifiche, sulle quali si era costruito il progresso dell'era moderna, sono decadute
al ruolo di non verità, di illusioni. Continuamente la scienza dimostra a se stessa che afferma cose non
corrispondenti a verità. Ciò che noi affermiamo, a mio avviso, non ha necessità di
una convalida superiore che sia al di sopra
delle parti. L'oggettività, quale criterio di valutazione, è sostanzialmente un bisogno culturale di
tipo
metafisico, perché si pone nel campo dell'astrazione intellettuale. Dobbiamo liberarcene. Proprio la
storia delle idee, vista da una certa angolatura, può dimostrarci che, ogniqualvolta si è ricorsi
all'oggettività, quasi di conseguenza si è caduti nella sottomissione. E' oggettivo ciò che
si pone fuori
dal soggetto e, nella accezione qui usata, ciò che è fuori dal soggetto è valido per tutti.
E ciò che è
stabilito valido per tutti lo deve essere al di là della volontà e della coscienza di tutti. E' una specie
di
entità superiore cui le molteplici realtà soggettive debbono sottomettersi, altrimenti cessa il valore
di
validità estesa a tutti. Le nostre idee, come tutte le idee formulabili, sono espressione della nostra
soggettività. Nelle nostre
intenzioni possiamo certamente concepire idee per noi sacrosante, che proponiamo a tutto il genere
umano e consideriamo universali perché vogliamo il benessere generale. Ma di per sé le idee,
anche le
più giuste e le più perfette, non sono oggettive, cioè estensibili a tutti, a meno che tutti
per volontà e
scelta soggettiva, non vi si riconoscano e le facciano proprie. Ma se questo è possibile in linea
puramente teorica, cioè è una possibilità fra tutte le possibilità possibili, in pratica
non lo è affatto, tanto
è vero che non si è mai verificato. Così noi concepiamo cose che tendono ad essere
universali perché
abbracciano l'insieme del genere umano, ma sono ben lungi dal possedere una oggettività che si pone
di per sé sopra a tutti. Quando un insieme di idee ha la pretesa di essere oggettivo e foriero di
verità, considerata sempre come
unica, diviene un corpo dottrinale. E la dottrina viene propinata per essere accettata. Essa si considera
compiuta in sé e non ammette, se non in margini molto ristretti, forme di dissenso, perché, essendo
compiuta, non può essere cambiata. Il mondo che noi condanniamo e combattiamo è stato e
continua
ad essere sorretto da questa mentalità autoritaria, base di ogni potere. E i dottrinari all'opera sono
ciò
che di più abominevole si posa concepire. Gli imperi dell'antichità si reggevano sullo schiavismo,
la
chiesa ha creato i conventi e l'inquisizione, i regimi filo-marxisti hanno inventato il gulag; per citare
solo gli esempi più macroscopici. Dovunque vi sono sacerdoti gestori di una verità troviamo il
fanatismo, brutalità, violenza istituzionale, consacrate da riti macabri e sostenute dalla violenza degli
eserciti. A noi non serve invocare una verità oggettiva, per rendere autorevole ciò che
affermiamo e
propagandiamo. E soprattutto non serve perché, essendo un prodotto della mente umana, non esiste una
verità che abbia le caratteristiche dell'oggettività. E' senza dubbio la verità per noi e, nelle
nostre
affermazioni, facciamo tutto il possibile per dimostrare di essere nel vero. Ma non per questo dev'essere
allo stesso modo verità anche per gli altri. Tutta la speculazione filosofica si occupa da sempre del
problema della verità ed ancora stiamo aspettando che questa famosa verità oggettiva salti fuori.
L'unica
verità che si è finora affermata è quella religiosa, perché si basa su un puro atto
di fede, cioè di
sottomissione a una volontà superiore, indimostrabile, e perché condanna perfino chi si pone il
problema di dimostrarlo.
* * *
Cerchiamo dunque di essere
veritieri, compagni! Continuiamo a propagandare con le parole e con gli
atti ciò che riteniamo il migliore dei mondi possibile, cioè l'anarchia; ed intendiamoci bene,
l'anarchia
è realmente il mondo migliore possibile. Ma, per favore, non commettiamo l'errore di voler suffragare
il nostro verbo con un giudizio inderogabile al di sopra di tutti, come per esempio una presunta "verità
storica", perché non esiste. Saranno le nostre scelte e i nostri atti, se riusciranno in questo senso, a
rendere credibile ed auspicabile ciò che proponiamo al genere umano. Non riusciremo certamente nei
nostri intenti perché siamo in possesso di una nuova verità, anche questa con la presunzione di
essere
unica e oggettiva.
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